Grazie a Matteo Marzotto Popolare di Vicenza non fa rima con trasparenza: partecipazioni e pegni senza risposte. E incombe una sentenza
Giovedi 28 Gennaio 2016 alle 18:16 | 0 commenti
Mentre è sotto warning, sia pure controllato, la fuoriuscita dalla Banca Popolare di Vicenza di depositi (tre miliardi negli ultimi 45 giorni secondo le fonti da noi riportate ieri) si susseguono le voci di spaccature all'interno del Cda, probabilmente per i timori che il futuro Consiglio di Amministrazione, quello che arriverà con la Spa quotata in Borsa, possa aprire l'azione di responsabilità contro chi dell'attuale fa parte fin dai tempi dei già indagati Zonin, Zigliotto e Sorato, ma ufficialmente anche per il ritardo del presidente Dolcetta nel comunicare le richieste della BCE sulle coperture delle sofferenze.
Infatti gli interrogativi più pressanti sulla digeribilità dei miliardi di sofferenze (circa 4 miliardi su una cifra doppia di crediti a rischio?), non abbastanza favorita da quello che i vertici bancari ritengono un palliativo, la bad bank light contrattata da Padoan con Bruxelles, arrivano non tanto dai medi e grandi investitori che, "incassato" il flop delle azioni, guardano alle future opportunità legate alla scalabilità low cost dell'Istituto di Via Btg. Framarin, ma dai comitati dei soci più battaglieri, quelli, la gran parte, che si identificano con i risparmiatori impoveriti dal crollo in corso delle azioni acquistate a 62,50 euro e che gli analisti danno a 10-15 euro come valore realistico.
E se è conosciuta la filastrocca, populistica ma in parte vera, che vede nascere i crediti difficili anche da una "banca popolare, che perciò è territoriale", sono noti anche i dubbi, talvolta, pesanti sui criteri di concessione dei crediti più consistenti, spesso quelli proprio meno... rientranti.
Se il dato nazionale dice che, in un quadro di 201 miliardi di sofferenze, «a pochissimi sono stati permessi i debiti (il 97% dei debiti flop in mano a meno del 3% dei debitori) che oggi rendono quei debitori, il più delle volte col pelo sullo stomaco, magari più ricchi e le banche più povere con le loro crisi da scaricare sui piccoli risparmiatori...», capirete, quindi, perchè della serie di domande da noi fatte alla Banca Popolare di Vicenza, tutte senza risposte, ne faceva parte una a cui i vertici vicentini non avrebbero dovuto avere mai il coraggio (l'impudenza?) di non rispondere.
Eccola: nei documenti camerali visionati «risultano partecipazioni o quote assunte in pegno di società apparentemente riconducibili ad ambienti vicini al dr. Matteo Marzotto, membro del Cda della BPVi, come ad esempio il 9,8% posseduto della Marzotto Società di intermediazione mobiliare spa (Marzotto IM) e il 30% in pegno della Zignago Holding spa. Sono partecipazioni e pegni per finanziamenti compatibili con i sacrifici chiesti ai soci che in quelle partecipazioni e in quei pegni potrebbero vedere operazioni non esenti da conflitti di interessi?».
A questa domanda la banca dei vicentini (quelli dei super debiti, pochi, o gli altri, i più danneggiati?) neanche ha risposto abbozzando che pegni e partecipazioni sono antecedenti all'ingresso di Matteo nel Cda e spiegando magari solo perchè il pegno Zignago del 7 luglio 2010 non è stato ancora riscattato restituendo quanto avuto oltre 5 anni dopo e se la partecipazione acquisita nella Marzotto SIM il 16 febbraio 2012 è in via di dismissione come non strategica così come fatto con gli "amici" prima supportati di SAVE.
In realtà la BPVi ha risposto sul possibile, e anche se sia pure solo ambientale", conflitto di interessi, ma con la solita cantilena utilizzata in blocco per non rispondere: «Caro Direttore, il nostro ufficio legale mi fa sapere che, per prassi, non forniamo dati relativi alle esposizioni della banca se questi non sono stati resi pubblici in bilancio. La ringrazio per la pazienza che ha avuto nell'attendere questa risposta e la saluto con la consueta cordialità ».
È grave questo ulteriore mutismo perchè se pegni e garanzie erano nati senza conflitti, per lo meno, di famiglia, la nomina di Matteo Marzotto è, invece, arrivata con gli incroci in atto e ancora vivi.
E poi dite che non capite chi, per sciogliere a favore della trasparenza della BPVi questi sospetti di conflitti di interessi, magari si augura che Matteo Marzotto il 17 febbraio venga condannato all'anno e quattro mesi chiesti dai pm di Milano Laura Pedio e Gaetano Ruta per la maxi evasione fiscale contestata al gruppo Marzotto e realizzata, per l'accusa, in seguito alla vendita al fondo Permira del marchio Valentino Fashion Group, di cui Matteo Marzotto è stato presidente fino alla sua cessione.
A parte il presidente della Fiera e del Cuoa, oltre che membro del Cda della Popolare di Vicenza, la sorella Diamante e il socio amministratore di Icg Massimo Caputi, che hanno scelto il giudizio, altre otto persone coinvolte nell'inchiesta (di cui alcune socie delle due società in pegno o partecipate oggetto della nostra domanda) hanno già patteggiato la pena: oltre a Vittorio Marzotto, legale rappresentante della Icg, che aveva già chiuso il proprio contenzioso tributario versando all'Agenzia circa 57 milioni di euro, Andrea Donà delle Rose, Isabella Donà delle Rose, Rosanna Donà delle Rose, Margherita Marzotto, Maria Rosaria Marzotto, Cristiana Marzotto e Ferdinando Businaro...
Se al Marzotto di casa nostra venisse, quindi, riconosciuta l'innocenza, a cui hanno rinunciato gli otto suoi "sodali", quei possibili conflitti rimaranno in piedi.
Ecco perchè una condanna, pensano quelli che tifano per la trasparenza della nuova Banca Popolare di Vicenza di Iorio (purchè non sia come... Banca Nuova), costringerebbe l'ex giovane Matteo a lasciare il Cda anche se già all'atto della sua nomina qualcuno ha giocato, all'italiana, sui distinguo: per far parte di un Cda bancario bisogna possedere i cosiddetti "requisiti di onorabilità ", che con una condanna, sia pure di primo grado, sarebbero, per lo meno momentaneamente, sospesi.
All'estero sarebbero bastate, prima, le indagini o, poi, il rinvio a giudizio ma in Italia, si sa, siamo garantisti e tutti "garantiamo" tutti finchè sentenza o prescrizione non arrivino.
Tutti garantiamo tutti meno le banche che non garantiscono i propri crediti contro le insolvenze... dei ricchi e dei potenti, o sedicenti tali.
Tanto a garantirli sono le azioni e le obbligazioni (subordinate e anche no) dei "poveri" risparmiatori.
Da svalutare o azzerare quando arrivano le sentenze di fallimento visto che la BCE, politicamente ostile all'Italia ma in ciò facilitata dal nostro familistico sistema bancario, a noi vieta le "prescrizioni" dei debiti, ma prescrive medicine che sanno di cicuta.
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