Banca d'Italia e Consob, Il Fatto: entrate in banca con una pistola e dite che non è una rapina, vi faranno entrare. Vale anche per Coop e diamanti
Lunedi 6 Novembre 2017 alle 09:19 | 0 commenti
Il recente scandalo dei diamanti conferma la regola: in Italia la vigilanza sulle banche consente di truffare liberamente i clienti. I signori imbrogliano, le varie vigilanze non vedono, la politica non vede i vigilanti che non vedono. Basta giocare con le parole. Immaginate di entrare in banca con una pistola in pugno. Se un poliziotto vi chiede se è una rapina, rispondete che è una visita di cortesia. Se ragiona come Consob e Banca d'Italia vi lascerà andare.
Giorni fa l'Antitrust ha multato quattro banche (Intesa, Unicredit, Mps e Banco-Bpm) perché per anni hanno rifilato ai clienti investimenti in diamanti rivelatisi una truffa. Si legge nella sentenza che "secondo la Consob, la disciplina di trasparenza e correttezza sui servizi di investimento non è di per sé applicabile alla vendita di diamanti a meno che tale vendita non si configuri esplicitamente come offerta di un prodotto finanziario". Basta chiamarlo Pippo anziché prodotto finanziario e la Consob si gira dall'altra parte.
Fermo restando che la responsabilità principale è dei vertici di quattro delle maggiori banche nazionali, la stessa Antitrust ci avverte che lo scandalo è saltato grazie a Report, cioè grazie a qualche giornalista precario Rai, mentre gli stragarantiti ispettori della Consob si occupavano, verosimilmente, delle proprie carriere. Questa irresponsabilità diffusa continuerà a estendersi fino a quando le cosiddette autorità indipendenti fingeranno di non vedere, in vista magari di lauti incarichi presso i vigilati. E fino a quando non rinunceranno all'arroganza di rivendicare la sacra indipendenza per autoassolversi.
La Banca d'Italia vigila sulle banche, ma se una banca trasforma le sue filiali in sale Bingo o in bordelli vi dirà che non si occupa di Bingo e bordelli. Non è una battuta. Quattro anni fa Il Fatto ha sollevato il problema dei supermercati Coop trasformati in banche attraverso il sistema del cosiddetto "prestito sociale". Non è difficile. Prestare soldi alla propria cooperativa per sostenerne gli investimenti è una cosa. Ma chi ti propone "il risparmio sicuro, generoso e che dà buoni frutti!" e parla di apertura e chiusura conto e di "comodità per le operazioni di versamento e prelievo" non è una banca? Per la Banca d'Italia no, per i suoi ispettori, filosofi aristotelici, un supermercato per definizione non è un istituto di credito. A domanda ufficiale rispose che la vigilanza sulle cooperative spetta al ministero dello Sviluppo Economico. In seguito a ulteriori insistenze, specificò che l'eventuale "esercizio abusivo dell'attività di raccolta del risparmio" è reato penale che tocca a polizia e magistratura accertare e reprimere. E infatti, dicevano gli acuti comunicatori di Palazzo Koch, "qualora la Banca d'Italia riceva segnalazioni concernenti possibili violazioni delle disposizioni in materia, interessa tempestivamente l'Autorità inquirente, come è accaduto nel corso del 2014, in relazione a due segnalazioni ricevute da questo Istituto".
Vedete come il cerchio si chiude. La pietra angolare dell'ipocrisia di Stato è l'avverbio "tempestivamente". Nei supermercati Coop più di un milione di persone depositano i loro risparmi, per circa 9 miliardi in tutto, senza sapere che non sono coperti dalla garanzia sui depositi bancari: se la loro Coop va in crisi, in quanto soci saranno gli ultimi a rivedere i propri soldi. Credono che sia risparmio tutelato, invece è capitale di rischio. La Banca d'Italia è sottoposta al segreto d'ufficio, quindi non sappiamo, tre anni fa, chi è stato denunciato e a quale procura. Alla prossima Coop che salta diranno di aver avvertito tempestivamente la magistratura e, come nel caso dei diamanti, che non era chiaro chi dovesse vigilare.
di Giorgio Meletti, da Il Fatto Quotidiano
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