Assemblea BPVi: il sì è arrivato, ma tra lacrime e rabbia
Lunedi 7 Marzo 2016 alle 09:45 | 0 commenti
L’alfa è Andrea Arman, presidente dell’Associazione azionisti Banca Popolare di Vicenza, arroccato sul «no». L’omega è Silvio Fortuna, leader di Futuro 150, proiettato sul «sì». Ma fra il principio e la fine scorrono tre ore e mezza di sfogatoio che più che con la pazienza divina hanno a che fare con la rabbia umana. Perché da quest’ultima assemblea con voto capitario alla fine emerge una certezza: che vogliano mandare tutto all’aria, o che cerchino di salvare il salvabile, gli 11.999 presenti in corpo e in delega a Gambellara sono tutti furiosi.
Tre mesi fa, quando toccò a quelli di Veneto Banca, a mescolarsi con l’irritazione era l’amarezza. Non che adesso la tristezza sia scemata: «Sono un pensionato di Padova - piange Lino Lorenzato - e nel 2012 mi hanno fatto comprare delle azioni. Prima di firmare ho detto: se qualcosa va storto, quei soldi li rivoglio subito. E loro: in cinque giorni li riavrà . Invece me li hanno rubati, erano tutti i miei risparmi». Ma rispetto a quel giorno, e proprio per la consapevolezza maturata nel frattempo, ora la delusione è superata dall’indignazione. Basta l’annuncio del presidente Stefano Dolcetta, secondo cui i 123 iscritti a parlare sono troppi e dunque richiedono un taglio degli interventi da tre a due minuti ciascuno, per far impennare il fischiometro. Il tecnico del suono infatti è inflessibile, al centoventesimo secondo il microfono del podio viene inesorabilmente abbassato. «E invece no, io resto qua, piuttosto mi faccio portare via dalle forze dell’ordine!», minaccia Annarita Toniolo da Chiuppano. «Mi togliete la parola? Allora io eccepisco, io diffido, io mi rivolgo al procuratore della Repubblica!», arringa l’avvocato vicentino Mario Rigoni.
Se la collera è trasversale, gli schieramenti sono comunque due. Uno è il partito della dignità , chiuso sul «no», l’altra è la fazione del futuro, aperta al «sì». Al primo raggruppamento appartiene Silvia Segalla, con tanti numeri e una sola domanda: «10 miliardi di debiti: e voi volete andare in Borsa? 8 miliardi di raccolta persi: e voi volete andare in Borsa? 5 miliardi di crediti in sofferenza: e voi volete andare in Borsa? 1,4 miliardi di passivo: e voi volete andare in Borsa? Non sono un banchiere, ma in autostrada non ci andrei mai con una macchina così scassata. Io non mi vendo per così poco, soci abbiate un po’ di dignità ». Quella evocata anche da Daniele Marangoni: «Noi che credevamo nella Bpvi... e ci credevamo veramente. Ci fa troppo male vedere ottantenni piangere per la dignità rubata». Com’è successo a Bruna Lovisetto: «Ho chiesto di vendere le mie azioni nel 2014, per ristrutturare casa. L’impiegata mi ha rassicurata, invece non ho potuto pagare gli operai. Non si trattano così le persone di una certa età . Mi avete tolto la dignità ». Francesca Miotto è più giovane, ma denuncia lo stesso furto: «Mio padre contadino è morto lavorando per garantire a me e a mia madre una vita degna. Invece siamo stati defraudati della nostra dignità ». Barbara Gelaini promette: «Non saremo complici del disastro, ce lo impone la nostra dignità ».
Della seconda coalizione fanno invece parte quelli che, seppure irritati, provano a guardare avanti. «Sono stato trombato e bistrattato, ma sono per la Spa», confida Agostino Contin. «L’importo delle azioni scritto sulle perizie vale quanto la cifra indicata su un assegno a vuoto, però vi do fiducia ancora una volta e voto a favore», concede Carlo Nizzero. «Questo passaggio è molto doloroso - premette Giancarlo Marchiori - tuttavia l’alternativa sarebbe la fine della banca. Per questo bisogna andare in Borsa. E, come dicono gli inglesi, good luck ». Di fortuna avrebbero bisogno anche le piccole e medie imprese rappresentate da Flavio Lorenzin: «Ma dobbiamo lasciare a casa i nostri mal di pancia, se vogliamo che la Popolare di Vicenza continui ad essere di supporto alla nostra economia». L’avvocato Renato Bertelle vota a favore: «Ma già l’anno scorso - ricorda - dicevo di fare denuncia per falso».
Dietro ogni storia, una famiglia. Sconosciuta come quella di Barbara Venuti: «Finché avrò fiato - promette - griderò per mia madre e per mio padre, 70 e 72 anni. E 2.800 azioni che dovevano essere il fondo di garanzia per la loro vecchiaia e che invece valgono quanto un caffè». Famosa come quella di Barbara Ceschi: «Sono la nipote di Giuseppe Roi. Mio zio si è fidato di Gianni Zonin, ma la Fondazione che porta il suo nome è stata depauperata di 30 milioni. Voglio sapere chi ha approvato l’acquisto del cinema Corso a 8 mila euro al metro quadrato».
A questa assemblea l’ex presidentissimo è inevitabilmente «il convitato di pietra», come lo definisce Giampaolo Pinton, mentre Gianfranco Flasenzotti ragiona sulle cantine di Zonin: «Se tutto il suo vino andasse in aceto, lui potrebbe sperare in una nuova vendemmia, mentre noi non abbiamo più niente in cui sperare». Così qualche parolaccia finisce per scapparci pure, un po’ di qua e un po’ di là della barricata. «Ci avete fatto perdere il 90%, porca miseria! Io resto qua fino a mezzanotte per votare “noâ€!», annuncia Giuliano Lora. «Per trovare una soluzione voterò “sìâ€. Ma perché mi contestate?», domanda Vittorio Gemo alla platea fischiante, prima di spiegare fuori dai denti: «Devo recuperare 22 mila azioni, 60 anni di lavoro, casso voèo da mi ?».
Di Angela Pederiva, Corriere del Veneto
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