Appalti al massimo ribasso, Stella sul Corriere: "scorciatoie mascherate dall’urgenza"
Sabato 18 Luglio 2015 alle 16:48 | 0 commenti
Che scomodità , le gare d’appalto! Stufo di sottostare a leggi e codicilli, il sindaco di Catanzaro affida senza gare, denuncia l’Anticorruzione, dal 58 al 97% degli appalti. «A chi dà i soldi?», hanno chiesto tre associazioni di cittadini. Risposta: domanda offensiva. E per «tutelare l’immagine del Comune» ha promosso un’azione legale contro i curiosoni. Delegandola (e ti pareva...) a un avvocato esterno.
Prova provata che pezzi d’Italia sono ancora allergici alle regole.
Sia chiaro: la giunta della città calabrese non è l’unica ad aver esagerato. Il recente rapporto dell'Authority sui capoluoghi regionali dice che, a dispetto dell’eccezionalità prevista per la procedura negoziata, questa rappresenta il 60% di tutti gli appalti nazionali. Ma che questa media è superata, senza differenza fra destra e sinistra e tra Nord e Sud da diciotto su venti delle città esaminate (a eccezione di Napoli e Palermo) con punte dell’83% a Milano, dell’86% a Roma e di uno stratosferico 89,99% ad Aosta. Quanto agli importi, viene distribuito mediamente senza gara il 34% dei soldi. E qui svettano Potenza (43%), Ancona e Trento (48%) e Firenze, che negli ultimi quattro anni ha ripartito direttamente il 50,5% dei suoi appalti.
Insomma, spiega Cantone, «c’è una tendenza generale a scavalcare le regole». Colpa anche delle regole, ovvio. Troppi moduli, cavilli, impicci, lacci e lacciuoli. Ma la scelta della scorciatoia mascherata dall’urgenza si è rivelata troppo spesso un modo truffaldino per assegnare i soldi a questa o quella azienda, questo o quell’amico. Ed è qui che la massima trasparenza, obbligatoria, sarebbe fondamentale.
E qui torniamo a Catanzaro. Che non figura neppure tra le peggiori («solo» il 77% degli appalti a procedura negoziata) ma ha fatto segnare negli ultimi quattro anni rispetto ai precedenti un abnorme peggioramento. Scrive infatti l’Authority a Sergio Abramo, eletto dalla destra tra accuse di brogli e nuove conte dei voti, che l’indagine ha «evidenziato» come la percentuale degli appalti «a procedura negoziata» sia passata per i lavori dal 12,10 al 58,48 (il quintuplo) e per i servizi dal 15,80 al 78,76% (ancora il quintuplo) schizzando per le forniture al già citato e stratosferico 97,16%. Conclusione: per «effettuare le verifiche necessarie sugli affidamenti in corso, nonché per accertare che nelle future procedure attivate dalle articolazioni territoriali e funzionali del Comune da Lei presieduto vengano pienamente rispettati i principi di concorrenza ed economicità sanciti dal Codice dei contratti pubblici e scongiurati potenziali fenomeni distorsivi», è necessaria «una puntuale e costante sorveglianza sia per i contratti in corso sia per gli affidamenti futuri». Traduzione: occhio, siete nel mirino.
E qui viene la parte più interessante. Saputo della bacchettata, tre associazioni (Cittadinanzattiva Catanzaro, il Baco Resistente e il Pungolo) chiedono attraverso l’avvocato Francesco Pitaro di «visionare e avere copia di tutti gli atti e contratti stipulati dal Comune» per controllare «i nominativi dei soggetti affidatari degli incarichi, gli importi degli incarichi, l’oggetto degli incarichi, e le condizioni che hanno indotto il Comune di Catanzaro a derogare alle normali regole di evidenza pubblica e ad utilizzare lo strumento della procedura negoziata». Sottinteso: dato che questa procedura dovrebbe esser «ristretta, residuale, eccezionale e derogatoria» occorre vedere se per caso non sia stata usata per gli amici e gli amici degli amici.
Non bastasse, l’istanza rispolvera la polemica sul progetto di piazzare 700 costosissime telecamere, contestate perfino a destra: «il Comune aveva derogato alle normali regole degli appalti pubblici, anche con riferimento all’attribuzione dell’incarico denominato “Safe cityâ€, attribuito ad una società israeliana per l’abnorme importo di 23 milioni di euro, a seguito del quale molti cittadini e associazioni hanno depositato esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, e che è stato, solo dopo, ritirato dall’ente comunale».
Il decreto legislativo 33/2013, ricorda ancora Pitaro, «obbliga le Pubbliche amministrazioni ad essere trasparenti e a pubblicare ogni atto della propria vita politica e amministrativa e gestionale e a permettere che l’intera cittadinanza ne abbia contezza e ne possa acquisire copia». A farla corta: fuori le carte. Tutte. Una ad una.
Non le avessero mai chieste! Furente per la pretesa, considerata con ogni evidenza insultante per il buon nome suo e dell’amministrazione, il sindaco Sergio Abramo (la cui famiglia possiede la tipografia dove veniva stampato il Bollettino ufficiale della Regione Calabria che costava nove volte più che l’omologo veneto) ha chiamato subito l’avvocato Vincenzo Ioppoli. E gli ha affidato, presumibilmente a spese di tutti i cittadini, il mandato di «valutare le azioni più appropriate da intraprendere allo scopo di tutelare l’immagine dell’ente e dei suoi dirigenti rispetto alla problematica scaturita dalla nota dell’Autorità nazionale Anticorruzione». Evviva la trasparenza...
di Gian Antonio Stella dal Corriere della Sera
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