Altri morti bianche, PdCI Vicenza: di lavoro in Italia è difficile vivere ma facile morire
Domenica 28 Settembre 2014 alle 20:01 | 0 commenti
PdCI Vicenza - Ieri ancora due morti sul lavoro in provincia di Cremona. Dopo i due lavoratori morti il 25 settembre a Ravenna, i quattro lavoratori morti ad Adria solo qualche fa e l'anziano consulente alla Valbruna di Vicenza. Questi sono solo i casi che fanno notizia di una strage continua, interminabile, di lavoratori che muoiono nel silenzio e nell'indifferenza.
Morire sul lavoro e di lavoro è qualcosa a cui non si fa più caso in quanto "normale". Lo sciopero di soli 50 minuti indetto, quasi silenziosamente, dopo la morte dei quattro lavoratori ad Adria è emblematico della sottovalutazione, anche da parte dei sindacati, della situazione. Una situazione spaventosa.
Sono oltre 480 i morti sul lavoro dall'inizio dell'anno, il 6,8% in più rispetto all'anno scorso. Se si considerano anche i lavorati "diversamente assicurati", che non appaiono nelle statistiche ufficiali dei caduti sul lavoro, si superano molto probabilmente i 950 morti.
Una carneficina che non conta chi muore lentamente a causa di malattie professionali contratte in luoghi di lavoro insicuri e pericolosi. Sono, queste, stragi volutamente dimenticate come quelle della Marlane-Marzotto, dell'ILVA, dell'Eternit. Stragi delle quali si parla solo quando si arriva a qualche processo e a qualche condanna.
In Italia centinaia, migliaia di persone vengono uccise per garantire il profitto di pochi.
Resta il fatto che, di lavoro, in Italia è difficile vivere e, invece, è facile morire.
Questo è il risultato di una politica criminale che lascia Costituzione e leggi dello Stato fuori dai cancelli delle fabbriche e dalle porte degli uffici, cancellando progressivamente i diritti di chi vive del proprio lavoro. Ormai l'attenzione e la consapevolezza del pericolo nei luoghi di lavoro vengono messe in secondo piano rispetto alla necessità di lavorare a qualsiasi condizione. La società italiana non è più fondata su un lavoro che deve essere garantito, sicuro e giustamente retribuito, ma sul profitto di pochi che continuano a pretendere sempre maggiori privilegi e impunità . Bisogna cambiare e non si può certo farlo continuando a cancellare diritti e tutele per chi lavora.
Perché i lavoratori non siano numeri, pezzi di ricambio di un modello di sviluppo spaventoso fatto su misura per il profitto di lorpadroni, c'è bisogno di riappropriarsi di quella che una volta si chiamava coscienza di classe.
C'è bisogno di lottare per impedire a chi occupa il governo di portare a compimento il loro progetto di renderci servi di capitalisti senza scrupoli attenti unicamente ad aumentare la propria ricchezza.
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