Ancora guerra contro la prostituzione: perché vietarla?
Mercoledi 3 Agosto 2011 alle 20:37 | 0 commenti
Riceviamo su [email protected] da Irene Rui e pubblichiamo
Spiace che dopo l'episodio violento di domenica scorsa, in zona stadio, si voglia ridurre la questione sicurezza al solo problema prostituzione. Confondere la tratta e lo sfruttamento delle persone, in questo caso a scopo di prostituzione, con il lavoro onesto, se pur non riconosciuto, delle lavoratrici e dei lavoratori del sesso, è un grave errore (foto VicenzaPiù a San Lazzaro).
E' vero che il mercato nero e illegale del sesso induce a prostituirsi persone tal volta ignare del lavoro che le aspetta in Italia e crea dei problemi in primis alle lavoratrici, ricattate e sottoposte a violenze, non solo dai loro padroni, ma anche dai proibizionisti, dalle forze dell'ordine e da qualche cliente che pensa di avere un oggetto tra le mani. Schiave vendute da un padrone all'altro, piuttosto che dal fidanzato, dal marito o dai familiari. Un fenomeno che non coinvolge solo il mondo del sesso, ma anche altre realtà lavorative, per esempio quelle del mondo bracciantile, edile e dell'assistenza domiciliare.
Propagandare quindi notizie distorte e faziose sullo sfruttamento illegale da parte di caporali, piuttosto che di "papponi", solo nei confronti delle sexworks è alquanto ingiusto e inesatto.
Non si capisce poi perché per risolvere una questione di sicurezza cittadina si debbano usare pratiche repressive e talvolta incostituzionali (vedi ultime delibere di Variati in materia con il beneplacito delle autorità preposte), nei confronti di queste lavoratrici; e perché si auspichi una normativa che vieti la prostituzione, quando poi il lavoro del sesso, pur con divieti (e ciò lo dimostra la forte domanda), continuerebbe e aggraverebbe maggiormente la sicurezza non solo dei cittadini, ma anche delle lavoratrici costrette ad agire in clandestinità con il pericolo di essere alla mercè di violenze, soprusi e problem igienico-sanitari.
La prostituzione non va vietata, bensì andrebbe normata in modo diverso, riformando la legge 75 del 1958 conosciuta anche come legge Merlin, e dando la possibilità a queste lavoratrici e lavoratori di esercitare la loro libera professione artigianale, in locali privati (oggi la normativa su citata lo vieta) o in "case del piacere" che non vanno confuse con quelle chiuse di triste ricordo. Si tratta quindi, di riconoscere un servizio che viene praticato a favore di alcuni richiedenti.
Forse in questo modo si potrebbero risolvere una parte dei problemi sociali e di sicurezza sia urbana sia del lavoro.
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