Anch'io sono cittadino italiano
Venerdi 9 Dicembre 2011 alle 22:53 | 0 commenti
Irene Rui, Responsabile Dipartimento Politiche migratorie PRC FdS Vicenza - La cittadinanza ai figli di stranieri nati in Italia non è un capriccio, ma un diritto. Dalle dichiarazioni di Gentilin e della Cecchetto rispettivamente sindaci di Arzignano e Montecchio Maggiore, sembra che il riconoscimento di questo diritto significhi sancire - pur non essendo così - che gli indigeni italiani siano minoritari.
Non si può certo, incolpare gli immigrati per la mancata crescita demografica dell'Italia e quindi avvalersi della scusa che il riconoscimento di cittadinanza significherebbe l'invasione dello straniero.
La loro presenza è utile e rende vivo il nostro Paese dove esiste una decrescita demografica dovuta sia alla precarietà e alla crisi economica delle famiglie, sia alla sterilità maschile e femminile, a causa di stress psicofisico da condizioni lavorative disumane e da agenti ambientali insani. L'Italia nella storia è sempre stata un paese soggetto a contaminazione da popoli provenienti dal nord e dal sud. Questa contaminazione, che attraversato i secoli ha costruito l'Italia, è la ricchezza culturale e sociale del nostro Paese. La nuova contaminazione di popoli non è che un altro capitolo di storia, che dovrebbe servire ad arricchire il nostro Paese. Questi cittadini fanno parte, quindi, della storia italiana, non ne sono esclusi come qualcuno vuole paventare e la loro presenza è utile inoltre, al mondo del lavoro, ma anche a quello dell'istruzione, a quello fiscale ed economico.
Le persone nate e cresciute in Italia sono, quindi, cittadini italiani con pari dignità di quelli autoctone. Conoscono poco - come i figli di nostri parenti emigrati a suo tempo - la lingua e il Paese d'origine dei loro genitori o nonni, e quando tornano per una vacanza o per disgrazia, rimpatriati per mancato permesso di soggiorno, si trovano di fronte ad usi, costumi e lingua diversi, si sentono emigrati a loro volta, con scarso successo di integrazione.
Nascondersi dietro a scuse banali per mascherare la paura e l'intolleranza dello straniero, del diverso come fanno Gentilin e Cecchetto, che sostengono che, vista la crisi italiana, ci sono cose più importanti del riconoscimento del diritto di cittadinanza a degli italiani, o che questi non conoscono i valori e la storia dell'Italia, è spiacevole, poiché essi sono l'Italia.
Lor signori si lamentano dell'invasione degli immigrati, ma cosa faremmo - anche in tempo di crisi - senza la loro presenza? Il mondo produttivo si bloccherebbe, quello del facchinaggio e agricolo anche, per non parlare di quello scolastico che sarebbe drasticamente ridotto, i negozi e il commercio vedrebbero venire meno la clientela, il mondo dell'assistenza sociale privata si troverebbe senza badanti e operatrici socio sanitarie, oltre a bambinaie e donne di pulizia.
Non riconoscere ai figli e nipoti di questi migranti il diritto di cittadinanza è aberrante, visto che partecipano alla costruzione e allo sviluppo economico dell'Italia, del loro Paese, versando contributi e pagando tasse ed imposte.
Bisognerebbe poi comprendere cosa si intende per una reale integrazione delle famiglie o per conoscenza dei valori e della storia del nostro Paese, poiché gli italiani stessi non sono integrati e non conoscono né la storia né i valori in cui si fonda la nostra Repubblica; e Gentilin e la Cecchetto lo dimostrano poiché neppure loro conoscono la storia dell'Italia: nei secoli razze, etnie e nazionalità si sono incrociate, stanziate nel nostro Paese costruendo il suo popolo. Si sono dimenticati dei romani, dei celti e delle popolazioni barbare, per non parlare dei greci e dei mori, alias arabi?
L'Italia si deve occupare, cari Sindaci, anche di questi cittadini, ora più che mai vista la gravità della situazione, riconoscendo non solo il diritto di cittadinanza, ma anche le problematiche sociali legate all'occupazione, al diritto allo studio, sanitario, pensionistico e di servizi sociali.
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