Alleanza Renzi-Tosi sul terzo mandato a sindaco, Variati: "Non ci credo, ma se fosse io passo comunque il testimone". E Sbrollini (Pd): "Solo pubblicità, in Parlamento non se parla"
Sabato 24 Ottobre 2015 alle 20:26 | 1 commenti
"Cedere ad altri un incarico, un compito, dopo aver concluso la parte di propria competenza". Possiamo partire da questa definizione per commentare le parole del sindaco Variati - rilasciateci oggi - sulla ventilata modifica alla legge nazionale per permetterebbe il terzo mandato consecutivo ai sindaci. "Anche se fosse, dopo dieci anni per me è ora di passare il testimone", ha detto il sindaco di Vicenza che, al contrario del suo collega veronese Flavio Tosi, sembra non avere nessuna intenzione a chiedere passaggi ai treni che passano per paura di restare in stazione.
A questo proposito la metafora capita a fagiolo perché Variati già l'aveva dichiarato a questo giornale che la sua intenzione era di chiudere la sua mission a Vicenza - e di conseguenza con la politica - con un'opera da lui considerata fondamentale per la città : l'alta capacità ferroviaria. Criticata o criticabile che sia, fatta con eventuali accordi sottobanco e senza troppa trasparenza - secondo il parere di alcune associazioni - la cosa ha una sua coerenza. Anche perché, senza fare sconti di sorta al primo cittadino Variati, le cronache comunque testimoniano che in qualche misura la faccia - tra assemblee pubbliche e commissioni territorio - il sindaco su quella questione ce l'ha messa. Che sia stata un'abile mossa politica o meno, di certo i cittadini non si sono svegliati una mattina con una nuova base militare americana e un nuovo tribunale, con annessa area residenziale-commerciale piena di ombre speculative, praticamente già in casa. Quella era l'era Hüllweck, che nel 1994, a 48 anni, era il nuovo che avanzava: quello della Lega Nord prima e di Forza Italia dopo la caduta del primo governo Berlusconi a causa del Carroccio.
Variati entra invece in politica a 25 anni, come Flavio Tosi, ma il suo è un altro modo di intendere la politica, una vecchia scuola, quella democristiana, nella quale, comunque, i salti di banco erano più che altro interni e in cui il "compromesso storico" è rimasto un flusso di continuità più che un salto di treno in treno. Una politica se volete criticabile e anche croce e delizia della democrazia italiana e dei suoi retaggi cristiani, la cui parte più scura ha sicuramente delle responsabilità sullo sfacelo del "belpaese". Ma è una scuola che il modello renziano, attualmente, non sembra riuscire a superare. L'intento di approdare alla terza repubblica assomiglia, piuttosto a un mix tra la prima e la seconda. E sul piano politico la dissoluzione della sinistra attuata da Renzi fa tabula rasa di ogni tipo di vecchia appartenenza. Ritornare al bipolarismo significa oggi il PD in salsa renziana con tutte le intese possibili, dal Nuovo Centro Destra (le dimissioni di ieri dal partito di Andrea Augello, senatore, e del deputato Vincenzo Piso, contrari alle alleanze con il centrosinistra lo confermano) fino al tentativo di Flavio Tosi di avere un peso nelle regionali pensando che la tigre leghista in Veneto non avesse più tanto fiato. Si è sbagliato, Tosi. La candidatura di Moretti in Veneto e la sua lacerante sconfitta assume oggi il sapore di una strategia di potere se non di una grossolana svista da parte di Renzi. Alle ultime regionali in Veneto il leghista Luca Zaia se n'è uscito trionfante col 50,08% e la lista del dissidente Tosi (alleata con Ncd-Udc), scacciato da Salvini, ha ottenuto l'11,8%. In parlamento, invece, il sindaco di Verona, leader del partito Fare! conta tre senatori e quattro deputati. Per il Re del dialogo e degli abbracci, Matteo Renzi, tanto basta per fare truppa e procedere a cambiare l'Italia?
La tesi potrebbe anche essere deviante. La voce che in questo momento circola tra le truppe del PD è infatti quella che vede un Matteo Renzi che, superato lo scoglio della riforma del Senato, non ha più di tanti problemi ad andare avanti con i numeri.
È vero che ora, tra il tormentone dell'emergenza profughi e quello dei nuovi pistoleri e dell'autodifesa, la Lega fa leva sulla vecchia solfa populista e Salvini scalpita per far superare al suo partito i vecchi fasti di Umberto Bossi, ma le elezioni - congresso del PD o meno - sono ancora lontane e al momento il premier più che imbarcare sembra abbia tanta voglia di far scendere qualcuno di scomodo dal treno. Che dire allora di un ex-leghista come Flavio Tosi che arriva a dichiarare (a Lettera 43) che il premier ha fatto più cose di destra di Berlusconi? E che dire del feeling tra lui e Renzi, dopo la visita di quest'ultimo a Verona due settimane fa e dopo quella di giovedì scorso del ministro Maria Elena Boschi?
Anche qui la stampa - con la solita velocità - ha lanciato la notizia che l'appoggio al Governo da parte dei componenti del gruppo politico di Tosi "Fare!" in parlamento sulle riforme, in primis sulle legge elettorale, avrebbe come contro-partita un patto per modificare la legge elettorale e permettere il terzo mandato ai sindaci. Proprio quello che servirebbe al sindaco di Verona, in posizione quasi invisibile nel Veneto leghista di Tosi, ancora inviso a Salvini e con numeri risibili in parlamento.
Sull'apertura della Boschi e sul dialogo a riguardo del terzo mandato, taglia corto la la parlamentare vicentina Daniela Sbrollini, della direzione nazionale del Pd: "In parlamento non esiste questa apertura sugli affari costituzionali e nessuno ne vede l'utilità , a me sembra un'invenzione dei social, una manovra pubblicitaria dello stesso Tosi: non vedo proprio la Boschi o qualcuno del Governo che lo possa cercare".
In questo quadro come si pone Achille Variati che - nel bene o nel male - ha sempre cercato di avere una visione di politica "territoriale"? "Se mi chiedete che effetto mi fa sapere che c'è la possibilità per un sindaco di fare un terzo mandato la mia risposta è: nessuno!", risponde il primo cittadino e conclude: "A parte il fatto che non credo assolutamente a questa ipotesi, il mio lavoro si concluderà con il mio mandato". E torniamo all'inizio, al vero concetto di "testimone". A chi ha intenzione di passarlo, il sindaco non lo dice, e nemmeno si sbilancia sul futuro. Negli ambienti del PD l'ipotesi romana non sembra percorribile. Resta l'Europa, ma in là nel tempo, e, ancora meno probabile, quella della Regione. Spigolature e elucubrazioni sterili. E in una politica che oggi abbraccia sempre più l'oblio, l'eredità conta sempre più solo in termini di convenienza. In tutta onestà , non è la scuola di Achille Variati.
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