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Problema Pfas a causa della Miteni? Bruno Cardini: "nulla è provato e giova a molti, economicamente"

Di Giulia Biasia Giovedi 26 Maggio 2016 alle 19:29 | 0 commenti

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Sulla questione Pfas (sostanze perfluoroalchiliche), dopo essercene occupati per anni, quasi da soli come per la BPVi e dopo aver ascoltato il Procuratore capo di Vicenza, Antonino Cappelleri, che è parso a dir poco "perplesso" sui numeri tirati in ballo da certa stampa locale ("250.000 avvelenati, 60.000 a rischio tumori"), abbiamo riportato ieri i convincimenti fuori dal coro di Bruno Cardini, che ha lavorato presso il Servizio Sanitario Nazionale conducendo anche molte battaglie per la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini. Per Cardini, di fatto, «i livelli delle sostanze incriminate nell'acqua potabile non sono tali da compromettere la salute dei cittadini». La sua affermazione, avvalorata da numeri, grafici, tabelle e studi vari, ha innescato, da un lato, un dibattito ragionato ma dall'altro un focolaio di polemiche, che, però, sono caratterizzate da un triste filo conduttore, cioè gli insulti senza dati per contestare le informazioni fornite da Cardini.

Oggi completiamo, quindi, l'intervista a chi come lui ancora oggi si occupa, per lavoro, di sicurezza e poi, come è nostra abitudine, continueremo a sentire e a verificare quanto tutti affermano, per farci un'idea e per aiutare a farvene una in un settore che proprio di dati è carente.
Fatte queste premesse emergono dubbi (anche questi sicuramente differenti dalle opinioni comuni) di Cardini, sulle responsabilità per la presenza di Pfas nelle nostre acque: «tutti danno la colpa esclusiva alla Miteni di Trissino, ma queste conclusioni sono ingiustificate non solo perché è da due anni che l'azienda di Trissino non produce più, ma perché si sono rilevati PFAS nelle falde in zone del tutto al di fuori dei bacini di scarico della fabbrica. Inoltre le concentrazioni di PFAS più alte sono state rilevate a Monticello di Fara, forse a causa di una fabbrica tessile (oggi chiusa) che dalla tintoria scaricava sostanze tossiche».
La Regione Veneto ha effettuato una verifica sul sangue delle persone costate 320.000 euro e ora si prospetta un'estensione della campagna per un costo previsto di un milione e mezzo. Il problema secondo Cardini è che «il campionamento delle persone non è utilizzabile perché non è stato fatto un piano che potesse correlare i valori rilevati a una o più variabili di interesse. Cosa vuol dire? Che non sono stati rilevati gli stili di vita, i consumi, la mobilità professionale nella zona. Insomma una ricerca costata molto cara che inevitabilmente doveva portare alla conclusione di spendere ancora per approfondire il risultato. Comunque il livello più alto di PFAS trovato è stato di 750 nanogrammi per centimetro cubo di sangue».

Ci si dovrebbe spaventare, però, se si pensa che il livello di sicurezza era di 300 nanogrammi. E invece Bruno Cardini segnala un dato che per certi aspetti potrebbe essere rassicurante: «il medico competente della Miteni, dott. Gianni Costa, professore alla Bicocca e all'università di Atlanta, ha pubblicato uno studio sul Journal of Occupational and Environmental Medicine. I risultati sono relativi al controllo di 156 dipendenti della Miteni per 37 anni, in cui sono stati rilevati anche 47.000 nanogrammi circa di PFAS per centimetro cubo di sangue. Di questi dipendenti nessuno ha avuto malattie o è morto. A differenza dello studio della Regione, il dott. Costa ha rilevato anche tutti gli altri parametri biochimici (glicemia, azotemia, colesterolo, trigliceridi, transaminasi). L'unica evidenza riscontrata è il colesterolo un po' più alto del normale. Certo, 156 dipendenti per trentasette anni sono un campione ristretto, ma quando si hanno valori nel sangue così alti o siamo in presenza di un gruppo di immortali ormai mitridatizzati contro questo rischio o la sostanza ha un livello di rischio veramente basso».
Se il rischio del PFAS si colloca tra la carne rossa e il caffè molte altre sono le domande che Cardini si pone e i dubbi che ha fatto venire a noi. Il primo: non è che i media locali si concentrano così intensamente sulla questione PFAS per distogliere l'attenzione dei lettori dal caso Banca Popolare di Vicenza?

Vi domanderete voi, come ce lo siamo chiesti noi, il perché usare un problema ambientale per mascherarne uno economico, a parte la "tossicità" di entrambi". Per Cardini la giustificazione non è così improbabile: «prendiamo un uomo di 40/50 anni con un'azienda che ha acquistato azioni della BPVi, dal valore odierno rasente lo zero, e che è in grave difficoltà. Certo la preoccupazione è tanta. Ma se questo stesso uomo avesse dei figli che potrebbero rischiare la salute causa intossicamento da PFAS, non pensate che la preoccupazione per l'azienda scivolerebbe immediatamente in secondo piano?».
Il secondo dubbio di Cardini viene dalla conoscenza di un'altra truffa ambientale che non ha avuto alcun risalto sui media locali. A supporto di ciò ci porta degli articoli dell'Ansa, del Messaggero Veneto e del Piccolo, risalenti al 2014, in cui si racconta di un'emergenza ambientale che avrebbe colpito la laguna di Grado e Marano. Fin qui nulla di strano. Ma gli articoli raccontano di come questa emergenza sia stata inventata da coloro che avrebbero dovuto occuparsi della bonifica. Così scrive il Messaggero Veneto il 29 ottobre 2014: "Si erano inventati un'emergenza ambientale nella laguna di Grado e Marano, per ottenere i denari dello Stato e spartirseli tra loro: decine di milioni di euro a fronte di un inquinamento inesistente, al solo scopo di riempire le tasche di amministratori e imprenditori (...)".
E se succedesse questo anche a Vicenza? «La vicenda sta assumendo una piega le cui azioni più che improntate alla risoluzione del problema, sembrano incentrate - teme Cardini - a dare vita ad un'attività di bonifica preventiva e forse non necessaria, i cui beneficiari potrebbero essere i soliti imprenditori. Attorno alla questione PFAS stanno confluendo tre tipi di interessi: quelli che hanno costruito i capannoni di fronte alla Miteni e che hanno difficoltà a collocarli data la presenza di una azienda a rischio rilevante; la Miteni stessa che dopo la chiusura del mercato americano del Teflon ha necessità di chiudere una delle tre linee di produzione e, se costretta dalla pressione ambientale esterna, potrebbe (Metodo ILVA) chiedere soldi allo Stato; i bonificatori e i realizzatori di grandi infrastrutture per le quali si parla di un investimento per le bonifiche pari alla metà di quello della Pedemontana».
La cosa sconvolgente di tutta questa vicenda, denuncia Cardini, è che «non troverete mai una dichiarazione dei responsabili sanitari che affermi che i PFAS sono certamente pericolosi ai livelli rilevati. La comunicazione ISS è un capolavoro di ambiguità, idem per il ministero della Sanità. La Regione e i politici tuonano che si deve bonificare, ma potete percorrere in lungo e in largo il web e non troverete una dichiarazione ufficiale di pericolo certo. Gli speculatori hanno fatto un capolavoro politico: hanno lasciato che a generare la paura fossero gruppi di pressione, la maggior parte in buona fede, ma qualcuno penso non lo fosse.».
A questi interrogativi, e non solo, cercheremo di dare risposte libere da bavagli che non fanno parte della nostra deontologia professionale.
Come diceva Giulio Andreotti: "A pensare male degli altri si fa peccato, ma spesso ci si indovina".

Leggi tutti gli articoli su: Miteni, Cnr, Antonino Cappelleri., Bruno Cardini, pfoa, pfas, IRSA

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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