Ad Ghizzoni e Unicredit penalizzati dal caso BPVi: il primo lascia, la banca cerca 7 miliardi
Giovedi 19 Maggio 2016 alle 09:02 | 0 commenti
E non potrebbe essere altrimenti visto il futuro che attende l’istituto nei prossimi mesi. Il futuro management dovrà infatti varare un nuovo aumento di capitale: l’ammontare è stimato tra i 5 e i 7 miliardi. La discussione, però, è ormai concentrata sulla parte alta della forchetta per dare ai vertici un cuscinetto di sicurezza per raddrizzare la rotta dell’istituto. Per gli analisti di Royal bank of Scotland, il titolo “sta prezzando un deficit di capitale di 9 miliardi di euro, ipotizzando uno sconto del 30% sul prezzo delle azioniâ€.
Una ricapitalizzazione è considerata inevitabile e questo ha accorciato i tempi del ribaltone: un aumento non sarebbe stato possibile con gli attuali vertici e peraltro avrebbe lanciato un pesante segnale di bocciatura dell’operato di Ghizzoni.
Ai prezzi attuali, l’operazione sarebbe fortemente diluitiva delle quote ora in mano agli azionisti, che quindi saranno chiamati a uno sforzo non da poco. Le tribolazioni di un colosso del settore come Unicredit (ha rivelato ieri La Stampa) hanno spinto anche Palazzo Chigi a far sentire la sua pressione per accorciare i tempi. Una ricapitalizzazione di questa portata avrebbe effetti sull’intero settore, chiamato nei prossimi mesi a diversi aumenti di capitale, dirottando gli investitori verso piazza Gae Aulenti.
Per comprendere l’epilogo, occorre fare un passo indietro. Da oltre un anno l’ad ha seguito una strategia precisa: allontanare qualsiasi ipotesi di chiedere i soldi al mercato - cosa non sgradita ai soci - e puntare tutto sul ritorno a una forte redditività per vie interne. Il piano industriale al 2018 presentato a novembre - a base di 18 mila esuberi e cessioni - è stato però bocciato dal mercato e dagli analisti. Molte partite sono rimaste in stallo (la vendite in Ucraina e Austria, o la joint venture con Santander su Pioneer ferma da oltre un anno).
Dal novembre, il titolo della banca ha perso il 52% del suo valore in Borsa, mentre quello di Intesa s’è fermato al 32%. Il patrimonio Cet1, che esprime la solidità dell’istituto, è oltre i requisiti regolamentari, seppur non di molto. La goccia finale è stata la maldestra operazione sull’aumento di capitale da 1,5 miliardi di Pop Vicenza. A settembre, Ghizzoni s’era impegnato a garantire la quota lasciata “inoptata†dai soci, incassando così una commissione per la banca da 50 milioni. Ma nell’accordo non risultava esserci un tetto. Lo sgangherato salvataggio di Etruria & C. ha terremotato il settore, ed è dovuto intervenire il fondo Atlante per evitare un salasso che avrebbe impattato pesantemente sui ratio patrimoniali. Nei giorni scorsi, la banca ha avviato un riacquisto di bond subordinati, per abbassare i costi della raccolta ma anche - in prospettiva - di migliorare gli indici di solidità .
Lo stallo è però sul nome del sostituto anzi, dei sostituti, visto che anche il presidente Giuseppe Vita è in uscita. Per mettere d’accordo i soci, nella riunione di lunedì è stata dato formalmente a quest’ultimo un mandato per trovare i nomi giusti. Per la presidenza è in testa l’economista Lucrezia Reichlin, membro del cda. Il profilo del nuovo ad passa per due strade: l’esperienza internazionale o una figura proveniente dal mercato nazionale.
Per la prima, i nomi ipotizzati sono quelli di Jean-Pierre Mustier, un passato in Unicredit; Andrea Orcel, a capo della divisione investimenti di Ubs, banca guidata da un altro papabile, Sergio Ermotti; e il portoghese Horta Osorio, ad di Lloyds Bank. La via “nazionale†conta Marco Morelli, vicepresidente per l’Europa di Bank of America Merrill Lynch (ex responsabile per la banca dei territori di Intesa) e Gaetano Miccichè, presidente di Banca Imi. Nelle ultime ore sono spuntati anch i nomi di Carlo Cimbri, ad di Unipol e del numero uno di Mediobanca, Alberto Nagel.
L’attivismo dell’ad di Piazzetta Cuccia si spiega soprattutto in prospettiva. Da tempo, in Mediobanca la Vivendi di Vincent Bolloré ha fatto sentire tutto il suo peso, orientando le strategie del manager che ha ormai nel finanziere bretone il suo punto di riferimento. In questo quadro, se al vertice di Unicredit finisse un profilo forte e di caratura internazionale, Nagel vedrebbe restringersi ancora di più i suoi margini di manovra, visto che Unicredit è il primo azionista di Mediobanca con l’8,59%. Da qui, raccontano i rumors, sarebbe emerso il nome di Cimbri, convinto peraltro da Nagel a partecipare all’Opa su Rcs, che spingera il gruppo assicurativo ad aprire il portafogli nella battaglia per il controllo del gruppo che edita il Corriere della Sera.
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