Denunciò pubblicità occulta nel TGR Sicilia e Rai licenzia e "fa processare" a Palermo Angelo Di Natale, giornalista noto da noi per inchieste ad inizio 2000 su Canale 68 Veneto
Lunedi 25 Settembre 2017 alle 16:06 | 0 commenti
Angelo Di Natale, giornalista ragusano di Modica con una lunga esperienza al sua attivo, tempo fa ha lavorato in Veneto e, in particolare, nel Vicentino, facendosi notare sugli schermi di Canale 68 Veneto per servizi e inchieste che hanno lasciato il segno. In molti ancora ricordano quell'autentica spina che ogni giorno i suoi reportage piantavano sul fianco di esponenti del potere politico, burocratico, economico e finanziario, svelando trame, intrecci, interessi occulti e collusioni, spesso anticipando gli accertamenti della magistratura investita anch'essa dai suoi strali (e ricevendone qualcuno in cambio...), fornendo alla comunità chiavi di lettura della realtà ignorate dal resto dell'informazione e dell'editoria.
Giornalista "scomodo" si direbbe, al punto che quanti lo avevano conosciuto rimasero sorpresi che, lasciato il Veneto, si fosse trasferito in Rai per fare il cronista in Sicilia. Anche qui per la verità , sia pure senza la martellante quotidianità veneta, non sono mancati servizi fuori dalla routine. Tra i tanti esempi la denuncia nel 2005, sette anni prima de L'Espresso, della sistematica rete di violenze sessuali e di condizioni di schiavitù delle donne dell'Est Europa impiegate nei lavori agricoli.
Ad un certo punto però quella "sorpresa" ha materializzato le legittime riserve: Di Natale dalla Rai a giugno 2013 è stato licenziato. E da oltre quattro anni è impegnato in un aspro contezioso civile e penale.
Su quest'ultimo fronte a Palermo è in corso un processo che lo vede imputato per calunnia «per le segnalazioni agli organi aziendali Rai e, infine, alla magistratura in relazione - ci dice - a innumerevoli violazioni di norme generali, contrattuali, etiche, deontologiche e del contratto di Servizio tra lo Stato e l'azienda concessionaria del Servizio pubblico, molte delle quali afferenti al prodotto editoriale-giornalistico ampiamente inquinato da interessi privati come documenta il lungo elenco di servizi connotati da evidente fumus di pubblicità occulta».
Di Natale, la calunnia è un reato grave...
Si, molto grave, è un reato contro l'amministrazione della giustizia, non contro la persona in ipotesi calunniata, ma non riesco a preoccuparmi
E perché? Cosa le infonde questa tranquillità ?
In effetti preoccupato lo sono, ma non per me in quanto imputato che, quanto meno per la casistica, ha un certo numero di probabilità , poche o molte che siano, di essere condannato o meno. Sono preoccupato per il fatto che possano anche semplicemente nascere imputazioni come questa che sembrano dire, e mi riferisco semplicemente all'effetto psicologico finale e non già alle intenzioni che ne sono alla base, "meglio non disturbare il corso naturale delle cose". Per me invece sono tranquillo per un motivo molto semplice: le affermazioni per le quali sono imputato di calunnia sono tutte vere, verificabili e ben documentate. Purtroppo l'esame della loro fondatezza è stato carente nella fase delle indagini preliminari sicché dovrà essere necessariamente il dibattimento a confermarne la verità dei fatti da me segnalati. In ciò mi sento totalmente tranquillo ed anzi, paradossalmente, ringrazio non solo chi - tecnicamente parte offesa e parte civile in questo processo - ha promosso la querela, ma anche la "sorte" che, in carenza a mio avviso dell'accertamento in sede di indagini preliminari dei fatti da me denunciati, ha fatto sì che nascesse questo processo...
Ringrazia perché?
Perché prima di questo processo non è mai stato compiuto alcun serio accertamento dei fatti, anche se a mio avviso, sulla base dei miei esposti - tutti, in un primo tempo, archiviati - ve ne erano tutte le ragioni. La veridicità o meno di quei fatti è ora la base, necessaria, ma non sufficiente, di questo processo. Necessaria perché bisogna stabilire se nel denunciarli io abbia detto il vero o il falso. Poi, solo nell'ipotesi che io abbia detto il falso, servirebbe anche, per la sussistenza della calunnia, accertare anche la mia consapevole e dolosa volontà di accusare ingiustamente persone estranee. Intanto a me basta che necessariamente si debba accertare il dato oggettivo della verità o meno dei fatti, che è ciò che più mi preme, non per me ma per l'interesse di un bene pubblico prezioso che a mio avviso non è stato rispettato e tutelato come si dovrebbe...
Parliamo della Rai?
Si, innanzitutto della Rai in quanto azienda tenuta esclusivamente a garantire un servizio pubblico essenziale finanziato da cittadini contribuenti e vincolato al rispetto scrupoloso di norme poste a tutela dell'interesse generale. Poi parliamo anche del giornalismo, della deontologia, della trasparenza dell'informazione che deve essere sempre scevra da commistioni improprie e rigorosamente distinta dalla pubblicità . Se ciò si pretende da un editore privato, alla Rai non si possono concedere neanche lievissime ombre. E invece...
E invece?
Io credo, anzi sono certo - e mi attendo che il processo lo possa confermare senza ombra di dubbio - che l'interesse di aziende private ad autopromuoversi abbia trovato accoglimento non negli spazi pubblicitari a pagamento che la Rai - all'epoca dei fatti tramite Sipra, oggi tramite Rai pubblicità - mette in vendita nei limiti previsti, ma nell'informazione del telegiornale. Nel mio esposto ho indicato il numero dei servizi dedicati ad alcune aziende private, un numero abnorme concesso a pochi fortunati imprenditori e ai loro marchi commerciali la cui promozione è a mio avviso l'unica "notizia" offerta ai telespettatori i quali in cambio del canone vorrebbero semplicemente essere informati su ciò, accadendo nel territorio, rivesta interesse generale, non sulla magnificenza dei prodotti di qualche "fortunato" operatore economico: per questa c'è la pubblicità a pagamento. Ho denunciato, con dati precisi e documentati, quello che appare un servizio "privatissimo", reso in luogo e con i soldi del Servizio pubblico.
I suoi esposti sono stati archiviati, finora quindi l'unico accusato è lei...
Si, in effetti ho detto che in un primo tempo erano stati archiviati. Di recente c'è stata, con evidente ritardo, una ripresa d'indagine e l'iscrizione di dirigenti Rai nel registro degli indagati, ma è ancora presto per conoscere l'esito.
Diciamo che oggi sono l'unico imputato (ma finalmente si comincia ad indagare anche nella direzione da me indicata) perché gli inquirenti, magari in perfetta buona fede, su questo terreno per anni hanno dato credito, acriticamente e senza verifica alcuna, alle risultanze dell'indagine interna compiuta dalla Rai. Un'indagine di dubbia credibilità , priva di ogni apporto di autorità indipendenti e organismi dotati delle competenze necessarie. Pensi che per valutare la natura pubblicitaria o giornalistica dei tanti servizi dedicati alle solite aziende, è stata incaricata un'agenzia privata operante in tema di valutazione dell'efficacia della pubblicità commerciale, cioè addestrata a distinguere uno spot efficace da uno meno efficace, non uno spot da una notizia. Un'agenzia privata, quindi un'impresa che vende i suoi servizi a chi glieli paga, in questo caso la Rai, perché dicesse alla Rai se aveva fatto bene o male a trasmettere nei tg i servizi "incriminati"!
Invece si sarebbe dovuto, con serietà , rigore scientifico e indipendenza, tracciare la linea di confine tra un'informazione degna di questo nome e la pubblicità commerciale: avrebbero dovuto essere interpellati l'Ordine dei giornalisti, l'Autorità garante delle comunicazioni, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, studiosi ed esperti di sicura competenza ed alto profilo etico. Eppure...
Eppure?
Eppure, nonostante a valutare, a pagamento, i "presunti" servizi giornalistici su una sola azienda, ben 22, trasmessi all'interno del tg del Servizio pubblico (!) sia stata questa singolare agenzia privata, questa ha concluso che in quei 22 servizi c'erano ben 53 citazioni del marchio commerciale di quell'azienda! Però, nonostante molte di esse fossero da ‘alert' rosso, non si trattava - così concluse quell'agenzia - di pubblicità occulta!
E ci credo, osservo io, non era pubblicità occulta: era pubblicità e basta!
E questa indagine interna della Rai è entrata nel processo?
Di più, molto di più. Questa singolarissima indagine, con il suo esito a mio avviso esilarante, non è soltanto entrata nel processo unendosi ad altri accertamenti giudiziari, ma, sul tema che ne era oggetto, ha sostituito totalmente e precluso ogni verifica che mi sarei atteso dagli organi inquirenti i quali invece si sono limitati, come testualmente ammesso in atti, a fare proprie le conclusioni della Rai.
In dibattimento quest'univocità non può esserci. Il diritto di difesa mi consentirà di fare irrompere nel processo strumenti di accertamento imparziale che sono totalmente mancati e valutazioni scientifiche, professionali, deontologiche e tecniche di cui finora nessuno ha sentito il bisogno.
Eppure di pubblicità occulta in Rai si è parlato spesso e qualche volta l'Azienda concessionaria ha dato l'impressione di essere irreprensibile. Non è così?
Si, è così, ma ogni tanto e solo quando nulla "osti" a certe trame nere del potere interno ed anzi, magari, serva ad altri fini. Ricordo il blitz di Luigi Gubitosi, allora capo azienda appena insediatosi, un anno dopo il mio esposto, nello studio di Unomattina in cui la conduttrice magnificava le proprietà taumaturgiche di una palestra romana che conosceva bene, visto che la frequentava. E ricordo, soprattutto, il licenziamento disciplinare disposto, sempre durante la gestione Gubitosi, nei confronti del giornalista Alessandro Di Pietro, conduttore della rubrica "Occhio al prezzo" su Raiuno, per "pubblicità occulta". In quel caso Gubitosi si attivò dopo che la Rai era stata condannata ad una multa dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato in seguito ad alcune puntate di quella rubrica d'informazione...
Di Pietro quindi licenziato per avere fatto pubblicità occulta. E lei invece perché è stato licenziato?
Per avere "denunciato" la pubblicità occulta o, visto che occulta non era, la pubblicità abusiva spacciata per informazione...
Ma non era questa la contestazione...
Ovvio che non fosse questa. Con tale motivazione avrebbero semmai dovuto premiarmi, tranne che non avessi segnalato il falso. In questo caso avrebbero potuto punirmi ma si sono ben guardati dal farlo, tant'è che nessun provvedimento disciplinare mi è stato comminato per tali denunce, né mai me ne è stata contestata la veridicità .
Quale allora la motivazione del licenziamento?
Quella formale è che avrei violato il dovere di esclusiva, ma questo non è vero come risulta lampante a chiunque voglia vedere la realtà . Tale violazione presuppone infatti che io avessi lavorato per un'impresa concorrente, mentre in effetti avevo rilasciato un'intervista ad una piccola emittente locale della mia città natale, Modica (Rg) in Sicilia, per esprimere come sempre in passato - e come tanti altri miei colleghi prima e dopo il mio licenziamento - la mia opinione da cittadino nell'esercizio di un diritto costituzionale, avendo peraltro sempre partecipato, nella mia città , alla vita pubblica.
È come se qualcuno potesse sostenere che io in questo momento, mentre rispondo alle sue domande, stessi erogando una prestazione di lavoro alla sua testata!
Con un altro esempio potrei dire che il licenziamento disposto dalla Rai nei miei confronti somiglia in ipotesi a quello di un medico ad opera della sua azienda sanitaria che l'accusasse della stessa violazione a me contestata e portasse come prova il fatto che sia stato visto entrare in una clinica concorrente ma come paziente per farsi visitare, non come professionista chiamato ad operare.
Lo stesso sarebbe per un autista di bus licenziato per violazione di esclusiva perché accusato di essere salito sul bus di un'azienda concorrente, non come conducente ma come passeggero!
Va bene, ci sarà una sede in cui tutto ciò verrà accertato?
Dovrebbe esserci, io dopo quattro anni la sto ancora aspettando.
E la motivazione sostanziale? È quella che traspare da tutta questa nostra intervista?
Sì. La realtà e chiara. Anche i muri della redazione sanno che sono stato licenziato per motivi ritorsivi e discriminatori: punito più volte ma - poiché mai mi sono piegato da ben sette provvedimenti disciplinari, tutti fantasiosi, strumentali e basati su fatti inesistenti - alla fine sono stato licenziato per non essermi piegato agli interessi privati e al malaffare, intriso anche di collusioni mafiose, all'interno dell'azienda del Servizio pubblico.
Ho subito una violenta reazione ritorsiva alla mia indisponibilità ad assecondare il perseguimento di interessi privati, anche illeciti, nonché pratiche di malaffare nella gestione della redazione e nelle scelte sulla qualità del prodotto della Tgr-Sicilia inquinato da un massiccio fenomeno di pubblicità occulta.
Avevo inteso fare il mio dovere, difendendo la deontologia giornalistica, la missione etica del Servizio pubblico, l'Azienda, i cittadini che pagando il canone la finanziano, il libero mercato e la lealtà della concorrenza a tutela di tutte le imprese private sane e corrette. Sono stato punito per questo. Solo per dare un'idea di quanto macroscopica fosse l'evidenza che il movente ritorsivo sia stato l'unico fondante il licenziamento, segnalo che il provvedimento fu "annunciato" alcuni mesi prima che io "commettessi" i fatti per i quali sono stato licenziato!
Ma come si può pensare che in giudizio rimangano ombre quanto alla distinzione tra l'espressione di un'opinione come esercizio di un diritto costituzionale e l'erogazione di una prestazione professionale?
Questo è già avvenuto in ben tre pronunciamenti giudiziali, e spiego come. Il Tribunale di Roma afferma che "Il ricorrente partecipò a trasmissioni televisive commentando temi politici di attualità all'interno di programmi di natura informativa. Il ricorrente svolgeva pertanto attività propriamente giornalistica nell'ambito di tali programmi...". (!). Come dire che chi è giornalista ogni volta che parla, per ciò solo, fornisce una prestazione professionale a chi ascolta! Peraltro a supporto di questa bizzarra argomentazione (purtroppo ignorata e quindi tacitamente confermata dalla Corte d'Appello) il Tribunale cita poche righe di una sentenza della Cassazione (...Costituisce infatti attività giornalistica la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie volte a formare oggetto di comunicazione interpersonale attraverso gli organi di informazione, ponendosi il giornalista quale mediatore intellettuale tra il fatto e la diffusione della conoscenza di esso, con il compito di acquisire la conoscenza dell'evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo... - Cass. Sent. n. 17723 del 29.8.2011)... ma si dimentica di citare e valutare anche le righe che seguono immediatamente nello stesso brano della stessa sentenza: al fine dell'individuazione dell'attività giornalistica assumono poi rilievo la continuità o la periodicità del servizio, del programma o della testata nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l'inserimento continuativo nell'organizzazione dell'impresa. Elementi questi (continuità , periodicità , inserimento continuativo) la cui totale mancanza nel caso in oggetto, oggettiva e riconosciuta anche dalla mia controparte, esclude radicalmente ogni possibilità che la mia fosse una prestazione di lavoro giornalistico!
Ma il processo in corso a Palermo potrà solo accertare se lei ha commesso calunnia oppure no...
Si, ma per far questo dovrà accertare se tutte le cose che io ho scritto nell'esposto sono vere oppure no. E tanto mi basta....
Nel frattempo abbiamo inviato formale richiesta al Tribunale di Palermo perché autorizzi VicenzaPiu.tv ad effettuare registrazioni del dibattimento. Sappiamo, infatti, per varie esperienze dirette quanta fatica richieda svolgere la nostra professione in assoluta indipendenza, per cui questa volta proviamo noi a tutelare un collega, che per giunta a questa terra ha dato un significativo esempio di esercizio di quella libertà di stampa che è un patrimonio irrinunciabile per una società civile. Come lo tutelefremo nel nostro piccolo? Semplicemente raccontando questo passaggio complesso della sua attività professionale senza condizionamenti e tenendo acceso almeno il nostro faro per far sì che il dibattimento non si svolga al... buio.
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