Da Rosarno a Vicenza, il seme della paura
Mercoledi 27 Gennaio 2010 alle 18:32Articolo pubblicato sul numero 179 di VicenzaPiù, in edicola da sabato a 1 euro, disponibile nei punti di distribuzione in città (l'elenco dei principali è nel box in basso a destra) oppure scaricabile da oggi in formato pdf dallo stesso box
Non ci sono state reazioni ufficiali o manifestazioni di solidarietà ,
ma quanto avvenuto in Calabria ha scosso le comunità immigrate del vicentino
Perché è il sintomo di un clima sempre più intollerante. E del crescere della paura
Così lontani, così vicini. I fatti di Rosarno, con i lavoratori migranti prima sfruttati fino all'esasperazione poi scacciati, sono distanti centinaia di chilometri dal vicentino, ma toccano nel vivo le varie comunità straniere presenti nella nostra provincia. Perché battono su un tasto dolente, quello della paura e del timore che, un passo alla volta, intolleranza e razzismo prendano piede anche qui. E che basti poco per perdere tutto quello che è stato costruito in anni di fatica e lavoro. Si spiega anche così il silenzio che ha accompagnato la vicenda calabrese: da parte delle migliaia di stranieri presenti nel territorio sono arrivati pochi commenti ufficiali (con qualche eccezione, come l'appello della Rete Migranti che abbiamo pubblicato) e nessuna manifestazione pubblica di solidarietà . Ma, lontano dai riflettori e dai microfoni, se n'è parlato. Eccome.
Lettera aperta al Presidente Napolitano
Mercoledi 22 Luglio 2009 alle 20:02non firmate quel Pacchetto
Lettera aperta al Presidente della Repubblica sulle nuove norme in materia di Sicurezza. E sulla marea di intolleranza che sta crescendo nel nostro paese
Caro Signor Presidente,
da molti anni ricevo con una certa regolarità le visite di A.A., un ragazzo africano (ha poco più di quarant'anni, e a me che ne ho quasi sessanta sembra proprio un ragazzo), che lavora nella mia zona come corriere per uno spedizioniere, e che dunque si trova a consegnarmi tutti i pacchi che spesso ricevo. Chiacchiera dopo chiacchiera, un po' ci siamo conosciuti, in questi anni, qualcosa ci siamo raccontati, un giorno perfino ci siamo trovati seduti nella stessa sala d'aspetto dell'Ospedale (lui è diabetico), dove avevo accompagnato mia madre.
Oggi ha suonato alla porta alle una. Mia moglie aveva appena messo in tavola il pranzo, e la casa era tutta un profumo di cose buone. E' stato naturale dirgli: "Se non sei troppo di corsa, fermati a mangiare". "Sì - mi ha risposto - aspetta che vado a chiamare il bambino". Sul momento non ho capito cosa intendesse, ma subito è rispuntato da dietro l'angolo col figlioletto di sei anni, che oggi l'aveva accompagnato al lavoro. Ci siamo seduti a mangiare, e subito ci ha confortato la constatazione che almeno i bambini, bianchi, neri o gialli che siano, sono davvero tutti uguali: "La scuola fa schifo!" ha sentenziato il piccolo B., rituffandosi subito nella pastasciutta che ci aveva chiesto (casualmente, proprio oggi mia moglie aveva messo in tavola del couscous, ma B. ha detto che non gli piace).
Abbiamo cominciato a mangiare, mentre A.A. ci raccontava della sua infanzia al villaggio, di come "là non si compra niente: ti serve la carne e vai a caccia, la verdura la raccogli, e non si butta via niente, si cerca di far durare la roba il più possibile", della sua prima migrazione nella capitale, un lavoro in fabbrica, la fabbrica che chiude, il grande salto verso l'Europa. "Eppure non è stato negativo: si imparano tante cose". Ci ha raccontato delle guerre del suo continente, della corruzione endemica dei politici, della miseria delle campagne. Ci ha raccontato della sua vita qui, del suo lavoro che mantiene tutta la famiglia e paga perfino un mutuo per la casa, delle difficoltà e degli alti costi per tornare molto raramente in patria. "La crisi ha colpito anche noi: siamo ostaggi del sistema" ci ha detto, con una sintesi che ci ha lasciato di sasso per la sua essenzialità . Ci siamo salutati dandoci appuntamento ad agosto: B., per la prossima volta ci ha chiesto la pasta coi gamberetti, noi vorremmo assaggiare la polenta di miglio di sua moglie, col sugo di pesce.
Tutta qua la mia giornata, Signor Presidente. Mangiavo, parlavo, ascoltavo e pensavo. Pensavo che ieri un altro A.A. è stato inseguito e bastonato per le strade di Roma, al grido di: "Sporco negro, tornatene", e di come poi il Sindaco di Roma abbia stigmatizzato l'episodio e si sia stupito dell'ondata di xenofobia che sta spazzando la capitale. Mi son chiesto se ad A.A. non sia mai capitato qualcosa di simile, suonando qualche campanello per consegnare un pacco: una faccia nera fa sempre paura. Mi son chiesto cosa prova al mattino, mandando a scuola i suoi figli, e se mai sono stati insultati in questo senso dai compagni: io insegno alle elementari, e so che succede.
Mi son guardato dentro, e attorno, e mi sono vergognato. Mi son vergognato di vivere in un Paese in cui nuove Leggi Razziali stanno per trasformare in nemici, alieni e criminali non il mio amico A.A. - ormai sul punto di ottenere la cittadinanza - ma tantissimi come lui. Mi sono vergognato di vivere in un Paese che disprezza proprio chi ci ha sostituito nei lavori che noi non vogliamo più fare e che se non altro per quello dovremmo rispettare, se proprio vogliamo dimenticarci dell'umanità . Soprattutto, mi sono vergognato di vivere in un Paese che sta per ufficializzare per legge lo sconcio del rifiuto dell'incontro con altre culture, altre esperienze, altre sensibilità , altre vite. Un Paese che ha dimenticato di esser nato dall'incrociarsi e sovrapporsi di innumerevoli popoli, etnie, e culture, e che oggi s'inventa assurde e folli purezze etniche, e criminogene identità tra stranieri e delinquenza.
Lei può fare qualcosa contro di ciò, Signor Presidente. Può non ratificare le misure razziste ed anticostituzionali contenute nel cosiddetto Pacchetto Sicurezza; può rinviare alle Camere quel provvedimento, chiedendone la modifica, perché in gran parte palesemente incompatibile con la Costituzione Italiana e con le norme del diritto internazionale. Lei può farlo, Signor Presidente, perché in suo potere, ma soprattutto perché - moltissimi nel nostro Paese ne sono convinti - rappresentante di quell'Italia ancora democratica e giusta, che ancora non si è arresa alla resistibile marea del razzismo, dell'intolleranza e della pura e semplice cattiveria.
Giuliano Corà , Insegnante Elementare - Barbarano (VI)
Parole al vento, caro Giuliano. Purtroppo