I "prof" del Rossi scrivono alla Donazzan
Giovedi 19 Novembre 2009 alle 09:55Docenti di storia dell'ITIS Rossi
LETTERA APERTA ALL'ASSESSORE VENETO ALLE POLITICHE DELL'ISTRUZIONE, FORMAZIONE E LAVORO, ELENA DONAZZAN
Gentile Assessore Donazzan,
noi sottoscritti, insegnanti di storia dell'Itis "A. Rossi" di Vicenza, desideriamo esprimere il disagio e lo sconcerto che abbiamo provato nel prendere visione dell'opuscolo Europa: unita, libera, forte. 1989/2009. 20 anni dalla caduta del muro, da Lei fatto giungere alle scuole superiori della provincia per essere distribuito agli studenti delle classi IV e V.
Prima ancora di prendere visione del contenuto, il coordinatore del Dipartimento di lettere ha provveduto immediatamente ad avvisare gli insegnanti perché ritirassero e distribuissero l'opuscolo, pensando di avere a disposizione un utile strumento per trattare un argomento così importante come l'anniversario del 1989, che comunque - le assicuriamo - nessuno di noi ha trascurato. Questo per dimostrare che non vi era nessun atteggiamento pregiudiziale da parte nostra. Purtroppo, non appena presa visione del materiale, abbiamo dovuto rilevare una serie di gravi mancanze sia di metodo, sia di congruità didattico-scientifica, sia infine di merito. Procediamo per ordine.
Innanzitutto, ci pare del tutto inopportuno che la regione finanzi e distribuisca un testo prodotto da un'associazione (Strade d'Europa) la cui collocazione ideologico-politica (di destra) è nota, benché non esplicitata nell'opuscolo. Qualsiasi organizzazione ha il diritto di fare informazione e propaganda con i mezzi e strumenti che ritiene più adatti, ma ci sembra improprio e illegittimo, da parte delle istituzioni, finanziare e promuovere le iniziative di organizzazioni politiche. Sembra inoltre singolare che una Regione così ricca e importante, in cui hanno sede tre prestigiose università , intervenga su un argomento di tale portata affidandosi ad una semisconosciuta associazione.
Con ciò veniamo al valore didattico dell'iniziativa. L'assessore Donazzan non può non sapere, visto l'incarico che ricopre, che si sta rivolgendo ad una categoria di professionisti delle proprie discipline, che hanno alle spalle esperienze pluriennali di didattica, aggiornamento, spesso e volentieri corroborate da significative attività di ricerca. Troviamo perciò offensivo che ci si fornisca una testo redatto da un ventiduenne "laureando in Scienze politiche", ovvero privo di alcun titolo scientifico e della minima esperienza didattica. Parla da sé, del resto, l'organizzazione dei testi, una silloge priva dell'organicità che il titolo lascerebbe presupporre, e soprattutto non accompagnata da alcun apparato critico. Ci permettiamo di segnalare che anche la più modesta delle tesine dei nostri studenti non manca mai almeno di riferimenti bibliografici. Siccome non vogliamo credere che un laureando ignori i criteri di base della ricerca storica, la spiegazione di tanta sciatteria non può che trovarsi nella natura politica e non storiografico-didattica dell'operazione.
E qui arriviamo - last but not least - ai contenuti, limitandoci ad alcuni esempi. A pagina 12 si parla del comunismo come del "modello politico, sociale ed economico più aberrante del secolo scorso". Un'opinione più o meno condivisibile, ma anche gli storici (veri) che la sostengono (come Nolte, o Furet) non mancano mai di citare, accanto al comunismo, gli altri sistemi totalitari: si può parlare infatti del XX secolo senza riferirsi a nazismo e olocausto? L'opuscolo riesce a non nominare fascismo e nazismo nemmeno a proposito della seconda guerra mondiale, che viene così sintetizzata (sempre a p. 12): fu il primo conflitto della storia d'Europa da cui non uscì vincitore nessuno degli stati collegati con il sistema imperiale costruito da Carlomagno. A parte che la Francia è una delle quattro potenze vincitrici (e infatti siede nel consiglio di sicurezza dell'ONU), a noi pareva che l'esito fondamentale della seconda guerra mondiale fosse la sconfitta del nazifascismo, che per l'Italia significò la Repubblica, nata dalla liberazione compiuta dagli Angloamericani e dalla Resistenza. Macché: la conseguenza logica dell'alato discorso è che fino al 1989 siamo vissuti sotto il comunismo (senza nemmeno accorgercene), mentre Hitler e Mussolini erano i difensori dell'Europa carolingia: forse è per questo che il 10 giugno 1940 l'Italia attaccò una Francia già in ginocchio. Sarcasmo? Non tanto, visto che il Terzo Reich si definiva così proprio richiamandosi all'eredità carolingia (il primo Reich era l'impero romano di nazione tedesca che aveva ereditato la corona di Carlo Magno, il secondo era l'Impero degli Hoenzollern 1871-1918), e che il "Nuovo ordine europeo" era la definizione che i nazisti davano ai territori da loro sottomessi. Dobbiamo credere che al laureando manchi più di un esame, o è più lecito supporre che si vogliano surrettiziamente riesumare ideologie e genealogie che si supponevano sconfitte nel 1945?
E che dire della didascalia che accompagna l'immagine della croce celtica (pagina 33)? La croce simbolo della spiritualità irlandese; spesso le omissioni sono peggiori delle menzogne. Dire questo infatti, senza ricordare come nel XX secolo (e anche nel XXI, si vedano gli striscioni di tanti ultras negli stadi) quella croce sia stata un simbolo del neofascismo (a cominciare da Ordine Nuovo, organizzatore della strage di Piazza Fontana, che annoverava tra i suoi membri personaggi del calibro di Freda, Maggi, Zorzi, pluricondannati per atti terroristici), equivale a descrivere la svastica come "simbolo di spiritualità indiana", omettendo il nazismo.
Ultimo esempio: la dichiarazione a favore della "risposta identitaria" (pag. 34, molto vicino alla foto di cui sopra), non solo svela di nuovo il carattere di manifesto politico del testo, ma entra in un viluppo di ambiguità e "non detti" molto inquietanti. Che vuole dire, infatti? Quali sono i criteri dell'identità ? Sono soggetti alla scelta individuale o si originano da caratteri "oggettivi" o ereditari? Supponiamo (vista la croce di cui sopra), ad esempio, che la fede cristiana sia un carattere costitutivo dell'identità nazionale italiana. Domandiamo: Rita Levi Montalcini o Primo Levi rientrerebbero o meno nella identità italiana? Non vede l'assessore un qualche rischio in una così netta dichiarazione? Quando noi spieghiamo la costituzione repubblicana ai nostri studenti, chiariamo per esempio che la cittadinanza (con i diritti e doveri che essa comporta) è sottoposta a precisi criteri giuridici, quali la nascita, la residenza, il matrimonio, chiaramente riconoscibili ed esigibili, mentre nessun peso vi hanno caratteristiche somatiche, religiose, sessuali. L'identitarismo condivide questi presupposti? Perché altrimenti emergono discriminazione, gerarchia dei diritti, persecuzione, come la storia ricordata nell'opuscolo (quella del comunismo), e quella da esso dimenticata (il nazifascismo o il franchismo, tanto per restare in Europa), dimostra.
In conclusione, crediamo che una simile impostazione e simili contenuti non solo siano poco rispettosi della nostra professionalità di insegnanti, ma non aiutino a far crescere nei nostri studenti quella consapevolezza storica e quel senso critico che sono alla base dell'attaccamento ai valori di libertà ed unità europea che pure si afferma di voler promuovere.
Cordialmente
I sottoscritti docenti di storia dell'Itis "A. Rossi"
P.S. En passant, gentile Assessore, le ricordiamo che - in rispetto della morfologia che governa la nostra lingua - "questo" al plurale, al plurale, non può subire elisione (Cfr. i Suoi "Saluti iniziali"). Queste ultime, dunque, e non quest'ultime, per amore del comune, illustre nostro idioma.
Roberto Monicchia (coordinatore Dipartimento di Lettere)
Marco Appoggi
Elisabetta Bazzocchi
Liana Bruschi
Maria Calcaterra
Marilisa Cirella
Maria Luisa Conterno
Roberto De Poli
Gemma Lorenzi
Patrizia Mirri
Maria Luisa Pavan
Alessandra Volpato
Delibera sulla caccia in deroga
Martedi 6 Ottobre 2009 alle 18:16Ufficio Stampa On. Sergio Berlato
LA GIUNTA REGIONALE APPROVA LA DELIBERA SULLE CACCE IN DEROGA
Dopo aver acquisito il previsto parere della IV Commissione consigliare, la Giunta regionale del Veneto, su proposta dell'Assessore regionale alla caccia Elena Donazzan, ha approvato in via definitiva la delibera sulle cacce in deroga per la stagione venatoria 2009/2010.
L'Assessore regionale Elena Donazzan rimedia così alla situazione di stallo venutasi a creare in Consiglio regionale a causa delle inopportune forzature del Gruppo consigliare della Lega Nord che, male consigliato dalla dirigenza della Federcaccia, aveva tentato di proporre la cacciabilità in deroga di ben 11 specie, per molte delle quali mancava il previsto parere obbligatorio dell'Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica (ora ISPRA).
Proprio su questo mancato parere dell'INFS si è arenata l'iniziativa leghista e con essa tutto il provvedimento che avrebbe consentito, anche per la stagione 2009, l'applicazione con legge del regime di deroga in Veneto, così come ininterrottamente avvenuto nella nostra regione dal 2002 al 2008.
A nulla serve quindi continuare a recriminare sulle ben note cause che hanno portato alla situazione di stallo in Consiglio regionale.
La cosa più importante adesso è rimediare agli errori commessi in modo tale che le conseguenze di questi errori non ricadano sulle teste di tutti i cittadini cacciatori del Veneto.
Se per quest'annata venatoria bisognerà fare di necessità virtù ed applicare il regime in deroga nel Veneto con delibera di Giunta o, nel caso in cui la prima delibera venga sospesa dal TAR, con una serie di delibere fino a quando non si troverà l'accordo con il TAR stesso, bisogna che per gli anni futuri la maggioranza che governa la regione dimostri di voler dotare il Veneto del proprio istituto regionale per la fauna selvatica, al quale affidare il compito di fornire i pareri sullo stato di conservazione di alcune specie, sinora non forniti dall'INFS.
Se il Consiglio regionale del Veneto avesse approvato quella proposta di legge n. 6 giacente in Regione dal lontano 2005, il problema deroghe in Veneto quest'anno non sarebbe neppure esistito e sarebbe stato possibile cacciare in Veneto non solo fringuello, peppola, storni e pispole ma anche tante altre specie che l'Unione europea considera in ottimo stato di conservazione ma che non possono essere cacciate in Italia senza l'obbligatorio parere dell'INFS o, come prevede la legge statale 221/2202, degli equivalenti istituti regionali.
Dal momento che non osiamo pensare che la mancata approvazione dell'Istituto Veneto per la Fauna Selvatica dal 2005 ad oggi sia causata dal fatto che questa iniziativa legislativa era stata presentata in Consiglio dal Gruppo consigliare di Alleanza Nazionale (ora PDL), prima firmataria Elena Donazzan, e dal momento che sembrano infondati i timori del Gruppo consigliare della Lega Nord su una presunta "berlatizzazione" dell'Istituto veneto, invitiamo l'intera maggioranza che governa la Regione ad approvare quanto prima la proposta di legge n. 6 sull'Istituto Veneto per la Fauna Selvatica in modo da evitare che, in previsione della prossima stagione venatoria, i cacciatori del Veneto debbano assistere nuovamente allo squallido spettacolo a causa del quale hanno dovuto subire le conseguenze di uno scaricabarile politico degno di miglior causa.
Vedremo nelle prossime settimane la disponibilità di tutte le forze politiche a cimentarsi su questo impegno ed a dotare il Veneto del proprio Istituto scientifico che fornirà alla nostra regione tutti quei pareri di cui le categorie economiche e sociali hanno bisogno per gestire correttamente il patrimonio faunistico ed ambientale del Veneto, nel rispetto delle Direttive comunitarie e nell'interesse dell'intera collettività .
On. Sergio Berlato
Deputato italiano a l Parlamento europeo