Viaggio a Tunisi, dopo la rivoluzione
Lunedi 25 Aprile 2011 alle 15:24 | 0 commenti
Anselmo Botte, Rassegna.it - Restare o partire? Chi ha più coraggio? Un vassoio, il caffè e i giovani che t'interrogano. Il problema adesso è quello di comprendere come allontanare i molteplici tentativi della controrivoluzione di matrice religiosa e padronale.
Un bar finisce: Café Chamekh, e subito comincia un altro: Café de la Liberté. Tavolini sul marciapiedi sotto tende da sole logore e lerce, giovani in cerchio intorno a una bottiglia d'acqua. Parlano, squadrano la strada, le macchine, la gente; qualcuno si alza, si risiede, nessuno se ne va. Come inchiodati, non ammetteranno mai di perdere tempo. Sta facendo buio e non ho alcun motivo di essere qui, ma incapace di decidere ci resto. Quando sono uscito dall'albergo avevo deciso di sedermi spavaldo in mezzo a loro col taccuino tra le mani: "Sono italiano, mi fate capire cosa sta succedendo in Tunisia?". Ma che sciocchezza! Arriva un cameriere, un vassoio con cinque caffè. Non si accorgono di me, neanche mi vedono, almeno così pare, con aria casuale mi avvicino. Non dovrei essere lì. "Siediti italiano" dicono, "ma che sta succedendo nel tuo paese?".
Che cazzo, infilzato come un tordo, dovrei prendermi a schiaffi, ma come! ci riconoscono anche se stiamo zitti. È ridicolo, infatti sorrido davanti a braccia lisce, occhi dentro tazze che scrutano dopo ogni sorso. Mi siedo, uno mi passa il suo caffè e se ne fa portare un altro. Sorseggio, è dolce da fare schifo, ma non lo do a vedere e mi fermo al terzo sorso. "Kabir mushkila" (grande problema), pronuncio le uniche parole arabe che conosco. Sorridono sorpresi i mie interlocutori: due sulla mia destra, tre a sinistra, tra i venti e i trent'anni. Speravo in un disgelo, sono lusingato e dopo aver bevuto un altro po' dico: "Succede che hanno messo paura alla gente, hanno detto che mezzo milione di persone erano pronte a invadere l'Italia. In tre mesi sono sbarcati ventimila tunisini, il governo italiano non aveva idea alcuna, due ministri sono venuti a incontrare il vostro governo, hanno inventato un accordo, gli sbarchi sono continuati e allora hanno deciso di bloccare tutti a Lampedusa".
Uso espressioni semplici, mi fermo per chiedere se capiscono; mi guardano, mi annusano, "sì, continua, noi capisc, non preocùpa" dice uno dei quattro sulla mia destra. Meglio semplificare ancora il linguaggio, penso, e riprendo: "Hanno portato l'attenzione di tutto il mondo a Lampedusa e quando il numero dei tunisini ha superato quello degli abitanti dell'isola si sono dati da fare: li hanno portati in giro per le regioni, poi hanno fatto l'accordo con il vostro governo. Come vi sembra quell'accordo?".
Ho trovato il modo di passare la parola, cominciano a discutere: "Governo? quale governo: quattro gatti sono, a luglio fare governo, votare e fare governo, difficìle sapere se questi quattro gatti arrivano a luglio". Parlano uno sull'altro e annaspano con le mani in aria. "Accordo? conoscere accordo, Italia fa tornare indietro e noi partire di nuovo, non siete buoni vicini. Tu guardare!" esclama infine quello sulla mia destra. Fa un ampio gesto circolare con le mani indicando tutti i presenti: "Nessuno lavorare: quello idraulico, quello cameriere, quello vendere frutta. Tutti fermi! Dimmi adesso: ci vuole più coraggio a restare o andare?".
Penso per un attimo alle uniche due parole in arabo di mia conoscenza, se le pronunciassi non riderebbero, mi guarderebbero con grande attenzione, l'espressione profonda dei loro volti mi convincerebbe che non devo essere lì. Nelle ultime parole il nocciolo della questione, per quanto cerchi non riesco a scavare nella loro profondità : e, chiuso in un angolino, invece di dare una risposta, riprendo a sorseggiare dopo un profondo sospiro. I giovani della rivoluzione hanno fretta, se non succede qualcosa se ne vanno. Il turismo e il commercio sono fermi, e tutto quello che gira intorno pure. Qui, a Tunisi, sono in pochi quelli che s'imbarcano, ma se vai a sud, all'interno, trovi solo fame e miseria e chi la detesta, e chi è pronto a tutto pur di piantarla.
Sabbia sottile
Le strade della città sono sporche, cumuli di spazzatura ovunque, c'è lo sciopero perché non rispettano il contratto, segno di democrazia che avanza ma la strada è sudicia. Un forte vento fresco, non viene di certo dal deserto, alza polvere e spazzatura, ai margini delle strade una lieve scia di sabbia sottile - questa sì del deserto -. C'è eccitazione, tutto è in movimento, un turbinio: la gente per strada, la rivoluzione, cinquantuno partiti e cinquantuno giornali spuntati all'improvviso, molti spariranno fino al 24 luglio, bisogna scegliere e farlo in fretta.
Questa macchina sul marciapiedi con Ben Ali non ci sarebbe mai stata, la rivoluzione porta un po' di anarchia, qualcuno ne approfitta e tira su qualche appartamento. Si parla e si ragiona ad alta voce, non c'è più nessuno che può riferire - e a chi poi -, prima neanche a casa eri certo che le parole non scappassero fuori dalla porta. Un metrò sbuca scampanellando dietro una curva, appena il tempo di schiacciarci con la schiena su blocchi di cemento e filo spinato e ci passa a un palmo dal naso, il conducente neanche rallenta. Un assembramento di persone, cento duecento, trambusto e ancora movimento, donne sedute per terra, bambini in braccio che dormono, vengono dalla Libia, chiedono aiuti governativi, lì vicino un ufficio del Ministero sociale, un uomo esce con una busta di latte, ci sono due camionette e diversi militari, appesi al muro un elenco di persone e numeri di telefono, sono in fila da questa mattina, chiedono protezioni senza fiatare. Intorno alla sinagoga - punto sensibile - filo spinato e un militare.
Davanti al ministero dell'Interno la recinzione è esagerata, prende tutta la piazza, decine di militari e gente che sfiora le divise con indifferenza come se l'avesse sempre fatto. C'era un gigantesco ritratto del dittatore in quel punto, il 14 gennaio è venuto giù. Sulla strada affollata alberi di acacia - o qualcosa che gli somiglia -, ombrelloni aperti vicino ai tronchi e sotto gli ombrelloni i lustrascarpe, i loro clienti appoggiano la schiena al tronco e un piede alla volta si lasciano lucidare, un giovane ha un piede scalzo su un cartone consumato e osserva con attenzione le manovre. Dalla sede di una università privata escono decine di ragazze giovani per niente sorridenti alcune con lo chador. Tre donne avanzano mangiando kebab.
Ancora soldati davanti alle banche. È bello venire a sapere che Piazza 7 Novembre (1987, giorno dell'incoronazione del dittatore) oggi è Piazza 14 Gennaio (2011 giorno della rivoluzione e della fine della tirannia). Davanti al Teatro nazionale una cinquantina di giovani in cerchio ascoltano un anziano signore con barba e capelli bianchi, è un imam e avverte che l'islamismo è in agguato. La controrivoluzione dei padroni è in agguato. I giovani della rivoluzione devono fare in fretta, tornano su facebook ma non possono restarci per sempre. Alle 17 siamo fermi inchiodati nel traffico del centro, le macchine non si muovono, scendiamo lasciando da solo il nostro autista e per strada la folla ci rallenta il passo.
Ore 20,30 tutto finito, non c'è più un'anima, il metrò vuoto, vuoti i bar, negozi chiusi, la gente ha paura rincasa e non esce più. Prima di entrare in un ristorante, davanti a noi si ferma una macchina di lusso, scendono due giovani ben vestiti, vengono da Tripoli, ci dicono che lì i conti non tornano, dalla sera alla mattina c'è sempre uno scarto sfavorevole di persone e il numero di quelle che vanno a dormire non coincide mai con quelle che si svegliano, non chiedetelo ai familiari loro non ne hanno colpa: "Cosa farete a Tunisi?" "Non sappiamo, ci basta restare vivi per adesso". Entriamo nel ristorante, poca gente ci serve tutto in un baleno, hanno fretta di chiudere. Al ritorno verso l'albergo attraversiamo una città buia e deserta, macchine veloci mordono l'asfalto, qualche passante in ritardo torna a casa rasentando i muri.
Il destino tra le mani
Il vento della rivoluzione ha smosso tutto. Dunque, essere qui vuol dire barcamenarsi dentro, capire avendo chiaro in testa che ogni cosa mostra una sua forma, guai a farsi prendere dalla tentazione di guidare ma anche solo di accompagnare la rivoluzione. Il problema adesso è quello di comprendere come allontanare i molteplici tentativi della controrivoluzione di matrice religiosa e padronale: studiare, osservare, comprendere prima di ogni cosa. Le scelte sono in mano a questo popolo in movimento, a questi giovani istruiti, loro si sono messi in marcia dal 18 dicembre 2010, il giorno del suicidio di Mohamed Bouazizi, in un piccolo centro dell'interno, a loro il compito e il privilegio di prendere in mano il proprio destino, a noi quello di scoraggiare chiunque cerchi di intromettersi. Dignità e libertà sono un cammino lungo e difficile. Le riforme democratiche, la costituzione, pagine nuove, ci vuole tempo e pazienza, anche se i giovani della rivoluzione hanno fretta. Noi non possiamo continuare a indignarci per chi arriva e scordarci di chi resta: ci vuole più coraggio a partire o a restare? Il dito ci indica gli sbarchi, ma la luna è altrove
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.