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Veneto Banca, l'Espresso su la fuga dei soci e il prestito facile per Vespa
Venerdi 1 Maggio 2015 alle 18:29 | 0 commenti
Chiamatelo muro, se volete. Un muro di soldi costruito da Veneto Banca per arginare la grande fuga dei soci. Dalle carte dell'ispezione della Banca d'Italia, che "l'Espresso" ha potuto consultare, emergono le cifre dei finanziamenti accordati ai propri azionisti dalla grande Popolare del Nordest. Sono 27 le operazioni nel mirino, per un totale di 157 milioni di prestiti, e i documenti chiamano in causa anche un vip della tv come Bruno Vespa.
 Nelle carte della Vigilanza si legge che «a fronte dell'intenzione del cliente (cioè Vespa, ndr) di realizzare parzialmente 2 milioni di euro di investimento in azioni Veneto Banca» è stato concesso «un finanziamento di un milione di euro nella forma di scoperto di conto corrente». Il conduttore di "Porta a Porta", proprietario, all'epoca dei fatti, di titoli Veneto Banca per circa 6 milioni, avrebbe quindi ricevuto un prestito a condizione di non vendere il suo pacchetto azionario.
Tra gli altri soci di peso beneficiati da linee di credito milionarie emergono anche i nomi di Giuseppe Stefanel, patron dell'omonimo gruppo di abbigliamento, che ha ricevuto oltre 7 milioni, la famiglia Zoppas, con quasi 10 milioni, e il gruppo Folco di Vicenza, affidato per oltre 16 milioni dalla Popolare con base a Montebelluna, nel trevigiano.
I documenti visionati da "l'Espresso" risalgono al novembre 2013, quando Bankitalia scoperchiò un sistema fatto di prestiti di favore e conflitti d'interessi. Il tutto condito da una costante manipolazione dei dati di bilancio, a cominciare dalla valutazione dei crediti a rischio. Nasce da qui un'inchiesta giudiziaria della procura di Roma affidata al Nucleo speciale di Polizia Valutaria della capitale. La svolta clamorosa è arrivata a fine febbraio quando decine di agenti della Guardia di Finanza hanno perquisito la sede della banca. Sotto accusa è finita la gestione di Vincenzo Consoli, in sella dal 1997 prima come amministratore delegato e poi, dall'anno scorso, con i gradi di direttore generale. Consoli, insieme all'ex presidente Flavio Trinca (anche lui in carica dal 1997) sono indagati per aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza. Solo nei prossimi mesi si capirà se queste ipotesi di reato approderanno in un'aula di tribunale. Intanto, fin dall'anno scorso, Bankitalia ha imposto il rinnovo dell'intero consiglio di amministrazione di Veneto Banca.
Nel merito, però, l'istituto di Montebelluna ha rispedito al mittente gran parte dei rilievi formulati dagli ispettori. L'indagine interna ha fatto emergere «una situazione significativamente diversa», si legge nel dossier difensivo. I 157 milioni di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie? Macché. Al massimo 37 milioni, protestano i manager di Consoli. E nella lista dei presunti errori della Vigilanza viene citato anche il "caso Vespa". Il pacchetto di titoli del conduttore tv sarebbe stato acquistato con «disponibilità proprie». Nessun trattamento di favore, quindi.
Anche Vespa reagisce attaccando. Interpellato da "l'Espresso", si dichiara «molto sorpreso di quanto scritto nei documenti della Vigilanza» e nega di aver mai ricevuto prestiti per comprare azioni di Veneto Banca. Gli scoperti segnalati dagli ispettori - afferma il giornalista - sarebbero in realtà serviti ad acquistare «titoli quotati alla Borsa di Milano». Vespa afferma di aver liquidato quasi del tutto l'investimento, messo in vendita già negli ultimi mesi del 2010. L'operazione si sarebbe completata solo nel 2013. Va ricordato che le azioni Veneto Banca non sono quotate sul listino ufficiale. La compravendita di titoli viene gestita dalla banca stessa, che stabilisce anche il prezzo delle azioni, aggiornato ogni anno sulla base di una perizia. Da mesi questo mercato informale è andato in tilt. Le richieste di rimborso si sono moltiplicate e migliaia di azionisti non riescono a disfarsi dei titoli. Peggio ancora. Dopo un ventennio di rialzi, Veneto Banca ha tagliato il prezzo delle azioni da 39,5 a 30,5 euro. Un ribasso del 22 per cento che significa perdite sicure per gran parte dei soci che d'ora in poi decideranno di liquidare l'investimento. Vespa invece è riuscito ad afferrare un salvagente prima che si scatenasse la tempesta.
Storia finita, allora? Non proprio, visto che il giornalista precisa di essere ancora socio di Veneto Banca. Le quote che ancora possiede - spiega - derivano dalla conversione delle obbligazioni comprate dopo aver liquidato una parte del suo pacchetto di azioni. A ben guardare, poi, non si è spezzato neppure il rapporto personale che lo lega a Consoli. Vespa e il banchiere, quest'ultimo tramite la moglie, hanno acquistato insieme un'azienda vinicola in Puglia, dove si produce Primitivo di Manduria. All'affare ha partecipato anche la famiglia di Paolo Rossi Chauvenet, un dentista padovano, amico di Consoli, uscito solo l'anno scorso dal consiglio di amministrazione della Popolare. L'investimento risale al 2008, finanziato negli anni successivi dai soci per oltre 3 milioni di euro.
Bei tempi, quelli. Veneto Banca veniva celebrata come uno dei simboli del Nordest ricco e rampante. La grande pulizia di bilancio, imposta dalla Banca d'Italia e poi anche dalla nuova Vigilanza europea della Bce, ha fatto emergere perdite fino ad allora coperte dalle più disparate acrobazie contabili. Il bilancio del 2014, riveduto e corretto, si è chiuso con una perdita di quasi un miliardo. È emerso, come detto, che l'istituto guidato da Consoli aveva erogato crediti per l'acquisto di azioni proprie. Questa manovra corrisponde a una sorta di doping finanziario. I muscoli della banca, cioè i mezzi propri, vengono gonfiati grazie ai fidi accordati dalla banca stessa.
La girandola milionaria ha coinvolto anche i vertici dell'istituto, amministratori e sindaci in particolare. I documenti della Vigilanza citano per esempio il «consistente finanziamento» concesso «con modalità irregolari» ad Attilio Carlesso, un commercialista di Verona a cui sarebbero riconducibili crediti per circa 9 milioni. Carlesso fino all'anno scorso presiedeva il comitato remunerazioni di Veneto Banca. Un comitato di grande importanza strategica, visto che deve dare via libera ai compensi di tutto il gruppo dirigente dell'istituto.
Oltre a Carlesso, anche Francesco Biasia, un altro dei tre componenti del comitato remunerazioni, ha ricevuto prestiti consistenti dalla Popolare, per un totale di 8,8 milioni. Il terzetto era completato da Rossi Chauvenet. Proprio lui, l'amico e socio di Consoli, il gran capo della banca. Con queste credenziali, l'indipendenza del comitato appare quantomeno discutibile. E infatti, anche in tema di stipendi gli ispettori non hanno potuto fare a meno di segnalare «prassi non conformi» alle regole fissate da Bankitalia soprattutto - si legge - per quanto riguarda gli «emolumenti lordi complessivi attribuiti all'amministratore delegato», cioè Consoli. Il quale godeva di uno stipendio, 3,6 milioni di euro, superiore a quello di gran parte dei suoi colleghi a capo di banche anche molto più grandi. Federico Ghizzoni, numero uno di Unicredit, nel 2013 ha guadagnato 2,3 milioni. Consoli ha ricevuto 3,6 milioni anche nel 2014, con il bilancio in rosso e le indagini in corso.
Per il futuro prossimo, però, le incognite non mancano. Incombe l'inchiesta della magistratura e Banca d'Italia non ha ancora concluso il suo lavoro. Consoli intanto gioca in difesa. Come avvocato si è scelto un principe del foro come Franco Coppi, il legale che ha difeso Silvio Berlusconi nel processo Ruby e Giulio Andreotti dalle accuse di mafia. Il banchiere ha poi conferito buona parte dei beni di famiglia a un fondo patrimoniale, uno strumento giuridico che, a determinate condizioni, assicura protezione dalle pretese dei creditori. Il fondo è stato costituito il 23 aprile del 2014. Tre giorni dopo, Consoli si è presentato dimissionario all'assemblea dei soci.
Tra gli altri soci di peso beneficiati da linee di credito milionarie emergono anche i nomi di Giuseppe Stefanel, patron dell'omonimo gruppo di abbigliamento, che ha ricevuto oltre 7 milioni, la famiglia Zoppas, con quasi 10 milioni, e il gruppo Folco di Vicenza, affidato per oltre 16 milioni dalla Popolare con base a Montebelluna, nel trevigiano.
I documenti visionati da "l'Espresso" risalgono al novembre 2013, quando Bankitalia scoperchiò un sistema fatto di prestiti di favore e conflitti d'interessi. Il tutto condito da una costante manipolazione dei dati di bilancio, a cominciare dalla valutazione dei crediti a rischio. Nasce da qui un'inchiesta giudiziaria della procura di Roma affidata al Nucleo speciale di Polizia Valutaria della capitale. La svolta clamorosa è arrivata a fine febbraio quando decine di agenti della Guardia di Finanza hanno perquisito la sede della banca. Sotto accusa è finita la gestione di Vincenzo Consoli, in sella dal 1997 prima come amministratore delegato e poi, dall'anno scorso, con i gradi di direttore generale. Consoli, insieme all'ex presidente Flavio Trinca (anche lui in carica dal 1997) sono indagati per aggiotaggio e ostacolo alla Vigilanza. Solo nei prossimi mesi si capirà se queste ipotesi di reato approderanno in un'aula di tribunale. Intanto, fin dall'anno scorso, Bankitalia ha imposto il rinnovo dell'intero consiglio di amministrazione di Veneto Banca.
Nel merito, però, l'istituto di Montebelluna ha rispedito al mittente gran parte dei rilievi formulati dagli ispettori. L'indagine interna ha fatto emergere «una situazione significativamente diversa», si legge nel dossier difensivo. I 157 milioni di finanziamenti per l'acquisto di azioni proprie? Macché. Al massimo 37 milioni, protestano i manager di Consoli. E nella lista dei presunti errori della Vigilanza viene citato anche il "caso Vespa". Il pacchetto di titoli del conduttore tv sarebbe stato acquistato con «disponibilità proprie». Nessun trattamento di favore, quindi.
Anche Vespa reagisce attaccando. Interpellato da "l'Espresso", si dichiara «molto sorpreso di quanto scritto nei documenti della Vigilanza» e nega di aver mai ricevuto prestiti per comprare azioni di Veneto Banca. Gli scoperti segnalati dagli ispettori - afferma il giornalista - sarebbero in realtà serviti ad acquistare «titoli quotati alla Borsa di Milano». Vespa afferma di aver liquidato quasi del tutto l'investimento, messo in vendita già negli ultimi mesi del 2010. L'operazione si sarebbe completata solo nel 2013. Va ricordato che le azioni Veneto Banca non sono quotate sul listino ufficiale. La compravendita di titoli viene gestita dalla banca stessa, che stabilisce anche il prezzo delle azioni, aggiornato ogni anno sulla base di una perizia. Da mesi questo mercato informale è andato in tilt. Le richieste di rimborso si sono moltiplicate e migliaia di azionisti non riescono a disfarsi dei titoli. Peggio ancora. Dopo un ventennio di rialzi, Veneto Banca ha tagliato il prezzo delle azioni da 39,5 a 30,5 euro. Un ribasso del 22 per cento che significa perdite sicure per gran parte dei soci che d'ora in poi decideranno di liquidare l'investimento. Vespa invece è riuscito ad afferrare un salvagente prima che si scatenasse la tempesta.
Storia finita, allora? Non proprio, visto che il giornalista precisa di essere ancora socio di Veneto Banca. Le quote che ancora possiede - spiega - derivano dalla conversione delle obbligazioni comprate dopo aver liquidato una parte del suo pacchetto di azioni. A ben guardare, poi, non si è spezzato neppure il rapporto personale che lo lega a Consoli. Vespa e il banchiere, quest'ultimo tramite la moglie, hanno acquistato insieme un'azienda vinicola in Puglia, dove si produce Primitivo di Manduria. All'affare ha partecipato anche la famiglia di Paolo Rossi Chauvenet, un dentista padovano, amico di Consoli, uscito solo l'anno scorso dal consiglio di amministrazione della Popolare. L'investimento risale al 2008, finanziato negli anni successivi dai soci per oltre 3 milioni di euro.
Bei tempi, quelli. Veneto Banca veniva celebrata come uno dei simboli del Nordest ricco e rampante. La grande pulizia di bilancio, imposta dalla Banca d'Italia e poi anche dalla nuova Vigilanza europea della Bce, ha fatto emergere perdite fino ad allora coperte dalle più disparate acrobazie contabili. Il bilancio del 2014, riveduto e corretto, si è chiuso con una perdita di quasi un miliardo. È emerso, come detto, che l'istituto guidato da Consoli aveva erogato crediti per l'acquisto di azioni proprie. Questa manovra corrisponde a una sorta di doping finanziario. I muscoli della banca, cioè i mezzi propri, vengono gonfiati grazie ai fidi accordati dalla banca stessa.
La girandola milionaria ha coinvolto anche i vertici dell'istituto, amministratori e sindaci in particolare. I documenti della Vigilanza citano per esempio il «consistente finanziamento» concesso «con modalità irregolari» ad Attilio Carlesso, un commercialista di Verona a cui sarebbero riconducibili crediti per circa 9 milioni. Carlesso fino all'anno scorso presiedeva il comitato remunerazioni di Veneto Banca. Un comitato di grande importanza strategica, visto che deve dare via libera ai compensi di tutto il gruppo dirigente dell'istituto.
Oltre a Carlesso, anche Francesco Biasia, un altro dei tre componenti del comitato remunerazioni, ha ricevuto prestiti consistenti dalla Popolare, per un totale di 8,8 milioni. Il terzetto era completato da Rossi Chauvenet. Proprio lui, l'amico e socio di Consoli, il gran capo della banca. Con queste credenziali, l'indipendenza del comitato appare quantomeno discutibile. E infatti, anche in tema di stipendi gli ispettori non hanno potuto fare a meno di segnalare «prassi non conformi» alle regole fissate da Bankitalia soprattutto - si legge - per quanto riguarda gli «emolumenti lordi complessivi attribuiti all'amministratore delegato», cioè Consoli. Il quale godeva di uno stipendio, 3,6 milioni di euro, superiore a quello di gran parte dei suoi colleghi a capo di banche anche molto più grandi. Federico Ghizzoni, numero uno di Unicredit, nel 2013 ha guadagnato 2,3 milioni. Consoli ha ricevuto 3,6 milioni anche nel 2014, con il bilancio in rosso e le indagini in corso.
Per il futuro prossimo, però, le incognite non mancano. Incombe l'inchiesta della magistratura e Banca d'Italia non ha ancora concluso il suo lavoro. Consoli intanto gioca in difesa. Come avvocato si è scelto un principe del foro come Franco Coppi, il legale che ha difeso Silvio Berlusconi nel processo Ruby e Giulio Andreotti dalle accuse di mafia. Il banchiere ha poi conferito buona parte dei beni di famiglia a un fondo patrimoniale, uno strumento giuridico che, a determinate condizioni, assicura protezione dalle pretese dei creditori. Il fondo è stato costituito il 23 aprile del 2014. Tre giorni dopo, Consoli si è presentato dimissionario all'assemblea dei soci.
di Vittorio Malagutti da L'Espresso
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