Quotidiano | Rassegna stampa | Categorie: Banche

Veneto Banca, Giorgio Meletti spiega come Consoli salvò l'amico Vespa dal disastro

Di Rassegna Stampa Mercoledi 20 Luglio 2016 alle 09:47 | 0 commenti

ArticleImage

Il colpo fortunato la famiglia Vespa l’ha fatto nel luglio del 2013, quando il consiglio d'amministrazione di Veneto Banca ha deliberato il riacquisto da Bruno Vespa, conduttore di Porta a Porta, di 267958 azioni della banca. Con lui si sono liberati di quasi tutta la partecipazione gli altri membri della famiglia: la moglie Augusta Iannini (6416 azioni), e i figli Alessandro e Federico (2555 azioni a testa). In tutto 279484 azioni vendute al prezzo massimo mai raggiunto dal titolo e all’ultimo momento buono per salvare il gruzzolo: 11 milioni 332 mila euro. A quanto pare la famiglia Vespa è riuscita a vendere le azioni prima che si polverizzassero, scavalcando la lista d’attesa. Un’irregolarità della quale dovranno rispondere gli uomini della banca, mentre Vespa è stato solo l’utilizzatore finale.

DAI PRIMI INDIZI gli ispettori della Bce ipotizzano che la responsabilità vada fatta risalire allo storico dominus di Veneto Banca, Vincenzo Consoli, vecchio amico e socio del popolare giornalista. Non sono certo Bruno Vespa e i suoi cari ad aver provocato il disastro da 5 miliardi di euro di Veneto Banca, eppure la loro storia è esemplare di come funzionassero gli affari di Consoli, che ha spadroneggiato sulla banca fino a un anno fa, attento e generoso con gli amici, spietato con gli sconosciuti. È in questo quadro che i fortunati affari di casa Vespa sono, insieme ad altri, all’attenzione degli ispettori della Bce, della Guardia di Finanza e dei sostituti procuratori di Roma Maria Sabina Calabretta e Stefano Pesci. Insieme alle classiche indagini per falso in bilancio, aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza, la magistratura deve vagliare le denunce di coloro che si ritengono truffati da Veneto Banca. Finora almeno un migliaio.
Veneto Banca non è mai stata quotata in Borsa e, come la gemella Popolare di Vicenza, decideva in assemblea il valore delle azioni che, durante la galoppata di Consoli, sono volate dai 18,34 euro del 2001 ai 40,75 del 2013. Chi voleva vendere si rivolgeva alla banca, che ritirava i titoli e trovava un altro socio a cui piazzarle. Una specie di catena di Sant'Antonio solida anche negli anni della crisi: quando è iniziata, nel 2007, le azioni valevano 33 euro ma hanno continuato a salire anno per anno fino ai massimi ai quali sono riusciti a vendere i Vespa. Consoli nel 2013 subì il divieto di Bankitalia di distribuire dividendi perché il bilancio 2012 si era chiuso per la prima volta in rosso. Indifferente agli scricchiolii, fece approvare dall’assemblea un aumento del valore delle azioni, da 40,25 a 40,75 euro, “per dare comunque soddisfazione ai soci”. Ma era chiaro che il castello di carte e di illusioni cominciava a sgretolarsi e si stava già aprendo il baratro in cui, due mesi fa, i 5 miliardi di euro in azioni Veneto Banca che gli 80 mila soci credevano di avere in tasca si sono azzerati di colpo. A maggio 2013, meno di un mese dopo quella incredibile assemblea dei soci, la famiglia Vespa a ranghi compatti, illuminata da un'intuizione felicissima, chiese la vendita delle sue 279 mila azioni. Dopo soli due mesi Consoli eseguì, consentendo al cliente una soddisfacente plusvalenza.
COMINCIAI a comprare azioni di Veneto Banca nel 2001”, ha detto Vespa a Giovanna Boursier di Report il 10 aprile scorso. Consoli era generosissimo con i dividendi: dal 2001 a oggi ogni azione ha ottenuto cedole per complessivi 22 euro, per cui si può stimare che negli anni a casa Vespa siano piovuti profitti da Montebelluna per non meno di 2-3 milioni. Quanto basta, insieme alla plusvalenza ottenuta con la vendita del 2013, a compensare ampiamente la perdita di 873 mila euro che Vespa ha lamentato nell’intervista a Report per azioni e obbligazioni rimaste in suo possesso fino al momento del disastro.
Gli affari tra Vespa e Consoli rimangono in parte misteriosi. Indubbia l’amicizia tra i due, nata nel 2000 e culminata nel 2011conl’acquistoinsocietàdi una prestigiosa masseria in Puglia. Ma nell’intervista a Report Vespa ha fatto due affermazioni che non trovano riscontro nei documenti. Afferma di aver chiesto di vendere le sue azioni nel 2010, dopo che L'Espresso aveva pubblicato i dettagli sul suo pacchetto azionario che valeva allora 6,7 milioni di euro: “Mi sembrava una violazione della privacy talmente enorme e anche talmente rischiosa insomma, che io mi infuriai con Veneto Banca, anche se loro dissero che non c’entravano niente, ma insomma, e chiesi di vendere immediatamente tutte le azioni”. Non solo: “Chiesi di poter vendere e non riuscii a vendere. Io ho premuto, insistito in maniera costante per 2 anni e 8 mesi e dopo 2 anni e 8 mesi, nell’estate del 2013, son riuscito a vendere una parte rilevante delle azioni”. Strano.
Non ci fu nessuna violazione della privacy, visto che L ' Espresso si limitò a notare che Vespa si era presentato all’assemblea di bilancio facendo depositare le sue azioni da un delegato. Tutto più che pubblico. Interpellato dal Fatto l'interessato conferma la sua tesi: “Non immaginavo che la quantità di azioni possedute dai soci potessero finire sui giornali. Essendoci il voto capitario (una testa, un voto) il numero di azioni era irrilevante, ma ribadisco che pubblicare la quantità di risparmio che un privato cittadino affida a una banca rappresenta una grave violazione della privacy”.
LA RICHIESTA di vendere le azioni negli archivi della banca risulta datata maggio 2013 e non autunno 2010. E Vespa, dopo l’assemblea dell’aprile 2010, ha continuato a comprare azioni Veneto Banca: l’ultimo acquisto è datato 19 dicembre 2012, precisamente 10958 pezzi per 441 mila euro. Sul punto il giornalista ha una spiegazione: “Alla fine del 2012 Veneto Banca, azionista di BIM (Banca Intermobiliare) pubblicò una offerta di concambio tra azioni delle due banche. Azionista da anni di BIM, ritenni tecnicamente conveniente accettare. Ma non si trattò di un nuovo acquisto”. Quanto alla vendita delle azioni, Vespa insiste su una versione diversa da quella che risulta dai documenti: “Ribadisco di aver chiesto dal 2010 di vendere le azioni mie e dei miei familiari, come Consoli e il dirigente che gestiva i miei rapporti con la banca potranno confermare in qualunque sede. È tuttavia gravissimo aver impiegato quasi tre anni per vendere delle azioni perché mai, al momento dell’acquisto, mi fu detto che le azioni erano negoziabili con tanta, abnorme difficoltà”. Nonostante tutto Vespa è rimasto amico di Consoli, indagato proprio per aver ingannato migliaia di risparmiatori alla stessa maniera.
Nel luglio 2010, tra l’altro, i rapporti di Vespa con i banchieri erano fantastici, e non gli mancavano occasioni per informarsi sulla liquidità delle azioni Veneto Banca. Proprio in quei giorni furoreggiarono i retroscena sulla cena a casa Vespa a cui parteciparono il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, il sottosegretario Gianni Letta, il capo dell'Udc Pier Ferdinando Casini, il governatore della Banca d'Italia Mario Draghi, il segretario di Stato Vaticano Tarcisio Bertone e il banchiere Cesare Geronzi. Rapporti importanti. Sulla Repubblica Alberto Statera aveva scritto che, quando Geronzi era il dominus di Capitalia, la società Edizioni Fotogramma della famiglia Vespa veniva pagata 1,2 miliardi di lire l’anno per la rivista patinata della banca romana: venti miliardi di lire in tutto.
Per gli attuali vertici di Veneto Banca, ma anche per Consob e magistratura, la questione delle liste d’attesa per riuscire a vendere le azioni prima del disastro è spinosissima. La Guardia di Finanza dispone di report interni secondo i quali “nel solo 2013 erano rimaste inevase 1006 richieste di vendita provenienti da soci con azioni depositate presso altre banche; di queste 203 erano pervenute prima della richiesta del cliente Vespa”. In quella seduta del cda del 23 luglio 2013 quello di Vespa è risultato il secondo maggior pacchetto riacquistato, a ridosso di quello dell'industriale Giuseppe Stefanel, che in un colpo solo si è liberato di 329milaazioniperunvaloredi oltre 13 milioni di euro.
Già a dicembre scorso il presidente del collegio sindacale Marcello Condemi, commentando la svalutazione delle azioni a 7,3 euro (un Eldorado rispetto all'attuale valore di 10 centesimi) accusò il consiglio d'amministrazione di Veneto Banca per “la sostanziale inerzia nell’intraprendere azioni volte a creare discontinuità con pregresse prassi e gestioni, all’accertamento di responsabilità, al fenomeno rilevantissimo delle movimentazioni azionarie tra i soci”. Gli ispettori della Bce hanno rilevato che la banca ha ricevuto reclami da 2457 soci, per oltre 8 milioni di azioni che non sono state vendute tempestivamente. Scrivono gli ispettori: “Mediante alcune operazioni ad hoc effettuate dalla banca, l’ex DG (Consoli, ndr) è riuscito a soddisfare le richieste di vendita per circa 4 milioni di azioni senza rispettare la priorità degli ordini”. In generale, “tra l’1/1/2013 e il 31/12/2014, 3.965 ordini di vendita riguardanti circa 8,5 milioni di azioni di Veneto Banca B sono stati eseguiti senza rispettare i criteri di priorità. La potenziale perdita subita dai clienti, derivante dalla forte riduzione del prezzo delle azioni successiva alla presentazione dell’ordine di vendita, ammonta attualmente a circa 80 milioni di Euro”. In realtà questo dato è precedente all’azzeramento delle azioni. Oggi i danni a cui potrebbe far fronte il nuovo azionista, il fondo Atlante, potrebbero superare i 300 milioni di euro.
Di Giorgio Meletti, da Il Fatto Quotidiano

Leggi tutti gli articoli su: Veneto Banca, Vincenzo Consoli, Report, Bruno Vespa

Commenti

Ancora nessun commento.
Aggiungi commento

Accedi per inserire un commento

Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.





Commenti degli utenti

Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
Gli altri siti del nostro network