Università «Steve Jobs»: l'importanza di un inutile corso di calligrafia. Anche per il direttore di VicenzaPiù
Domenica 5 Febbraio 2017 alle 18:50 | 0 commenti
Un momento intenso della storia degli incontri tra impresa e accademia è la straordinaria lezione breve di Steve Jobs all'università di Stanford nel 2005 . Di fronte a un pubblico accaldato e sorridente, e sullo sfondo di uno stuolo di decani togati, Jobs snocciola tre piccole parabole. Se non avete mai guardato il video, potete fare a questo punto un esercizio di immaginazione, basandovi su quello che sapete di Jobs (il fondatore di Apple - Mac, iPad, iPhone, ecc. e Pixar - Toy Story, ecc. ecc.) e di Stanford (l'università regina della Silicon Valley); magari richiamando alla mente tutto quello che i media ci hanno detto negli ultimi anni su start up, incubatori, innovazione, internet, inglese e impresa (nella foto scattata a Copertino nel maggio 1985 il nostro direttore Giovanni Coviello è di fronte a Steve Jobs. È il terzo o quarto, se si conta la testa di un altro presente, ma è uno di quelli a cui Jobs ha detto qualcosa di molto importante prima, molto prima del suo celebre discorso. Ndr)
Vengono probabilmente alla mente luoghi comuni e anzi comunissimi, come lavorare sodo, seguire i corsi di insegnanti stellari pagati a peso d'oro per portare cultura d'impresa nell'accademia, lavorare a un trasferimento accelerato dal laboratorio alla produzione, imparare a trattare con il venture capital, stilare piani aggressivi di marketing, negoziare stipendi alti commisurati al proprio valore.
Nel suo discorso, Jobs dice sostanzialmente tre cose. Uno, che l'aver seguito un inutilissimo corso complementare di calligrafia fu quello che gli permise poi, dieci anni dopo, di progettare un certo tipo di computer che ha cambiato il modo di lavorare di tutti: l'interfaccia grafica del Mac e dei suoi imitatori nasce da un'ossessione per l'eleganza della scrittura e della tipografia. Due, che la cosa migliore che potesse capitargli nella vita fu di venir licenziato dalla società che egli stesso aveva creato. Tre, che il miglior modo di essere creativi è di ricordarsi, giorno dopo giorno, che si è mortali.
Se l'ultimo punto, mistico, ci riporta alla vicenda personale di Jobs, alla malattia che lo ha accompagnato negli ultimi anni di vita, e se il secondo racconta soprattutto un caso molto particolare e forse irripetibile di traiettoria aziendale - la creazione di Next e di Pixar - il primo dovrebbe farci meditare sul ruolo strano e difficile dell'università nella società . Come dice Jobs, il filo conduttore sarà chiaro solo alla fine del percorso. All'inizio, c'è soltanto la fiducia nel fatto che in qualche modo un filo conduttore lo si troverà . Senza questa fiducia, non si otterrà comunque nulla. Ma la promessa del futuro non ha un contenuto preciso. Non possiamo sapere oggi quello che servirà domani, perché non abbiamo la minima idea di come sarà fatto il domani. Intanto impariamo qualcosa di bello e di difficile, come l'intricata complessità visiva della parola scritta e del carattere tipografico.
L'università sta finendo a poco a poco ma inesorabilmente nelle mani di una cultura del management aziendale che le è perfettamente estranea e che finirà con l'essere controproducente anche rispetto agli scopi più in sintonia con quella cultura: produttività , ottimizzazione, e ricadute sulla società e sull'economia. Come ha mostrato in modo convincente Yuval Noah Harari in Da animali a dèi (Bompiani, 2015), la ricerca e l'università dall'inizio dell'era moderna sono sempre comunque al servizio della società e in particolare dei suoi fini imperialistici e di espansione economica. Negarlo significa autoaccecarsi non solo sul ruolo della ricerca, ma anche e soprattutto sul perché esistano qualcosa come una ricerca e un'università tanto per cominciare. D'accordo (per concedere il punto), ma questo non significa tuttavia che la ricerca e l'università possano funzionare nel modo in cui funziona un'azienda, e in particolare non significa che funzionando in questo modo possano rendere i servigi che ci si attende da esse. Nessun consiglio di amministrazione aziendale spargerà mai una lacrima sulla cancellazione di un inutilissimo corso di calligrafia.
di Roberto Casati, da Il Sole 24 Ore
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