Un'analisi del disagio
Venerdi 13 Novembre 2009 alle 18:13 | non commentabile
Caritas diocesana vicentina
UN DISAGIO "DI CONTESTO" CHE RICHIEDE POLITICHE E PRASSI NUOVE
L'analisi della Caritas Vicentina a partire da una ricerca sociologica
sulla propria esperienza attraverso i tredici sportelli
a favore delle persone e delle famiglie in momentanea difficoltà economica
Vicenza, 13 novembre 2009. La Caritas diocesana, al fine di leggere i bisogni nel modo meno inadeguato possibile, evidenzia alla società e alle comunità cristiane una trama interpretativa dei fenomeni sociali legati alle difficoltà economiche delle famiglie. E' il risultato di una duplice indagine: quantitativa, che prende in esame l'esperienza maturata in tre anni (2006-2008) nell'attività dei tredici sportelli che operano in favore delle persone e delle famiglie in temporanea difficoltà economica e qualitativa, attraverso interviste in profondità , focalizzata sul profilo umano e sociale di che soprattutto nell'ultimo anno è stato investito dalla crisi economica e lavorativa.
Un'analisi che non può prescindere da una prima constatazione: sono aumentati sia il numero degli sportelli di microcredito presenti sul territorio, che il numero delle persone che vi si sono rivolte, segni questi di un disagio crescente che ha bisogno di risposte alternative rispetto a quelle offerte dalle istituzioni che non paiono essere adeguate al profilo dei nuovi bisogni.
Il profilo delle persone ascoltate e i bisogni espressi
A rivolgersi agli sportelli per richiedere un prestito a causa di momentanee difficoltà economiche, nel triennio 2006-2008, sono prevalentemente gli uomini (58,3%). Il 58,4% delle persone in cerca di aiuto è italiano, mentre tra gli stranieri prevalgono le origini africane per gli uomini e le provenienze dall'Est Europa per le donne.
Se le richieste sono formulate principalmente da adulti di età compresa tra i 40 e i 49 anni (36,9%), va però annotato che nel corso del triennio la domanda arriva da persone sempre più i giovani: se nel 2006 c'era un giovane con meno di 40 anni ogni quattro persone ascoltate (26,2%), nel 2008 il rapporto cresce a quasi due giovani su cinque.
Il vissuto di solitudine (per separazioni/divorzi, vedovanza o il non aver mai costruito una famiglia propria) riguarda ben due donne su tre (64,2%). Per converso, nella componente maschile la condizione di legame coniugale o relazionale riguarda il 64,4% degli ascolti.
«La domanda di prestiti al femminile si annida tipicamente nei nuclei monoparentali, per il 38,6%, ed unidimensionali, per il 22,6%, mentre quella maschile coinvolge coppie con figli nel 55,1% dei casi. Va sottolineato anche come nel corso del triennio si assista alla progressiva accentuazione delle situazioni di solitudine» spiega il ricercatore Nicola Doppio.
Un quarto delle persone ascoltate vive una condizione di inattività rispetto al mercato del lavoro (25,7%) e più di un quinto presenta un'occupazione precaria (21,6%). Ma crescono le richieste di un aiuto di chi ha un'occupazione a tempo indeterminato (48,7%).
Posto che agli sportelli si rivolgono persone in una situazione temporanea di difficoltà economica, il 60,7 per cento delle richieste riguarda la conduzione della vita domestica (spese per affitto, bollette, riparazioni improvvise, acquisti per l'abitazione). Tra le altre motivazioni, quelle legate all'accensione di precedenti debiti (17,7%) e nel 16,4 per cento dei casi a spese specifiche (mediche, legali, scolastiche o inerenti ai mezzo di trasporto).
Se fra gli italiani a pesare sono soprattutto i problemi legati a debiti pregressi (22,7%), per gli stranieri assume maggior rilievo le difficoltà di pagare l'affitto (23,7%).
Quasi metà delle richieste di prestiti viene formulata da persone che sostengono di non essersi rivolte a nessun altro in precedenza (49,2%), ma una persona ascoltata su tre dichiara di aver avuto almeno un contatto con i servizi pubblici (33,8%).
Le dimensioni della vulnerabilità e i fattori di impoverimento
«Un primo dato che emerge dalla ricerca - sottolinea il direttore della Caritas Vicentina, don Giovanni Sandonà - è che la fragilità delle persone è una condizione biografica che dipende da diversi fattori: eventi che possono verificarsi nell'ambito del lavoro, dei rapporti sociali, della salute, e infine, culturale. Si nota quasi sempre un concatenarsi di fattori che se presi singolarmente possono anche considerarsi non negativi, ma che rendono profondamente vulnerabili quando si presentano contemporaneamente. I singoli fattori hanno ovviamente pesi diversi e sicuramente quello che determina spesso l'avvio di una spirale negativa è legato al lavoro e alla mancanza del reddito relativo».
Riflessioni e percorso possibili
Che tipo di sostegno ricevono dalla nostra società le persone in difficoltà economica? Dallo spaccato che emerge dalla ricerca della Caritas Vicentina si evidenzia anzitutto che le politiche di aiuto sembrano non riuscire a considerare la vulnerabilità delle persone come un processo ed infatti prevedono forme di contrasto che si limitano ad intervenire su una singola dimensione fra quelle che mettono in difficoltà la persona. «Le politiche sociali, oggi, insomma, non tengono conto degli effetti sistemici, riuscendo così ad incidere davvero poco sulle cause dei problemi» sottolinea Nicola Doppio. Gli interventi delle istituzioni si caratterizzano poi per essere "di bassa soglia": proteggono solo dal degrado e dalla miseria più totale.
«Ci sono problemi anche di fruibilità dei servizi erogati dal pubblico, legati alla difficoltà di accesso alle informazioni giuste, in particolare per chi è povero di strumenti o le cui reti di supporto sono poco estese» avverte Doppio.
A volte, addirittura, il rischio è di aggravare la situazione: «la mancata presa in carico delle persone e la percezione di queste di dover negoziare ogni singolo aiuto, le mette in una condizione di umiliazione. Senza contare l'atteggiamento di molte amministrazioni locali verso gli stranieri: pare che l'etica comune si stia rimodellando in chiave discriminatoria, che vede cittadini di seria A e cittadini di serie B». Il povero sembra portatore di una precisa colpa anche per altri soggetti istituzionali: non aver saputo fare tesoro delle risorse che aveva a disposizione. «Ma sono queste rappresentazioni che mantengono chi è nel bisogno il più possibile lontano da un aggancio istituzionale» aggiunge don Sandonà .
Quanto alle reti di sostegno informali, dalla ricerca emerge come gli sportelli Caritas analizzati risultino efficaci perché di confine, policentrici rispetto al territorio, ma soprattutto perché si privilegia la relazione, «tanto che a volte il volte e il nome del volontario rimane così indelebile nel ricordo delle persone, da far passare quasi in secondo piano il soggetto istituzionale Caritas» evidenzia Doppio.
Le direzioni da percorrere
Tre gli ambiti di progettazione ed intervento che i risultati della ricerca invitano a "presidiare".
Il primo è quello scientifico: stabilizzare l'osservazione sociologica sui fenomeni legati alla povertà permette infatti di produrre letture attendibili.
Il secondo è quello organizzativo: creare un maggiore lavoro di rete orizzontale fra i diversi soggetti attivi nell welfare locale e dotarsi di strumenti di lavoro che producano soluzioni innovative, partendo dai problemi, dagli obiettivi e dalle risorse disponibili, non dalle prassi e dalle abitudini esistenti. Per farlo occorre ripensare le politiche sociali, che non devono essere solo trasferimenti monetari e aiuti ma attività capaci di incidere veramente e positivamente sui problemi.
Il terzo è l'ambito politico: è necessario recuperare la cultura dei diritti, rilanciare il ruolo di recezione dei nuovi bisogni, di progettualità ampia(Welfare community) e di garanzia dello Stato e delle pubbliche amministrazioni.