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Una filanda nella società rurale

Di Redazione VicenzaPiù Mercoledi 2 Maggio 2012 alle 09:42 | 0 commenti

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Da VicenzaPiù n. 233, di Irene Rui

La filanda di Lerino, fu tra le più ampie, sia per dimensioni, sia per unità impiegate, della famiglia Bonazzi. La filanda è oggi una scatola svuotata dei suoi significati, riplasmata per essere altro. Sulla filanda ci sono solo poche testimoniane - da me raccolte nel saggio "Donne: serve, regine ed operaie"- due atti notarili, e una vecchia planimetria catastale del 1939, che raccontano del laboratorio di trattura nella zona centrale, su due piani, con le bacinelle riscaldate dal vapore delle caldaie, con gli incannatoi e i filatoi mossi da cinghie azionate dalla forza idraulica della Roggia Tesinella.

Della sala di preparazione e controllo della seta nel sottotetto; del magazzino con il sistema d'essiccamento a vapore. Di quell'edificio i cittadini di Torri di Quartesolo conoscono poco o nulla, se non che è la sede del mobilificio TRE GIMA.

Eppure "la fabbrica di gallette" ha rappresentato nella prima metà del novecento, per il territorio e per il capitalismo imprenditoriale della famiglia Bonazzi, un importante cinquantennio di storia. La filanda raffigurò per la comunità rurale di Torri e dintorni, stretta nella morsa della crisi agraria, dei nuovi duri contratti, di mezzadria, o come obbligati, una prospettiva per uscire dalla miseria. In quel periodo nel territorio non c'era né lavoro, né le attività produttive di oggi; il territorio era tutta campagna coltivata a riso e cereali, dedita all'allevamento del baco da seta e del bestiame. Tre furono le congiunture che portarono i Bonazzi all'acquisto e poi alla trasformazione della bozzoliera Vaccari da magazzino-essiccatoio a filanda serica: la presenza di corsi d'acqua in grado di dare la forza idraulica sufficiente, primo per il vapore, poi per l'elettricità, essenziali per la lavorazione e l'essiccazione; la presenza nel territorio della materia prima e cioè l'allevamento esteso del baco, e per ultimo la disponibilità di manodopera contadina, che a causa della guerra e delle crisi agraria era disposta a qualsiasi occupazione e a qualunque stipendio, pur di alleviare la fame. Disponibile altresì a mettere a disposizione le braccia femminili pur di introitare il magro guadagno agricolo.
In filanda vi lavoravano dalle 300 alle 500 operaie, alle quali erano assegnate circa 200 bacinelle, e nelle otto ore producevano più di due chili di seta a testa. Circa 28.000 chilogrammi mensili, di seta per operaia. Le filandaie di Lerino lavoravano anche di sabato, tranne nel caso di calo delle ordinazioni o per decisione dell'azienda. In queste occasioni si praticava "il sabato inglese"; cioè non c'era un orario preciso, si lavorava fino all'esaurimento delle ceste dei bozzoli a disposizione, poiché le linee di bacinella dovevano risultare pulite, altrimenti la materia prima sarebbe marcita. Il lavoro era stagionale e nei mesi più caldi la produzione si bloccava e si procedeva all'essiccazione dei bozzoli con due operaie.
A Lerino vi arrivavano operaie da Grumolo, Camisano, Grisignano e da Gazzo, ma anche da Piazzola, Castegnero, e dal basso vicentino e bassa padovana. Percorrevano decine di chilometri a piedi, con gli zoccoli in mano per non consumarli; partivano all'alba e rientravano alla sera cantando per farsi coraggio. Pranzavano a mezzogiorno, nell'ora di pausa, sedute lungo i fossi o nel cortile della filanda, con un po' di polenta, salame o un uovo.
Il lavoro in filanda, era molto faticoso, sporco e malsano. Le malattie più diffuse erano le bronchiti, i miasmi e talvolta si riscontravano anche casi di TBC, dovuti al continuo prostrarsi sopra le bacinelle e allo stazionamento in zone umide e intrise di vapore. Diffusa era anche la malattia della "mano bianca" nelle scoattine, quelle che dipanavano i bozzoli, poiché le mani, erano sempre a molo nell'acqua a 60-70 gradi, e spesso rimanevano in carne viva o si riempivano di piaghe. Le mani delle ingroppine e delle filatrici, invece, si deformavano a forza di annodare e di inserire con il pollice e l'indice i fili nelle crune di vetro dell'ago a ritmi sostenuti. Tutto procedeva cadenzato a catena, sotto una nube di vapore, necessaria alla lavorazione. Un lavoro faticoso, cui era necessario coordinamento e concentrazione, sia nello scoattare i bozzoli, poiché le "gallette" si dovevano dipanare dalla sericina, ma non perdere la seta, sia nel filare le otto fibre necessarie a comporre il filo di seta, che non dovevano terminare o rompersi. Veloci e concentrate nel filare e ingroppare, le operaie non avevano tempo per chiacchierare o cantare. La distrazione poteva pregiudicare la qualità del filato ed erano multe con il decurtamento del già misero salario, e il licenziamento. La paga che andava dalle 1,10 lire al giorno ai 85 centesimi, a seconda della capacità e professionalità, era appena sufficiente a sfamare l'operaia tanto che nel 1938 la filanda entrò in sciopero. L'assunzione avveniva alla porta: il direttore chiamava le donne e le fanciulle, anche di 12 anni, e le avviava immediatamente in linea. Ogni mattina, erano decine le donne che si presentavano chiedendo lavoro, e poche erano quelle assunte; alle altre si riferiva di ritornare il giorno seguente, per la stessa trafila.
A seguito della chiusura della filanda, nel 1948, molte famiglie furono costrette ad emigrare.

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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