Un libro sulla guerra… per rifiutarla
Sabato 17 Dicembre 2016 alle 10:30 | 0 commenti
La guerra piace a chi non la conosce, affermava già il grande poeta Pindaro, e l'espressione divenne proverbiale; nel Cinquecento Erasmo da Rotterdam la riprese e la commentò nei suoi celebri Adagia. Dalla riflessione erasmiana, ben attenta al problema della pace, tanto che ad essa dedicò sia il primo scritto sia l'ultimo, emerge l'altra grande considerazione: chi conosce la guerra la teme. La paura della più tragica delle attività umane che comporta lutti e distruzioni perché con essa, diceva papa Pio XII:" Tutto è perduto", dovrebbe accompagnare l'uomo in qualsiasi luogo egli si trovi. Promuovere la pace, considerando il male della guerra, è la preoccupazione prima della nuova pubblicazione 1915-1918 La Grande Guerra della povera gente che Galliano Rosset ci propone per i tipi dell'Editrice Veneta e la cura di Nico Veladiano, con Interventi di Roberto Ciambetti, presidente del Consiglio Regionale Veneto e Francesco Pretto, presidente del Consorzio Pro loco Astico Brenta. Il libro è stato presentato a Monticello Conte Otto e sarà riproposto martedì 20 dicembre in Sala Stucchi a Villa Tacchi (Viale della Pace, 89)
Un volume che nei testi e nei disegni, in cui eccelle Rosset, ci presenta proprio quello che i soldati e la popolazione più misera vissero in quegli anni tragici e dove la morte dei soldati accompagnò il dolore delle famiglie e spesso, quando erano padri di famiglia, ulteriore povertà per la moglie e i figli e addirittura qualche figlio nacque dopo la morte del padre.
Molti gli aspetti considerati e illustrati dal "Rancio" alla "Sete"; dalla "Trincea" alla "Maschera antigas", dal "freddo" a quello che è l'emblema della guerra: la corda spinosa, ovvero il filo spinato, prodotto in ben 155 milioni di quintali da parte italiana di quintali e certamente altrettanti da parte austriaca e sparso a piene mani in ogni dove, tanto che dopo la guerra era pericoloso perfino far pascolare gli animali sui prati, dato che avrebbero potuto ingerirne un pezzo.
Aspetti di ogni genere emergono dal testo che evidenzia soprattutto il fronte vicentino, che con quello del Carso era tra i più importanti.
Per il fronte tutta la società italiana in tutti i suoi aspetti era impegnata e numerose sono le tracce, ancor oggi visibili, lasciate: L'acquedotto sul Pasubio, La strada delle 52 gallerie e, un po' dimenticato, quel Voto di Vicenza alla Madonna di monte Berico che ha originato la Festa dell'8 settembre. I vicentini dopo la Strafexpeditrion, temeva il dilagare degli Austriaci nella pianura e con il vescovo Ferdinando Rodolfi, pensarono bene di affidarsi alla Madonna, promettendo la festa annuale e anche la costruzione di una Chiesa votiva, Madonna della pace, quella costruita in zona Stanga a Vicenza.
Con il primo conflitto mondiale cambiò anche la società italiana e i mutamenti restarono anche dopo, in modo particolare "le donne" assunsero ruoli nelle attività lavorative nelle fabbriche belliche, sostituendo i giovani al fronte, ma anche nelle campagne assunsero ruoli di conduzione agricola.
Ma lo sfacelo per la povera gente era sia al fronte sia nelle città e nelle campagne, perché la guerra che sembra attraente, in realtà se la consociamo dobbiamo temerla e temerla in ogni suo aspetto, anche quello delle scenografiche parate e ancor più nei nostri cuori.
Riflettere con l'ausilio delle belle e interessanti illustrazioni di Rosset, sulla Prima guerra mondiale a cent'anni dopo, significa comprendere la sofferenza di milioni di uomini sia stati italiani, austriaci, boemi, cechi, slovacchi, voivodini, ungheresi, romeni, ucraini, polacchi senza dimenticare tedeschi, russi, francesi, inglesi americani, turchi, insomma l'uomo che nella guerra perde veramente la sua dignità e produce stoltamente , come diceva fin dall'antichità Euripide ne Le supplici, dolore e miseria.
Certo dobbiamo fare memoria di quanto accaduto, ma non per "ricordare" semplicemente, ma per riflettere e ciò in particolare nel Vicentino accompagnando le illustrazioni di Rosset con quanto scrivono Carlo Emilio Gadda, Emilio Lussu, Attilio Frescura, Paolo Monnelli, Fritz Weber e Mario Rigoni Stern. Ciò perché i protagonisti di allora, i nostri "nonni" non siano dimenticati, ma soprattutto per fare sempre proprie in ogni luogo del nostro, ancora martoriato, mondo le parole di Pio XII: "con la pace nulla è perduto".
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