Se non ora quando?
Martedi 8 Novembre 2011 alle 22:21 | 0 commenti
Niccolò Della Lucilla, Assemblea Nazionale di Sinistra Ecologia Libertà , aveva inviato prima della "sconfitta" alla camera del governo Berlusconi una tesi che non perde validità a voto espresso. La pubblichiamo.
Nel giorno in cui scrivo, si terrà il voto per l'approvazione del rendiconto economico alla Camera. In tale sede, sarà verificata la presenza o meno di una maggioranza parlamentare a sostegno del Governo Berlusconi. A prescindere dal risultato, la politica mondiale e italiana sembra aver constatato la fine dell'era Berlusconi e del berlusconismo (foto d'archivio).
Premessa l'incognita sulle tempistiche con cui si arriverà alla conclusione di questa buia era della storia italiana, è quanto mai opportuno cominciare una celere pianificazione delle strategie politiche da adottare nei prossimi mesi.
In ambito parlamentare, l'ipotesi più gettonata pare essere la creazione di un governo "del presidente" tecnico di larghe intese, con la nomina di un autorevole personaggio che sappia attuare le riforme necessarie per estrarre l'Italia dal pantano economico creato dal ventennio berlusconiano.
Premesso che non ci è dato sapere quali ricette economiche verrebbero attuate da questo fantomatico e disomogeneo governo di larghe intese, una scelta del genere rischierebbe di destabilizzare ancora di più il melmoso scenario politico italiano ma, soprattutto, minerebbe profondamente le possibilità di vittoria di un campo alternativo a questo centrodestra.
Si ipotizzi un governo in cui il Partito Democratico contribuisca alla creazione di un governo tecnico con il Pdl, l'Udc e le altre forze di destra responsabili dell'attuale disastro italiano. Un qualsiasi governo d'emergenza "bipartisan", è chiaro, attuerebbe misure economiche in salsa liberista marcatamente impopolari nonché creerebbe nell'opinione pubblica una sensazione di indifferenza verso i 2 schieramenti politici. Il PD si ritroverebbe a condividere le responsabilità del disastro economico con il PDL, indebolendo se stesso e quindi tutto il centrosinistra.
In un tale scenario, una parte dell'elettorato progressista cadrebbe nello smarrimento, non percependo più quella naturale differenza culturale e programmatica che vi dovrebbe essere tra i 2 principali poli. Una prima, inevitabile, conseguenza di questo percorso sarà un sensibile aumento dell'astensionismo di sinistra e del peso politico del populismo qualunquista di Grillo. Un centrosinistra, che nei sondaggi veleggia verso un vantaggio del 10% sul centrodestra, nelle future elezioni non riuscirebbe a capitalizzare questo storico risultato, rischiando di non-vincere come fece Prodi, o peggio, di perdere.
Chi nel Partito Democratico vuole con maggior forza un governo "tecnico"desidera anche le conseguenze suddette. Un centrosinistra così indebolito sarebbe indotto a riconsiderare la strategia delle alleanze, stracciando l'accordo di Vasto e ripescando desuete e perdenti formule neo-centriste tese ad un'alleanza prioritaria con le forze conservatrici del Terzo Polo. La miopia o, peggio, la malafede di chi, nel centrosinistra, tende verso questo scenario si commenta da sola.
In tale fase, invece, è assolutamente necessario che il centrosinistra italiano colga l'occasione storica che ha dinanzi a sé. In Italia, una coalizione progressista composta da pochi soggetti politici (5 contro i 16 dell'Unione), coesa a livello culturale e programmatico e vincente nei modi e nelle forme con cui si sono affrontate le recenti elezioni amministrative e la campagna referendaria, non si era mai vista.
E' ora di archiviare la timidezza e di ripescare il coraggio e affrontare a viso alto la peggiore destra d'Europa. Gli eventuali conteggi necessari al Senato si faranno dopo, a bocce ferme.
Prioritario in questa fase è riscoprire la virtù della chiarezza, tanto gradita agli italiani, per impostare un'alternativa politica veramente vincente, che saprà dare all'Italia quella dignità culturale e sociale smarrita ormai da tanti anni.
Se non ora, quando?
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