Scuola, Anna Maria Bellesia: la settimana corta non si può imporre
Lunedi 26 Marzo 2012 alle 22:47 | 0 commenti
Riceviamo da Anna Maria Bellesia e pubblichiamo.
La settimana corta a scuola non può essere imposta dagli enti locali. Per ottenere un risparmio sui trasporti, e aumentare in maniera non esagerata gli abbonamenti degli studenti, si rischia infatti di provocare una catena di problemi conseguenti. Specialmente col tentativo di forzare la situazione, invocando un risolutivo "atto formale dalla Regione".
È pur vero che l'assessore Donazzan si è dichiarata favorevole all'adozione di un calendario unico su cinque giorni per tutto il territorio. Ha riconosciuto però di essere vincolata da una "rigida regolamentazione normativa statale". Si tratta di vincoli che neppure il federalismo "speciale", molto di là da venire, potrà cancellare, perché riguardano il difficile equilibrio di governance che si è delineato con la riforma costituzionale del 2001.
Per esempio, la determinazione del calendario scolastico spetta alla Regione, considerando ovviamente le specificità del territorio. Tuttavia la Regione deve limitarsi alle proprie attribuzioni. Da un lato, non può allungare l'anno scolastico più di tanto, perché questo deve finire prima degli esami di stato, la cui data è fissata dal Ministero a livello nazionale. D'altra parte, è tenuta a rispettare l'autonomia delle singole istituzioni scolastiche, che è fatta "salva" nella Costituzione. Sul punto si è espressa anche la Corte Costituzionale. In particolare, l'articolo 21 della legge 59/1997 attribuisce alle scuole l'autonomia didattica e organizzativa. Si tratta di una norma generale sull'istruzione, non derogabile. Pertanto, articolare l'attività didattica su cinque o sei giorni è una scelta che spetta alle scuole, sentite le esigenze espresse dalla propria utenza, nell'ottica di un miglioramento del servizio e dell'apprendimento degli studenti. I problemi economici non possono essere condizionanti, specie se riguardano un altro servizio pubblico considerato essenziale come i trasporti.
Certamente serve una concertazione, evitando le imposizioni generalizzate a priori, che non reggono sul piano normativo. In secondo luogo, bisogna valutare tutti gli effetti collaterali.
Gli spazi logistici non ci sono per tutte le scuole, e pur ricorrendo alle tensostrutture, oggi tanto di moda, restano vari problemi, quali la necessità di turnazioni con ulteriori ricadute sulla flessibilità degli orari interni in relazione ai pasti. Poco didattico. E quanto verrebbe a costare la struttura da collocare nella cittadella degli studi, prima da 400 posti e poi da 1.200? Non ci sono neppure delle stime precise sui costi per la mensa, che naturalmente ricadrebbero sulle famiglie, oltre a quanto già spendono in misura crescente per contributi scolastici, trasporti, libri di testo e materiali didattici.
In proposito forse vale la pena di ricordare quanto recentemente avvenuto nella Provincia di Bolzano, molto più "autonoma" del Veneto. A gennaio la Giunta altoatesina ha deliberato il calendario scolastico 2012/13 con la settimana corta di 5 giorni per tutte le scuole e quattro finestre per le vacanze. Forte di un sondaggio che dava l'80% delle famiglie favorevole al sabato libero per i propri figli, il presidente Durnwalder ha giustificato la scelta della settimana corta come il sistema che "meglio si adatta alle moderne esigenze delle famiglie", con un occhio all'Europa, come si usa di questi tempi. Inoltre, ha detto, si abbattono del 12% i costi di trasporto degli alunni e del 20% i costi di gestione degli edifici. Come è andata a finire? Intanto il Governo ha impugnato la disposizione sul calendario in quanto lesivo dell'autonomia scolastica, norma generale dello Stato che le Regioni devono rispettare. Sulla stessa linea i genitori, toccati pure nel portafoglio per i costi delle mense. A Merano in 120 hanno sottoscritto un ricorso al TAR. Quanto ai docenti, prima ci hanno provato ad applicare la novità , poi di fronte alle enormi difficoltà hanno cominciato ad inviare una valanga di e mail di protesta contro il "diktat" della Giunta. Perché buttare nelle immondizie, dicono, ottimi e sperimentati modelli di orari scolastici?
Tutto questo succederà anche da noi se non si valutano prudentemente tutti gli aspetti.
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