Roma tettona
Mercoledi 15 Agosto 2012 alle 09:36 | 0 commenti
Il mio primo incontro con Roma risale a circa mezzo secolo fa. Era appena finito l'anno scolastico e i miei fraterni amici, Giancarlo e Umberto, mi fecero una proposta, per quei tempi, quasi sconvolgente. Il loro padre, ex ufficiale, era stato richiamato per qualche mese a Roma , credo, per rinfrescare le sue nozioni militari. Il tempo stava per compiersi e lui propose ai figli di raggiungerlo e di rientrare insieme, dopo qualche giro, turistico, a Vicenza in macchina.
Adesso per me e, forse anche altri, un viaggio così lungo in macchina non è apprezzato, ma allora per giovani garzoncelli di 16 anni era una proposta che non si poteva rifiutare. E io cosa c'entravo? I miei amici lo erano a tal punto che un viaggio e soggiorno a Roma, senza il loro amico del cuore, non sarebbe stato concepibile.
Il loro padre disse Ok e noi partimmo.
Beh, Roma fu per noi uno choc. La città era così bella, così grande, così maestosa, e le sue ragazze così belle, che ne fummo entusiasti. Giovanni, il padre dei miei amici, fu un virgilio eccellente e ci fece vedere un sacco di cose che allora mi piacquero normalmente, ma che , rivisitandole negli anni successivi, mi presero il cuore. Proprio così.
Ci fu anche il periodo romano di esami e concorsi durante il quale ero talmente sotto pressione che essere nella capitale oppure a Barletta sarebbe stata la stessa cosa. Negli ultimi anni frequento questa città abbastanza spesso e, quasi ogni volta, riesco a ritagliarmi una giornata o alcune ore per vedere cose che non conosco. E arriviamo al perchè di queste righe. Qualche agosto fa ero a Roma per qualche giorno. C'erano un caldo e un'umiditÃ
Esagerati, sembrava oggi qui a Vicenza. Il sole ti soffocava con i suoi raggi e il selciato bollente trapassava , con il suo calore, la suola delle scarpe tentando di arrostirti i piedi. Me ne vado a gironzolare per vicoli e vicoletti, curiosando , aspettando che arrivi il ponentino e cercando di evitare i gruppi di turisti sfatti che si incontrano in quelle giornate nella capitale,
Nez au vent - come dicono i cugini francesi - giravo per il quartiere della "suburra" quando alla mia destra scorsi una piccola stradina, in leggera salita, con minuscole casette che avevano sicuramente visto giorni migliori. In più c'era, accostato ad una di esse, un grosso glicine con una preziosa ombra che sembrava suggerire una sosta. Queste tipologie urbanistiche mi intrigano molto e, sempre con il naso in aria, incominciai a risalire il vicoletto. Beh, la mia curiosità non fu soddisfatta. Dalla porta accanto all'albero uscì correndo verso di me un tizio con una borsetta in una mano e una sveglia nell'altra. Dopo neanche un secondo si sentirono delle urla femminili che chiedevano aiuto e apparve sulla porta una giovane donna vestita di una sola esigua mutandina e con un fisico che ricordava la Gradisca di Fellini. Il mio esame fu superficiale perché il ladro, tale era, mi stava per investire ed io, per limitare i danni, mi girai di fianco e irrigidii la spalla dal suo lato. Lo scontro vi fu, con danni modesti per me; lui però, come accade nel rugby, girò su se stesso, franò a terra e gli oggetti rubati gli sfuggirono
dalle mani rotolando per qualche metro. La ragazza, del tutto incurante della sua imponente nudità con i seni esagerati che ballonzolavano freneticamente e con altre parti del corpo che si muovevano per conto proprio, continuava ad emettere in romanesco una serie di insulti che meriterebbero una penna trilussiana per renderne tutto il colore. L'uomo era rimasto un po' intontito e tentava di alzarsi, presumo, per riprendere la fuga. Pensai fosse opportuno fare qualche cosa in più e lo spinsi nuovamente a terra mettendomici a sedere sopra. Nel contempo altre persone erano uscite dalle loro abitazioni e, come seppi poco dopo, avevano già telefonato al 113. La nostra giunonica amica, sempre indifferente alla propria nudità , non si accontentò di avere recuperato le sue cose ma si avventò, borsetta alla mano, sul malcapitato ladro. Ma la cosa non era così semplice. Il disgraziato si ritrasse sempre più sotto di me e le borsettate della ragazza arrivarono quasi tutte sulla mia schiena e sul mio collo. Cercai di dirle che non era il caso, ma lei urlava e menava senza preoccuparsi su chi cadevano i suoi colpi e senza alcun problema per le sue mammelle che, tentando di aggirarmi, sbattevano su una mia guancia e sul collo.
Ad un certo punto cercai di fermare l'arma volante e lei, avvicinandosi a me, tanto da farmi arrivare alle narici un acre odore di sudore misto a profumo di cipolla, mi urlò come
mi fossi permesso di fermarla. Ovviamente uso un eufemismo perché il suo linguaggio era colorito e becero anche se, oggidì, lo si può sentire in certi programmi Tv e con certi personaggi ' di tendenza'. Feci notare che la maggior parte delle botte l'avevo presa io, lei disse che non era vero e che, comunque, io tentavo di proteggere il ladro ( sic).
Intorno c'era una dozzina di persone che si godevano questo spettacolo surreale che vedeva il salvatore buscarle dalla derubata. Seppi più tardi che la ragazza era in casa con la porta aperta per far circolare un po' di aria; la sua borsetta sulla tavola aveva attirato l'interesse di quel disgraziato tunisino . Il resto lo sapete già .
Per fortuna, e di fortuna si trattò veramente, visti i tempi di uscita dei mezzi di polizia, una gazzella che transitava nei paraggi arrivò sgommando (avvertita dalla centrale operativa) e tre baldi giovani presero in consegna chi scrive e il ladro, pensando che i mariuoli fossero due, il tutto con un largo sorriso sulle labbra per la scena ai loro occhi: una giunonica donna in mutandine e nulla più che continuava ad imprecare, borsetta alla mano, senza provare alcun imbarazzo nel trovarsi in mezzo alla strada novella lady Godiva, ma con capelli corti.
La prima cosa che fece un appuntato (credo si chiami così), dopo che gli ebbi spiegato quale fosse stato il mio ruolo, fu di chiedermi un documento. Non ce l'avevo e dovetti spiegargli un paio di volte che era depositato presso le suore alberghiere che normalmente mi ospitano quando sono a Roma. Vedendolo titubante gli proposi di telefonare al convento per una verifica. Si fidò, consegnò il ladruncolo ai colleghi e, dopo avere preso nota dei miei dati autocertificati, si impadronì del gomito della derubata e si diresse nella di lei casa per verbalizzare l'accaduto.
Il povero tunisino salì sulla Gazzella, mi guardò senza alcun malanimo, e se ne andò verso la sua cella. Forse, per quella sera, ci sarebbe stato anche per lui qualche cosa di positivo: un pasto completo e un letto.
Con qualche pacca sulle spalle da parte dei guardoni me ne tornai in albergo per una doccia ristoratrice e con qualche anticipo di ponentino,che cominciava a spirare.
Adriano Verlato
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