Stefano Righi sul CorSera: l’estate lontana degli sportelli, arrivano gli stress test e nuovi padroni
Lunedi 18 Luglio 2016 alle 12:18 | 0 commenti
Aspettate a scegliere l’ombrellone. L’estate delle banche italiane è ancora lontana dall’arrivare. Sul menù del ristorante europeo sono evidenziate ancora un paio di pietanze che potrebbero risultare indigeste: il risultato degli stress test dell’Eba - che verranno resi noti il 29 luglio e la cessione delle quattro banche presiedute da Roberto Nicastro. Entro la fine della prossima settimana i nodi si scioglieranno, sia quelli relativi alla solidità patrimoniale di Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena, Ubi e Banco Popolare, sia quanto concerne i partner industriali di Banca delle Marche, Popolare dell’Etruria, CariFerrara, CariChieti.
Ma l’estate del credito inizierà ancora più tardi. Nella prima settimana di agosto i grandi gruppi renderanno noti i risultati dei primi sei mesi dell’anno. Al 31 marzo solamente IntesaSanpaolo e, in misura minore, Unicredit, ebbero motivo di festeggiare, con oltre 1,3 miliardi di utili netti messi assieme dai primi due istituti italiani. Si registrarono molte diffuse difficoltà . Se la prossima settimana si andranno a verificare importanti passaggi normativi, solo con il risultato delle semestrali si avrà un più preciso riscontro industriale.
Tassi bassi
Una recente ricerca di Bank of America Merrill Lynch evidenzia, con qualche assunto accademico e un minimo di tolleranza prospettica, che oggi viviamo l’epoca dei tassi più bassi negli ultimi 5 mila anni di storia del mondo. Anche se fossero solo gli ultimi cinquant’anni sarebbe comunque un momento epocale che costringe le banche a rivedere il proprio modello di business . Con i tassi a zero (o sottozero) è difficile guadagnare prestando il denaro, gli interessi non ripagano l’impegno. Così molti puntano sulle commissioni e forse è anche per questo che Unicredit potrebbe rivedere la cessione di Pioneer al Santander. Come finirà ?
Le banche necessitano di nuove fonti di entrata e al momento queste non possono essere che commissioni, derivanti dalla vendita di competenze, di capacità nel fare. Per sostenere il sistema, appesantito da quasi 300 mila lavoratori che vedono il loro futuro messo a rischio dall’invasività e dalla facilità d’uso delle tecnologie digitali, serve però prima di tutto un Paese che torni a crescere e a investire. Tutte le tattiche del gioco di rimessa sono già state attuate, il tempo stringe, non basta più calciare la palla lontano dall’area di porta.
Il sistema bancario italiano si è dotato negli ultimi mesi di alcuni importanti strumenti normativi, che possono facilitare l’uscita dalla crisi. Ma è necessario che tutti i protagonisti agiscano senza nascondersi.
Il decreto Renzi sulle banche popolari è del 20 gennaio 2015, trasformato in legge il 24 marzo 2015. Impone la forma giuridica di Spa a tutte le banche con attivi superiori agli 8 miliardi di euro. Furono dieci le banche interessate provvedimento. Da allora solo quattro banche popolari hanno seguito l’indicazione di legge: Ubi per manifesta volontà del corpo sociale; Etruria, Vicenza e Veneto perché costrette da crac miliardari che hanno messo in ginocchio centinaia di migliaia di risparmiatori e i famosi «territori» di riferimento, una bandiera sventolata con il solo fine di anestetizzare gli azionisti.a qui alla vigilia di Natale dovranno mutare ragione sociale il Banco Popolare e la Banca Popolare di Milano (e lo faranno nel momento della fusione, quando da due secolari banche popolari nascerà una Spa che sarà la terza banca italiana), ma dovranno muoversi anche la Bper-Popolare dell’Emilia-Romagna, la Popolare di Bari, le due della Valtellina, Sondrio e Creval, ancora ostinatamente cooperative.
Nicchie
La modernizzazione del sistema non può passare che attraverso una consistente opera di consolidamento. Seicento banche sono troppe, finiscono per essere inefficienti. La normativa europea è un invito quotidiano a far sì che le logiche industriali del controllo dei costi e delle masse critiche portino a uno snellimento delle presenze. Il mestiere tanto amato della banca universale - diceva su queste colonne il direttore generale dell’Abi, solo una settimana fa - sarà riservato esclusivamente alle banche più grandi e strutturate. Le altre dovranno convertirsi alle nicchie, trovare specialità operative che ne consentano l’esistenza.
di Stefano Righi dal Corriere della Sera
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