Responsabilità dei cda, Consob si ispira al common law per limitare la discrezionalità nei giudizi
Giovedi 24 Novembre 2016 alle 09:46 | 0 commenti
La responsabilità degli amministratori è un tema controverso in Italia, nel senso che troppo spazio è lasciato alla discrezionalità del giudice e, per quanto di sua competenza, dell’Autorità di vigilanza nell’interpretare i dettati del codice civile. Questa almeno l’opinione contenuta nel Quaderno giuridico della Consob dedicato alla “business judgement ruleâ€, un concetto che si ispira alla common law americana dove vige la presunzione della buona fede salvo prova contraria. Uno studio della London School of Economics, commissionato dalla Ue nel 2013, ha evidenziato che i Paesi europei che hanno riformato nel loro ordinamento il tema della responsabilità degli amministratori sono andati nella direzione Usa adattando il codice civile in otto casi, mentre in 12 casi è la giurisprudenza a fare testo in questo senso.
In Italia, rilevano gli autori dello studio Consob, il 50% del tempo nelle riunioni del cda è dedicato a dibattiti di compliance interna e meno del 50% a discutere del business. Col risultato che spesso non vengono prese decisioni che andrebbero nell’interesse dell’azienda se il rischio è di esserne chiamati a rispondere quando le cose non dovessero andare come previsto. Si preferisce in sostanza la scorciatoia di decisioni “anonime†e poco coraggiose, ma funzionali magari a incassare bonus su risultati mediocri, se non peggio. Secondo l’Authority di mercato - che vigila oggi sul collegio sindacale in relazione al comportamento degli amministratori nelle società industriali, e direttamente anche sui consigli di amministrazione nel caso degli intermediari - sarebbe opportuno stabilire regole certe nel codice civile per evitare che sulla base di comportamenti analoghi si abbiano valutazioni differenti sia da parte degli uffici Consob, sia da parte del giudice, quando le questioni sfociano nel contenzioso. Tanto più che in questo caso le azioni di responsabilità , dopo molti anni, finiscono spesso in niente, proprio per oggettive difficoltà applicative nel valutare il comportamento degli amministratori che devono dimostrare di agire con la correttezza professionale richiesta. Ovviamente la questione non riguarda il tema del conflitto d’interessi o la disciplina sulle parti correlate, che in Italia trova già applicazione. Ma l’auspicio degli autori dello studio è soprattutto che si metta mano alla tematica del business judgement rule in un’ottica di armonizzazione europea per evitare che le scelte di localizzazione della sede sociale siano condizionate anche da questo aspetto di surrettizia concorrenza tra ordinamenti
Di Antonella Olivieri, da Il Sole 24 Ore
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