Progetto Jonathan: come riparare e assaporare attimi di felicità con le pene alternative
Lunedi 2 Settembre 2013 alle 15:30 | 0 commenti
C’è una differenza, ai più impercettibile ma enorme nella sostanza, tra pagare e riparare ad uno sbaglio. Pagare significa infatti risarcire il danno causato. Riparare implica invece lo sforzo di volgere lo sguardo verso l’altro e prendere consapevolezza dell’impatto, alle volte irreparabile, delle proprie azioni. Su questa differenza semantica è costruita l’azione concreta e quotidiana del Progetto Jonathan, casa d’accoglienza per detenuti in pena alternativa che, con il supporto della Congregazione San Gaetano, si occupa dal 1989 del reinserimento nella società di persone in affidamento, semi libertà o detenzione domiciliare.
Obiettivo delle pene alternative, fatto proprio e ampliato dal Jonathan, è quello di accompagnare chi ne gode in un percorso di consapevolezza e responsabilizzazione che nel carcere, come struttura detentiva e risarcitoria, non sempre può avvenire.  Â
“Guardare a quella parte della società (64 mila detenuti in Italia) di cui in genere non ci si occupa e porsi il problema di come reinserire queste persone significa andare oltre agli stereotipi e ai discorsi che semplificano il problema – spiegano il responsabile del progetto Davide Bellarte e la volontaria Romina Lombardi - Vogliamo far capire che noi non stiamo dalla parte dei detenuti: non giustifichiamo mai, ma proviamo a capire.†Conoscere e confrontarsi sul carcere e sulle pene alternative è infatti il proposito del convegno ad ingresso gratuito, “Voci di silenzio sottileâ€, organizzato dal progetto Jonathan per il 27 settembre a Vicenza. La sfida è quella di aprire un dibattito che coinvolga non solo esperti e media – saranno presenti, tra gli altri, Pietro Buffa del Dipartimento di Amministrazione Penale e il docente e mediatore penale Leonardo Lenzi -  ma soprattutto la cittadinanza (per informazioni e prenotazioni: [email protected], 0444933124).Â
Il messaggio forte e chiaro che il progetto Jonathan vuole lanciare è che “l’integrazione ottimale di un ex detenuto è un problema di tutti, perché  il detenuto è una persona che fa parte della società e che, prima o poi, in società ritornerà â€. Il fatto quindi che la recidiva per i detenuti che usufruiscono delle pene alternative si abbassa dal 70 all'8 percento rispetto a chi sconta la pena in carcere è un dato che deve far riflettere. Il percorso che i 12 ospiti attuali del Jonathan (dai 20 ai 70 anni) stanno intraprendendo con l’aiuto dei volontari, del responsabile e di un operatore, è volto infatti al reinserimento nella società non solo da un punto di vista lavorativo – all’interno del laboratorio di assembramento della plastica presente nella casa-accoglienza o tramite le cooperative sociali - ma anche come ricostituzione dei legami affettivi e sociali.Â
Il tutto avviene seguendo una filosofia molto chiara, ma non scontata. “Questa è una casa e quindi una struttura aperta dove ci sono regole ma non regolamenti. Così l’ospite impara ad uscire dal ruolo di detenuto, che obbedisce per ottenere un premio, e torna ad essere una persona che deve gestire il proprio tempo e avere delle responsabilità verso gli altri e se stessoâ€, spiega Bellarte.Â
Diventa quindi molto importante che operatori e volontari abbiano coscienza del loro ruolo. “Nessun orgasmo di onnipotenza e non risolvere i problemi al posto degli ospiti, ma stargli vicino e non lasciarli soli nel cercare le risposte alle loro domandeâ€. È questo l’ aiuto che gli operatori del Jonathan offrono. Non per cancellare dei vissuti e delle colpe che rimarranno indelebilmente impresse in chi li ha compiuti ma per dare perlomeno un sollievo momento. “Non ho mai visto un detenuto o un delinquente felice – afferma Bellarte -  Loro non sanno cos’è la felicità . Stando qua però, forse e in alcuni momenti, possono gustare degli attimi di felicità â€.Â
Nella foto: il responsabile Davide Bellarte, l'operatore Lorenzo Tona, la volontaria Romina Lombardi e Beppe, un ospite della casa.
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