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Pmi vincenti e crisi. Il Nord Est cerca la nuova rotta
Domenica 15 Marzo 2015 alle 13:18 | 0 commenti
Le fibrillazioni in casa della Lega e le prossime elezioni regionali venete inducono a guardare al passaggio a Nord Est come momento della politica. In un frammentato Nord Est, dal punto di vista socioeconomico. Dove la questione è lo scheggiarsi di quel blocco sociale di produttori dell’impresa diffusa che faceva condensa attorno al capannone, al campanile, esaltando la comunità locale.
Era il mitico Nord Est, che in tanti abbiamo raccontato, della transizione dolce verso il turbo capitalismo diffuso, molecolare, radicato nel locale. Oggi si è diviso tra chi nella crisi è splittato verso l’alto internazionalizzandosi (le Pmi della sola provincia di Vicenza fatturano 21 miliardi di euro dei quali 16 miliardi da esportazioni), che più che al campanile guarda alla geoeconomia, alla geopolitica, alla crisi ucraina e all’embargo verso la Russia. E quelli a cui toccano i numeri della crisi: il calo dell’8% del Pil dal 2007, della domanda interna del 9% con la perdita di 138mila posti di lavoro. E che come ultima soluzione per sopravvivere pensano al risommergersi nel sottoscala del locale.
In questo clima socioeconomico la politica insegue i frammenti. Chi con logiche di modernizzazione dall’alto, guardando a quelli che ce l’hanno fatta. Chi liscia il pelo al rancore dei sommersi, promettendo che saranno salvati uscendo dall’euro. Chi ritorna al centro con nostalgia dei campanili e dei localismi operosi che sono il “non più†nel “non ancora†polarizzante della crisi. È in questo clima che da parte degli amici che ogni anno organizzano per ragionare di economia il Festival Città -Impresa, mi arriva un documento titolato “Per tornare a competereâ€. Mi si chiedono pareri e firma. Inizio a leggere e, da subito mi dico “non firmoâ€. L’incipit è da lettera della Bce, da dictat della troika, il tutto spalmato da liberismo dall’alto. Il Nord Est ha smesso di correre, la grande crisi ha cambiato tutto e quindi «procediamo alla fusione obbligatoria dei comuni, a chiudere le Camere di commercio e le associazioni di categoria su base provinciale e chiudere le Regioni e le autonomie per creare la macro regione del Nord Est». A questo punto mi chiedo se oltre al liberismo dall’alto non ci sia anche la tentazione di riproporre il tema stanco e fuori tempo della macroregione come parola d’ordine politica. Mi pare l’esatto opposto di ciò che sostengo da tempo: nella metamorfosi della crisi, nell’eclissi dei corpi intermedi e della società di mezzo occorre guardare certamente ai processi della competizione economica, ma anche al fare società , al ricostruire società o per dirla chiara a ricostruire tessuto intermedio. Mi dà note di speranza per proseguire nella lettura un tema dichiarato nel documento, al di là delle premesse iconoclaste: «Senza un sistema territoriale capace di ricostruire le condizioni di competitività , gli innovatori faticheranno a continuare a crescere mentre per le aziende più tradizionali il declino rischia di diventare inarrestabile». Toccato dalla parola chiave “territorio†salto alle conclusioni per capire. E qui il documento mi convince sempre di più, perché si rivolge e, oserei dire, chiede con forza una rifondazione, per costruire un sistema territoriale adeguato al produrre per competere, alle associazioni che affermano di rappresentare gli interessi degli imprenditori e le invita a realizzare loro stesse un autoriforma. Partendo dalle Confindustrie provinciali. «Se le province sono state abolite si proceda alla formazione di una Confindustria del Nord Est» e lo stesso si chiede anche alle associazioni degli artigiani e dei commercianti, da cui ne discende il ragionamento sull’accorpamento delle Camere di commercio da orientare all’internazionalizzazione e alla formazione della cultura d’impresa.
Di mio ci aggiungo che lo stesso appello andrebbe girato anche al sindacato ancora fermo alle canne d’organo del fordismo a cui non è chiaro che in tempi di competizione, non solo tra imprese ma tra sistemi territoriali, alla coscienza di classe andrebbe aggiunta la coscienza di luogo. Quello che mi è piaciuto del documento è che partendo dalle rappresentanze e dalla loro necessaria metamorfosi si toccano poi tutti i temi di un localismo e provincialismo inadeguato ai tempi della crisi: dalla crisi delle popolari e al loro accorpamento, alle società di trasporto pubblico, alle multiutilites, alle fondazioni di origine bancaria, senza dimenticarsi della cultura e delle attività culturali da realizzare in un intreccio pubblico-privato, mettendo in rete anche i proliferanti musei civici. Si legge sottotraccia, in questa domanda di modernizzazione dal basso, una grande voglia di metropoli, intesa come spazio delle funzioni globale. Il che rimanda al tema della città regione che non c’è nella città infinita veneta sullo sfondo di un dibattito sull’area metropolitana e sul capitalismo delle reti che innerva il territorio: dall’AV alla banda larga.
E qui ci si rivolge all’altra autonomia funzionale: l’università . Con il sogno di dare vita a un Politecnico del Nord Est accorpando parchi scientifici tecnologici, andando oltre le logiche del localismo diffuso, accorpando le fiere, ipotizzando sistemi universitari e fieristici delle Venezie. Insomma una circolazione dei saperi, della competenze, della formazione, anche tecnica e professionale adeguata ai giovani makers, eventologi, creativi, che questo territorio animano, spesso costretti a cercare reti di confronto e saperi altrove. Non so se questa eterotopia del Nord Est riuscirà mai a diventare progetto compiuto. L’agenda dei temi e dei problemi elencati dal documento pone una questione che condivido: il come si fa oggi, ai tempi delle piattaforme produttive di area vasta che ridisegnano i processi economici, a costruire reti territoriali e governance adeguate. Alla fine il documento l’ho firmato. Non solo, sono andato anche alla Fiera di Padova a discuterne. Non c’erano né iper liberisti, né politici. Ma solo imprenditori, giovani e soggetti delle rappresentanze interessate a cambiare e a rifare territorio e società di mezzo adeguate ai tempi. In memoria di Giorgio Lago, mitico direttore del Gazzettino scomparso 10 anni fa, che diede allora un’anima e un racconto al movimento del Nord Est.
In questo clima socioeconomico la politica insegue i frammenti. Chi con logiche di modernizzazione dall’alto, guardando a quelli che ce l’hanno fatta. Chi liscia il pelo al rancore dei sommersi, promettendo che saranno salvati uscendo dall’euro. Chi ritorna al centro con nostalgia dei campanili e dei localismi operosi che sono il “non più†nel “non ancora†polarizzante della crisi. È in questo clima che da parte degli amici che ogni anno organizzano per ragionare di economia il Festival Città -Impresa, mi arriva un documento titolato “Per tornare a competereâ€. Mi si chiedono pareri e firma. Inizio a leggere e, da subito mi dico “non firmoâ€. L’incipit è da lettera della Bce, da dictat della troika, il tutto spalmato da liberismo dall’alto. Il Nord Est ha smesso di correre, la grande crisi ha cambiato tutto e quindi «procediamo alla fusione obbligatoria dei comuni, a chiudere le Camere di commercio e le associazioni di categoria su base provinciale e chiudere le Regioni e le autonomie per creare la macro regione del Nord Est». A questo punto mi chiedo se oltre al liberismo dall’alto non ci sia anche la tentazione di riproporre il tema stanco e fuori tempo della macroregione come parola d’ordine politica. Mi pare l’esatto opposto di ciò che sostengo da tempo: nella metamorfosi della crisi, nell’eclissi dei corpi intermedi e della società di mezzo occorre guardare certamente ai processi della competizione economica, ma anche al fare società , al ricostruire società o per dirla chiara a ricostruire tessuto intermedio. Mi dà note di speranza per proseguire nella lettura un tema dichiarato nel documento, al di là delle premesse iconoclaste: «Senza un sistema territoriale capace di ricostruire le condizioni di competitività , gli innovatori faticheranno a continuare a crescere mentre per le aziende più tradizionali il declino rischia di diventare inarrestabile». Toccato dalla parola chiave “territorio†salto alle conclusioni per capire. E qui il documento mi convince sempre di più, perché si rivolge e, oserei dire, chiede con forza una rifondazione, per costruire un sistema territoriale adeguato al produrre per competere, alle associazioni che affermano di rappresentare gli interessi degli imprenditori e le invita a realizzare loro stesse un autoriforma. Partendo dalle Confindustrie provinciali. «Se le province sono state abolite si proceda alla formazione di una Confindustria del Nord Est» e lo stesso si chiede anche alle associazioni degli artigiani e dei commercianti, da cui ne discende il ragionamento sull’accorpamento delle Camere di commercio da orientare all’internazionalizzazione e alla formazione della cultura d’impresa.
Di mio ci aggiungo che lo stesso appello andrebbe girato anche al sindacato ancora fermo alle canne d’organo del fordismo a cui non è chiaro che in tempi di competizione, non solo tra imprese ma tra sistemi territoriali, alla coscienza di classe andrebbe aggiunta la coscienza di luogo. Quello che mi è piaciuto del documento è che partendo dalle rappresentanze e dalla loro necessaria metamorfosi si toccano poi tutti i temi di un localismo e provincialismo inadeguato ai tempi della crisi: dalla crisi delle popolari e al loro accorpamento, alle società di trasporto pubblico, alle multiutilites, alle fondazioni di origine bancaria, senza dimenticarsi della cultura e delle attività culturali da realizzare in un intreccio pubblico-privato, mettendo in rete anche i proliferanti musei civici. Si legge sottotraccia, in questa domanda di modernizzazione dal basso, una grande voglia di metropoli, intesa come spazio delle funzioni globale. Il che rimanda al tema della città regione che non c’è nella città infinita veneta sullo sfondo di un dibattito sull’area metropolitana e sul capitalismo delle reti che innerva il territorio: dall’AV alla banda larga.
E qui ci si rivolge all’altra autonomia funzionale: l’università . Con il sogno di dare vita a un Politecnico del Nord Est accorpando parchi scientifici tecnologici, andando oltre le logiche del localismo diffuso, accorpando le fiere, ipotizzando sistemi universitari e fieristici delle Venezie. Insomma una circolazione dei saperi, della competenze, della formazione, anche tecnica e professionale adeguata ai giovani makers, eventologi, creativi, che questo territorio animano, spesso costretti a cercare reti di confronto e saperi altrove. Non so se questa eterotopia del Nord Est riuscirà mai a diventare progetto compiuto. L’agenda dei temi e dei problemi elencati dal documento pone una questione che condivido: il come si fa oggi, ai tempi delle piattaforme produttive di area vasta che ridisegnano i processi economici, a costruire reti territoriali e governance adeguate. Alla fine il documento l’ho firmato. Non solo, sono andato anche alla Fiera di Padova a discuterne. Non c’erano né iper liberisti, né politici. Ma solo imprenditori, giovani e soggetti delle rappresentanze interessate a cambiare e a rifare territorio e società di mezzo adeguate ai tempi. In memoria di Giorgio Lago, mitico direttore del Gazzettino scomparso 10 anni fa, che diede allora un’anima e un racconto al movimento del Nord Est.
di Aldo Bonomi da Il Sole 24 Ore
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