Partito dei cattolici? Baldo: No Grazie!
Domenica 19 Agosto 2012 alle 12:53 | 0 commenti
Riceviamo da Italo Francesco Baldo e pubblichiamo
Lentamente, ma con sicurezza in alcuni ambienti politici e anche ecclesiastici vicentini ci si interroga sul tema del partito cattolico, cercando di evitare l'appellativo di "cattolico", affermando però che i cattolici possono ben collocarsi "al centro" degli schiera,menti politici italiani per dare il loro fattivo contributo. l'on. Casini e il ministro Riccardi e con lui la Comunità di sant'Egidio lanciano segnali in tale direzione, con cautela e circospezione, partendo da Todi.
Il tema che dalla fine dell'Ottocento interessa molto la politica italiana, dopo aver coinvolto fin dal 1840 circa il mondo tedesco, si ripropone oggi nella diaspora dei cattolici in molti e diversificati partiti e movimenti presenti nell'agone politico. Da un lato i "vecchi" democristiani che hanno mal tollerato la fine del partito e continuano a cercare la sua ricostituzione sotto questo o quel nome, dall'altra sempre altri democristiani che dopo aver filtrato con la sinistra oggi si trovano a dover rinunciare, per fedeltà di partito e non di fede, a temi che qualificano proprio il mondo cattolico, poi ancora gli ex democristiani che sono finiti nelle prospettiva cosiddetta " di destra", nella quale nemmeno si esprimono. Dei cristiani, dato che spesso rifiutano l'appellativo di cattolico presenti nei movimenti pacifisti, ecologisti, di variata natura non è mai dato comprendere che cosa dicano, tanta è la confusione che esprimono tra posizioni politiche e fede religiosa. Del gruppo dei "semosacrestani" coloro che da sempre hanno cercato sotto l'ombrello della politica prebende e carriere non conviene parlare. Dei residui che oggi "ricordano" i bei tempi passati e non sanno la storia, è opportuno silenziare. Vi è facile confusione di temi, contenuti e prassi nei cattolici anche vicentini che occupano gli scranni politici. Ciò che manca al mondo cattolico da decenni, dalla fine dell'ultima stagione politica del Partito della democrazia cristiana, ossia dalla fine di Aldo Moro, è una serie riflessione, quella che coinvolse il mondo cattolico all'inizio del Novecento e che ben si esprime nella enciclica Graves de communi re di Leone XIII del 1901. Lettera apostolica pochissimo ricordata, soprattutto in ambiente democristiano e le ragioni si leggono chiaramente come vedremo.
Vicenza, secondo anche il Dottor Variati, deve essere un laboratorio politico, ma forse lui intende un laboratorio per la sua rielezione. Invece Vicenza può essere un momento di nuova riflessione, partendo non dalla politica, spesso festivaliera, ma dalla identità cattolica nel mondo contemporaneo e poi, semmai cercare, come diceva anche Edith Stein, dottore della Chiesa, di inspirare a principi di fede anche l'azione politica dei governi: Quindi non mirare alla definizione di "partito cattolico" o "partito dei cattolici", che puzza di riduzionismo della fede a prassi partitica, ma a quella prospettiva che impegna in prima persona nella vita della comunità sociale, che deve perseguire, come ben affermava Antonio Rosmini, un fine morale. Lasciamo al passato il partito cattolico e iniziamo a considerare prima di tutto la fede, che è la base per l'impegno politico, non l'appellativo.
Una rilettura di quanto dice Leone XIII a proposito della democrazia cristiana, farà , a mio sommesso avviso, molto bene.
Italo Francesco Baldo
Grave de communi re:"... Così dunque, sotto gli auspici della Chiesa s' iniziò fra i cattolici una comunanza d'azione e sollecitudine d'istituzioni in aiuto alla plebe, che tanto spesso lotta non meno con le insidie e i pericoli che con la povertà e le sventure. Questa specie di previdenza popolare non si usò da prima contraddistinguerla con denominazioni particolari; perché quelle di socialismo cristiano, e di socialisti cristiani introdotte da alcuni, caddero meritamente in disuso. Dipoi parve bene a parecchi di dirla azione popolare cristiana; in qualche luogo quelli che metton mano a siffatte opere si chiamano sociali cristiani; altrove si prendono il titolo di democrazia cristiana, dicendo democratici cristiani quelli che se ne occupano; per contrapporla alla democrazia sociale, propugnata dai socialisti.
Di queste due ultime denominazioni, se non la prima di sociali cristiani, certo l'altra, di democrazia cristiana, suona male a molti tra i buoni, perché vi veggon sotto un che di ambiguo e pericoloso. Ne temono per più di una ragione: cioè perché credono che così si possa coprire un fine politico per portar al potere il popolo, promovendo questa forma di governo in luogo di altre; che per tal modo, mirando al bene della plebe, e mettendo in disparte gl'interessi delle altre classi, sembri rimpicciolirsi l'azione della Religione cristiana; e che finalmente sotto la speciosità del nome si voglia in certo modo nascondere il proposito di sottrarsi alle legittime autorità nell'ordine civile ed ecclesiastico. Ora considerando che qua e là si eccede in tali dispute fino all'acrimonia, sentiamo il dovere di imporre un limite alla presente controversia, e di regolare il pensiero dei Cattolici sopra un tale argomento: intendiamo inoltre dettare alcune norme che rendano la loro azione più larga e assai più salutare alla società .
Non può sorgere alcun dubbio intorno agl'intenti della democrazia sociale e intorno a quelli a cui convien che miri la democrazia cristiana. Infatti la prima, sia pur che non tutti trascorrano ai medesimi eccessi, da molti è portata a tanta malvagità da non tenere in alcun conto l'ordine soprannaturale, cercando esclusivamente i beni corporali e terreni, e collocando tutta la felicità umana in tale acquisto e in tale godimento. Vuol quindi che il governo venga in mano della plebe, affinché livellando quant'è possibile le classi, le torni facile il passo all'eguaglianza economica; tende perciò a sopprimere ogni diritto di proprietà , e a mettere tutto in comune, il patrimonio dei privati e perfino gli strumenti per guadagnarsi la vita. Al contrario la democrazia cristiana, per ciò stesso che si dice cristiana, ha necessariamente per sua base i principi della Fede; e provvede al vantaggio dei ceti inferiori, ma sempre in ordine ai beni eterni per cui son fatti. Per essa adunque nulla deve essere più inviolabile della giustizia; il diritto di acquisto e di possesso deve volerlo integro, e tutelare le diverse classi, membra necessarie di una società ben costituita; esige in una parola che l'umano consorzio ritragga quella forma e quel temperamento che le diede il suo autore Iddio. Resta dunque non esservi tra la democrazia sociale e la cristiana nulla in comune, e correre tra loro tal differenza quale è tra la setta del socialismo e la professione del cristianesimo.
Non sia poi lecito di dare un senso politico alla democrazia cristiana..."
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