Quotidiano | Categorie: Interviste, Storia

Partigiano e alpinista: la vita dell'arrabbiato della montagna Giacomo Albiero

Di Simone Sinico Lunedi 5 Marzo 2012 alle 09:13 | 0 commenti

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Sulla pelle e sul fisico Giacomo Albiero non porta i segni del tempo, ma i segni della montagna, che sono un'altra cosa. Più che le tracce di 87 anni di fatiche, corde e qualche ferita, Giacomo mostra i segni della passione per la montagna e dell'infinita ricerca di quello splendore che solo una vetta può dare. E Giacomo Albiero, montecchiano classe 1925, Accademico del Cai e iscritto alla sezione cittadina a partire dall'anno della sua fondazione, il 1947, di vette ne ha viste tante. Le scalate che ha fatto, ha smesso di contarle presto. Quel che conta è arrivare.

Anche nel 2012, ultraottuagenario, non si è fatto mancare un'escursione al rifugio Tissi, a oltre 2.000 metri. Ma l'amore per la montagna è nato più giù, guardando, da Montecchio, le Piccole Dolomiti. Queste vette magnifiche e colorate che sembravano così diverse dalle rocce scure del Monte Nero vicino casa.

Poi fu il caso: il fratello di un amico, partito per l'Abissinia, lasciò a casa l'attrezzatura da montagna e Gioacomo, a 13 anni, cominciò le prime passeggiate escursionistiche, a partire dal Vaio Scuro, sopra Recoaro. Da lì non si è più fermato.

Se non per l'8 settembre e l'avvento tragico della Repubblica di Salò: «La classe del '25 è stata la più bersagliata. Io avevo 18 anno ed ero a casa. I fascisti dissero che se mi fossi nascosto, avrebbero portato i miei genitori in Germania. Dopo tre chiamate mi presentai al distretto di Vicenza per liberare i genitori. Fui mandato a Bassano dagli alpini e dopo qualche giorno scappai». E allora fu di nuovo montagna, ma questa volta tra i partigiani della Valle dell'Agno. Ed è lì che Giacomo miracolosamente scampò all'eccidio della Piana di Valdagno quando truppe occupanti e truppe fasciste operarono un rastrellamento lungo la dorsale Agno-Chiampo facendo oltre 60 vittime tra partigiani e civili. «Mentre camminavo - racconta Albiero - alle spalle mi intimarono di alzare le mani. Cominciai a scappare, non so ancora come sia stato possibile non essere raggiunto da tutti quei proiettili che mi spararono dietro. Appena vidi un piccolo bosco mi nascosi coprendomi con le foglie. La pattuglie fasciste mi sono passate vicinissimo tre volte, una volta contai 24 soldati. Alla fine mi sono salvato, ma non posso dimenticare il fascismo, la più grande piaga d'Italia. Dopo l'8 settembre è stata una cosa ancora più schifosa perché ci siamo combattuti tra fratelli, nel vero senso della parola».
Dopo la guerra e 13 mesi in una miniera di carbone in Belgio, Giacomo torna a casa e ricomincia ad andare sulle Piccole Dolomiti. Ad ogni costo: «Da Montecchio a Recoaro con i mezzi pubblici ci volevano 2 lire. Quando mancavano andavo su in bicicletta». Finché nel 1947 venne l'ora del primo campeggio del Cai montecchiano in quel di Misurina: «Non avevo soldi e ad ogni partecipante era stato chiesto di portare qualcosa. Così presi di nascosto il frumento da casa di mio papà, lo portai e lo nascosi dal mugnaio e quando partimmo per Misurina lo lasciai ad un fornaio di Auronzo che poi ci mandava su il pane fatto». Quindi iniziarono le scalate vere, quelle sulle Dolomiti: «Tutti i giorni andavo sulle Tre Cime. In quattro facemmo la Cima Piccola di Lavaredo. Però non sapevamo come legarsi e con una corda di 40 metri ci legammo in 4. Quando passò una guida ci disse: siete uno per tutti e tutti per uno».
Tra l'aspirazione della scalata e l'incoscienza della gioventù, quelli del Cai cominciarono a domare le prime pareti, ma Giacomo era il più indemoniato di tutti. Tanta era la sua fame di vette che lo soprannominarono "l'arrabbiato della montagna". E lo testimonia un aneddoto ormai diventato leggenda. Il giovanissimo Giacomo, con tre compagni, stava affrontando, per la via normale, la Cima Grande di Lavaredo. Il gruppo incrociò Mazzorana, esperta guida locale. Giacomo si sganciò dagli amici e seguì, in solitaria e senza corda, il grande Mazzorana arrivando in cima tra gli improperi dell'esperta guida che rimproverava quel giovane scapestrato (ma con un talento innato).
Dopo le prime esperienze, Giacomo iniziò a crescere e ad affrontare le cime più impervie delle Alpi. «La montagna bisogna sentirla. Cosa ti porta a fare sesto grado? Inizi ad arrampicare e senti il gusto, non ci sono parole». E quindi sù sulla Busazza, un settimo grado, con Gnoato e Casarotto (con cui fece anche una via nuova); sù sulla Marmolada per la Soldà e sù per una via nuova sulla parete nord sul Gruppo Pale di San Martino con Perlotto di Recoaro. E poi il Monte Bianco sulla parete sud con Piero Radin, lo spigolo del Peuterey con Radin, Giovanni Dolcetta e compagni oltre che il Grand Capucin con il compianto Walter Bonati e Toni Ceccato. E ancora le Tre Cime di Lavaredo sulla Grande (via Comici) e sulla Cima Ovest (via Cassin) con Brunello oltre alla Cassin sulla Piccolissima con Guido Casarotto e Radin.
Ma la montagna non è solo gioia: «Nel 1977 eravamo sull'Annapurna III e vidi "volar giù" Luigino Henry, straordinaria guida di Courmayeur, che mentre cadeva venne sbalzato da un corno di roccia. Quando sulle pareti pensavo agli alpinisti che ho conosciuto e che sono morti in montagna, mi sembrava mi dicessero di continuare anche per loro». Infatti Giacomo ha scalato fin oltre i 70 anni: «Nel 1996 ho fatto la parete Solleder-Lettembauer del Civetta (già fatta in solitaria all'età di 50 anni), e con Franco Brunello abbiamo fatto la Carlesso sulle Dolomiti».
Tra le tante montagne, nel cuore di Giacomo Albiero è il Civetta ad occupare il primo posto. Lì ha fatto, tra le altre, la Solleder-Lettembauer con Brunello, la via Philip-Flamm con Radin, la Valgrande e la Carlesso con Todero e tracciato una via nuova con Renato Casarotto a destra della Solleder. Sempre con Casarotto («Secondo me uno degli alpinisti che in tutto il mondo non avrà uguali»), è riuscito a compiere un'impresa unica: la traversata dalla Torre Venezia via Tissi fino alla Grande Civetta con 22 cime. E ancora lo spigolo ovest e della Busazza con Radin, la Torre Venezia e la Torre Trieste via spigolo e via Tissi con Brunello e la Cima Su Alto ancora con Casarotto. E tante, tante altre, tutte di sesto grado.
Nel 2000, però, Giacomo si taglia i tendini di un polso, da allora non ha più potuto arrampicare. Ha continuato però con lo sci di fondo arrivando a 36 Marcialonga consecutive, fino al 2010, quando fu fermato da un problema al ginocchio. Ora non molla, si gode i ricordi, ricerca minerali e costruisce lance primitive seguendo scheggiando pietre. Insomma, anche a 87 anni Giacomo Albiero mantiene lo stesso spirito indomabile che lo fece soprannominare "l'arrabbiato della montagna".

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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