Parroci bocia e veci: "L'età non conta, conta solo lo spirito"
Domenica 18 Ottobre 2015 alle 23:32 | 0 commenti
di Andrea Fasulo (guarda gli altri articoli di approfondimento e le foto su VicenzaPiù Magazine n. 279 in edicola, presso i VicenzaPiùPoint oppure abbonati online)
Don Devis Agriman e don Antonio Bergamo, il parroco più giovane e quello più anziano della Diocesi vicentina. Li abbiamo incontrati per sentire esperienze, traguardi e aspettative
Sono due parroci. Certo, ce ne sono tanti nella Diocesi di Vicenza, con le sue 354 parrocchie. Ma loro in qualche modo hanno una particolarità : sono il più giovane e il più anziano.
Ci è sembrato un buon motivo per sentire dalla loro voce le loro esperienze, il loro percorso, per cercare di carpire differenze e similitudini nell'ambito della medesima scelta di vita religiosa.Â
Don Devis Agriman ha 35 anni ed è stato ordinato nel 2005. Fino ad ora è stato vicario parrocchiale a Cornedo, ma proprio in questi giorni di fine settembre diventerà parroco dell’unità pastorale di Bertesina, Bertesinella e Settecà . Sarà così il parroco più giovane della Diocesi.Â
Don Devis, pronto per la nuova sfida?Â
Sarà di certo un mondo da scoprire, un'esperienza nuova. Certo, qualche pensiero la dà , le cose sono sempre complesse, non c'è nulla di semplice nè di lineare. Ma i miei dieci anni di ministero non sono dovuti alle mie capacità , ma a qualcuno che mi ha dato una mano, qualcuno molto in alto.Â
Cosa vuol dire avere il record di parroco più giovane? C'è qualche responsabilità in più?Â
Una volta si facevano anche 15 anni prima di diventare parroco, ora l'età si abbassa perché in effetti siamo sempre in meno. Di responsabilità ce ne sono sempre: tanti miei amici stanno portando avanti una vita di famiglia, figli, lavoro, e tenere insieme tutto questo non è certo un peso minore, anche per loro ci sono molte responsabilità .Â
Qual è stato il suo percorso di vita?Â
Sono originario di Lerino di Torri di Quartesolo. Il fatto di essere dentro la Chiesa è sempre stato parte della mia vita. Sono entrato in Seminario in prima media, all'età di 11 anni. Il Seminario mi ha dato tanto, e la formazione che ho ricevuto lì è stata utilissima. Poi sono arrivate le scuole superiori, che ho fatto fuori, all'Istituto Farina, perché in Seminario non c'erano più i numeri sufficienti per formare una classe. Dopo le scuole ho studiato teologia per 6 anni, e di quel periodo ho ricordi bellissimi, con tanti amici che ho mantenuto anche in seguito. L'ordinazione è avvenuta a giugno del 2005, avevo ancora 24 anni e quindi ho dovuto ricevere una dispensa per l'età , che dovrebbe essere come minimo di 25 anni. La prima esperienza è stata nella parrocchia di Malo: lì ho sperimentato fin da subito il cambiamento che stiamo vivendo all'interno della Chiesa, infatti all'inizio eravamo in 2 cappellani e dopo 5 anni sono rimasto solo io. Dal 2010 sono passato come vicario nella parrocchia di Cornedo.Â
A quali ricordi di questi ultimi dieci anni è più legato?Â
Sicuramente il tempo trascorso con i giovanissimi, ragazzi che spesso mi hanno stupito per la loro capacità di porsi domande serie, per la loro freschezza. Il bello è incontrarli in occasioni gratuite, al bar, o per strada, riuscire a parlare con loro. Certo mi vedevano come un prete molto giovane, e quindi diverso da quello a cui erano abituati, ma il rapporto è sempre stato di grande rispetto, anche dove c'era lo scherzo era sempre buono. Un'altra cosa importante sono state tutte le persone che si sono avvicinate, che mi hanno dato una mano. Le relazioni con le persone sono il mio ricordo più bello del mio percorso sacerdotale fino a qui.Â
Ed ora, ha pensato a che tipo di parroco sarà ?Â
Non ancora. C'è una parte di inesperienza, ma farò affidamento sulla misericordia delle persone e sull'aiuto dello Spirito Santo. Voglio soprattutto ascoltare le persone, i bisogni che hanno, cercando nel modo migliore di inserirmi in questa nuova comunità per camminare insieme.Â
Come vede l'invito arrivato dal Pontefice e dal vescovo Pizziol ad aprire le parrocchie ai profughi che stanno arrivando in Italia?Â
Se ce n'è la possibilità bisogna rispondere a questa chiamata, non possiamo chiudere gli occhi. Ma dev'essere una risposta seria, ma pensare solo ad accogliere, magari dando un tetto e del cibo, non basta. Bisogna pensare ad un progetto che vada più in là , per dare a queste persone una dignità . É un problema complesso e parte della risposta dev'essere data a livello politico.Â
Come sta vivendo la direzione impressa alla Chiesa da Papa Francesco?Â
È un innovatore, fa scalpore per la sua mancanza di etichetta, e questo è un bene. Vedo che molti sono d'accordo con quello che Papa Francesco dice, ma un conto è essere d'accordo a parole, un conto è mettere in pratica quello che lui professa.Â
Don Antonio Bergamo, nato nel 1938, è il parroco di Maddalene dal 2001. Qui è conosciuto anche come "don Barba", e proprio quella barba bianca si sposa perfettamente con la sua indole da prete missionario. Non è difficile vederlo con indosso tuniche bianche e stole dai tipici colori africani.Â
Don Antonio, il suo percorso sacerdotale è molto lungo e ricco di tante esperienze. Ma da dove parte?Â
Sono originario di Mussolente e sono stato ordinato prete nel 1978. Ho passato 7 anni a S. Pietro in Gu, poi sono stato a Cologna Veneta, quindi 7 anni parroco a Seghe di Velo d'Astico, poi per altri 7 anni, dal 1993 al 2001, missionario in Camerun. Da settembre del 2001 sono parroco qui a Maddalene, e penso che questa sarà la mia ultima destinazione.Â
Qui a Maddalene com'è cambiata la comunità nel corso di questi anni?Â
È cresciuta, sia numericamente che nell'aggregazione e nella partecipazione alla vita della parrocchia. Avevo ereditato una situazione un po' chiusa e stagnante e ho cercato di aprire la chiesa alla comunità . Una delle prime cose fatte è stata di creare il Circolo S. Giuseppe "Noi Associazione", come referente e anima di inziative ludiche e sportive. Questo ha portato ad un grande coinvolgimento di laici. La Festa di Primavera, che si tiene a fine maggio, è l'evento più importante: siamo riusciti a rivitalizzarla ed è ora un'attività che aggrega tanta gente. Ma poi ci sono tante altre inziative, come la Galopera, la marcia che ha portato qui più di 10mila persone, o la Strada dei Presepi, o la Festa del Ringraziamento ad ottobre, con trattori ed animali. Ma una delle cose a cui tengo di più è la Catechesi Familiare, un incontro quindicinale per i ragazzi e le loro famiglie. Questo aiuta le famiglie a crescere nella fede, per evitare che cadano nella superficialità di una fede più tradizionale che vissuta.Â
Il momento centrale della sua vita sacerdotale è però stata l'esperienza da missionario in Africa. Cosa le ha lasciato?Â
Posso solo dire che è stato il più grande regalo che Dio mi abbia fatto. È stata un'esperienza che mi ha aiutato moltissimo nella crescita umana, cristiana e presbiterale. In quei 7 anni in Camerun ho toccato con mano la bellezza, la grandezza, il dono del Vangelo. Quado arrivai in quella comunità c'erano 45mila abitanti e solo 24 cristiani. In quella situazione ho vissuto il clima della Chiesa primitiva, ed è stata una grande avventura sotto tutti i punti di vista. Laggiù il primo problema non era annunciare il Vangelo, ma riempire le pance. Perché senza la pancia piena non ci può essere fede.Â
Lei ha vissuto in Africa. Come si sente ora di fronte al tema dell'accoglienza dei profughi provenienti proprio da quei paesi, e come vede l'idea di aprire le parrocchie per ospitare alcuni di loro?Â
Proprio perché ho conosciuto l'Africa sono in grado di comprendere tutta questa emigrazione biblica, perché so che scappano da situazioni davvero drammatiche. La nostra comunità nelle settimane scorse si è riunita nel consiglio pastorale e ha deciso di aprirsi per accogliere una famiglia. Abbiamo un locale che ora dobbiamo sistemare per bene, faremo la nostra parte.Â
Cosa ne pensa della direzione che Papa Francesco sta dando alla Chiesa?Â
Mi trovo in piena sintonia con il Santo Padre, per il suo stile di vita, per i suoi annunci, per il suo distacco dalle cose materiali. Sto cercando di aiutare la gente a vivere la loro quotidianità evitando il superfluo e lo spreco. È importante per la Chiesa avere una dimensione missionaria, anche nei fatti concreti e nell'aiuto alle persone.Â
Come vive il fatto di essere il parroco più anziano della Diocesi?Â
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