Omelia di monsignor Beniamino Pizziol in cattedrale per le solennità di Pasqua
Domenica 8 Aprile 2012 alle 11:15 | 0 commenti
Carissimi fratelli e sorelle, carissimi presbiteri, diaconi, consacrati e consacrate, venerato Capitolo,
la Chiesa celebra oggi la festa che dà origine a tutte le feste; rallegriamoci ed esultiamo, perché questo è il giorno che ha fatto il Signore. E' la Pasqua di Cristo! Egli è risorto per tutti! E' vivo per sempre! E' in mezzo a noi.
Tutto comincia: "Il primo giorno della settimana, di mattino, quando era ancora buio" (Gv 20,1).
L'evangelista Giovanni annota questo particolare, "quando era ancora buio", quasi volendo evidenziare la situazione di dolore, di smarrimento e di delusione in cui si trovavano gli apostoli e i discepoli di Gesù.
Questo buio viene affrontato da una donna, Maria di Magdala, che, spinta dall'amore per Gesù, il suo amato Maestro, si reca al sepolcro per cospargere di olio profumato il suo corpo, quasi a proteggerlo dalla corruzione.
La prima scoperta è che l'ostacolo più consistente è stato rimosso: "la pietra era stata tolta dal sepolcro" (Gv 20,1b).
Quella pietra, che ostruiva l'accesso, quella pietra che sigillava la tomba, non ha più alcuna funzione, semplicemente perché il corpo di Gesù non è più lì.
Davanti a questa constatazione sconcertante c'è anche la prima interpretazione: "Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto" (Gv 20,2b). Un furto, dunque, uno sfregio fatto a lui e ai suoi discepoli. Cosa immaginare altrimenti?
L'annuncio portato agli apostoli da Maria Maddalena suscita una reazione da parte di Pietro e di Giovanni.
Corrono al sepolcro, vogliono vedere, toccare con mano, rendersi conto di ciò che è accaduto. E in effetti, una volta arrivati al sepolcro, vedono "i teli posati là e il sudario, che era stato posto sul suo capo, non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte" (Gv 20,7).
Manca, tuttavia, proprio ciò che è essenziale, manca lui, Gesù.
Restano le tracce della sua morte, della sua fine dolorosa, quelle che noi chiamiamo le reliquie, i resti.
E' a questo punto che accade ciò che è importante. Il discepolo più giovane, Giovanni, arrivato per primo, ma entrato dopo, "vide e credette" (Gv 20,8). Si aprirono il cuore, la mente e gli occhi della fede per comprendere le Scritture, "che cioè egli doveva risorgere dai morti" (Gv 20,9).
Il Risorto poteva anche tornare per le strade, sotto i portici del Tempio, farsi riconoscere dalle folle che lo avevano visto appeso alla croce.
Ha scelto invece un altro metodo per attestarsi come l'eterno vivente: "Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti" (At 10,40-41).
Gesù non si manifestò al mondo, ma ai discepoli, per guarire anzitutto loro dall'incredulità che li accecava, li impauriva, li paralizzava.
La scelta del Risorto di passare attraverso i testimoni per raggiungere l'umanità intera insegna a noi tutti, che lo seguiamo lungo la storia, che la Pasqua domanda la nostra personale e libera adesione.
Essa poggia su puntuali dati storici rilevati dai testimoni diretti. Solo perché lo hanno incontrato e "visto di nuovo" risorto sono passati dalla paura, che li teneva rinchiusi nel cenacolo, all'annuncio sulla pubblica piazza fino a dare la loro vita.
Noi non abbiamo incontrato Gesù durante la sua vita terrena.
Non abbiamo visto il suo sepolcro vuoto, né il sudario e le bende.
E tuttavia anche noi siamo chiamati alla fede, anche noi proclamiamo oggi che egli è vivo, è risorto.
E' la Parola delle Sante Scritture che ci permette di compiere il salto, che va dal "vedere" al "credere", dal toccare con mano alcuni segni, alcuni indizi, all'abbandono fiducioso nelle mani di Colui che è morto e risorto, che è vivo e presente in mezzo a noi, il vero Signore della storia.
Con questa Parola, attraverso questa Parola, è possibile interpretare le tracce del Risorto, è possibile riconoscerlo lungo le vie della nostra esistenza, proprio come è accaduto ai due di Emmaus.
C'è bisogno, dunque, di un cuore ardente per identificarlo nei gesti semplici che egli ci offre: nell'acqua del Battesimo, nel pane e nel vino dell'Eucaristia, nell'olio che guarisce, fortifica, sostiene.
L'annuncio della Pasqua, che risuona oggi nella liturgia, chiede ad ognuno di noi di essere un testimone.
La nostra testimonianza è chiamata a spazzare via tutte le pietre, che impediscono di credere al Risorto: l'indifferenza, l'egoismo, la cattiveria, l'aridità del cuore......
San Paolo, nella prima Lettera ai Corinzi, ci ammonisce: "Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova...Celebriamo dunque la festa non con il lievito vecchio, né con il lievito di malizia e di perversità , ma con azzimi di sincerità e di verità " (1 Cor 5,7-8).
Carissimi, chiediamoci oggi, in sincerità di spirito: che posto occupa la risurrezione di Gesù nella mia vita?
Come mi colloco di fronte a questo annuncio?
Il mio augurio pasquale è rivolto a tutti voi, fratelli e sorelle carissimi, in modo particolare a chi sta vivendo l'ora della prova della sofferenza e della solitudine.
Penso specialmente a coloro che hanno perduto il lavoro e a coloro, specie i giovani, che non trovano un'occupazione.
Penso a coloro che temono di perdere, in breve tempo, il frutto delle loro fatiche e del loro lavoro.
Penso a voi giovani, che aspirate ad una vita piena, ad una vita ricca di senso e di gioia.
Porgo l'augurio pasquale alle nostre Autorità , civili e militari, che hanno il gravoso compito di sostenere, difendere e promuovere il bene comune.
Un augurio speciale a tutti i fedeli della nostra Chiesa diocesana e a tutti gli abitanti del territorio. Amen.
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