Odissea per un permesso
Lunedi 26 Gennaio 2009 alle 16:08 | 0 commenti
Per rinnovare il permesso di soggiorno ci vuole oltre un anno, con disagi a non finire. Ecco i problemi con cui devono quotidianamente fare i conti gli oltre 70 mila stranieri residenti nel vicentino
Emmanuel Maffi, uno dei responsabili dell'ufficio immigrati della Cgil, prende una pratica a caso tra quelle ordinatamente impilate sulla sua scrivania. È la domanda di rinnovo del permesso di soggiorno di una signora straniera, ed è datata 31 maggio 2007. "Guardi qua - spiega -. Il kit con la domanda è stato spedito a fine maggio del 2007. L'appuntamento per la verifica e per la rilevazione delle impronte digitale è stato fatto il 27 maggio 2008. E il permesso sarà rilasciato il 2 febbraio 2009". Cioè venti mesi dopo la richiesta iniziale. E probabilmente sarà già scaduto, visto che la durata massima è di due anni e che la validità scatta nel momento in cui è stata presentata la richiesta. Basta la storia di questa anonima signora straniera per capire le difficoltà con cui quotidianamente devono fare i conti le decine di migliaia di migranti che vivono nel vicentino.
Il collasso
Mentre la politica nazionale discute se sia giusto o meno aggiungere una nuova tassa sul rilascio del permesso di soggiorno (che, per inciso, si paga già : 30 euro per la spedizione, 27 per la tessera magnetica, e 14 di marca da bollo), operai, badanti, commercianti e piccoli imprenditori arrivati dall'estero si trovano a combattere contro un sistema che li costringe a tempi di attesa infinita e ad una situazione di perenne precarietà . Eppure Vicenza era stata, negli anni '90, la prima provincia d'Italia ad avviare dei progetti per velocizzare tempi e procedure per il rilascio dei permessi. "Vicenza era all'avanguardia, con degli sportelli creati apposta per fare da interfaccia tra immigrati e questura - ricordano Renato Riva e Gabriele Brunetti, che seguono la questione immigrazione per la Cisl -. Nel 2000, però, è stato chiuso tutto; quell'esperienza è stata poi ripresa, con ottimi risultati, da Padova e da altre province". Vicenza, invece, arranca, ed è diventata una delle realtà più lente del Veneto, con tempi spesso molto superiori alla media: anche senza arrivare ai venti mesi del caso segnalato da Maffi, è ormai normale che per avere in mano il permesso ci voglia un anno abbondante di attesa. "Così com'è il sistema non funziona più, è al collasso - aggiunge Brunetti -. Ed è un problema generale, non solo vicentino".
Procedure capestro...
Per capire il perché di tempi tanto lunghi bisogna prendere in considerazione una serie di fattori. Prima fra tutti, una procedura molto complessa (la domanda va presentata alle poste e inviata telematicamente a Roma; dopo le verifiche del Ministero degli Interni, è necessario un passaggio in questura per il controllo di documenti e per la rilevazione delle impronte digitali; infine tutto deve tornare a Roma per la stampa da parte del Poligrafico) e che negli ultimi anni si è ulteriormente appesantita. "Con la Bossi Fini, la durata del permesso di soggiorno è stata ridotta da quattro anni ad un massimo di due, se hai un lavoro a tempo indeterminato. Altrimenti sono anche di meno: un anno, sei mesi", spiega Brunetti. Che poi aggiunge: "A questo è corrisposto un aumento della complessità della documentazione. Molti dei documenti richiesti sono ridondanti: il contratto di soggiorno per lavoro, ad esempio, è sostanzialmente inutile, così come il fatto di voler prendere le impronte digitali anche quando si tratta di un semplice rinnovo. Capisco la prima volta, ma rifarlo ogni volta è una procedura che costa in termini di soldi e di tempo. Le impronte sono sempre quelle".
.. e organici inadeguati
Se a tutto questo si aggiungono il costante aumento della popolazione straniera, e la cronica carenza di organico della questura vicentina, il quadro è completo. "C'è effettivamente un problema di organico - riconosce Maffi -. A Padova sono più veloci, ma hanno dieci macchine per rilevare le impronte digitali, e funzionano tutte. A Vicenza le macchine sono due, e solo una funziona. Così come bisogna dire che a Vicenza ci sono oltre 70 mila immigrati regolari, a Padova non sono neanche 60 mila. E là ci sono molte più persone che hanno già la carta di soggiorno, che va rinnovata ogni cinque anni e che è un bel passo avanti rispetto al permesso".
La lunga attesa
Fatto sta che, per chi si trova a vivere in questa specie di limbo tra la richiesta di rinnovo del permesso di soggiorno e il rilascio del permesso vero e proprio, i problemi non si contano. In teoria, con la ricevuta che viene rilasciata quando si presenta la domanda dovrebbe essere possibile fare tutto, esattamente come se si avesse in mano il permesso rinnovato. In teoria, perché nella pratica le cose funzionano in modo ben diverso. Uscire dall'Italia, che sia per lavoro o per motivi di famiglia, ad esempio, è molto complicato. E non solo. "C'è il rischio di perdere il lavoro, o di non trovarlo, perché le aziende non è che si fidino più di tanto della ricevuta - spiega Alessandro Federici, del patronato Cisl -. ci sono problemi per i finanziamenti, per i prestiti, per i mutui". "Non è razzismo o cattiveria - aggiunge Maffi -. È che non sempre le persone che seguono queste pratiche non sanno che la ricevuta ha la stessa efficacia del permesso". Così anche le cose più banali, come iscriversi ad un'autoscuola per avere la patente, rischiano di diventare ostacoli insormontabili. E spesso si arriva alla beffa che, quando finalmente arriva l'atteso permesso, bisogna ricominciare tutto da capo. "In moltissimi casi il permesso è già scaduto quando arriva - conferma Maffi -. Se i tempi fossero più veloci, le cose sarebbero molto più semplici. Perché il permesso di soggiorno è il primo problema di ogni persona straniera che vive in Italia. Io posso accettare di pagare di più per il permesso di soggiorno, come avviene in altri stati: ma là te lo consegnano il giorno dopo, o dopo venti giorni. Se invece devo aspettare un anno e mezzo senza sapere quale sarà il mio destino, come faccio?".
Troppa demagogia
I tempi, dunque, sono decisivi. E per accorciarli non ci vorrebbe poi molto. "Noi abbiamo già presentato una serie di proposte - dichiara Renato Riva -. Già raddoppiare la durata dei permessi aiuterebbe molto e ridurrebbe il caos. Poi si potrebbero trasferire delle competenze ai comuni, e anche questo semplificherebbe molte cose; e ridurre la documentazione: se uno lavora nella stessa azienda in cui era due anni fa, perché deve presentare di nuovo una montagna di fotocopie di contratti e buste paga? Bisogna prendere atto che il sistema attuale non favorisce certo l'incontro tra domanda e offerta di lavoro. E che tutte queste procedure costano, e costano a tutti, non solo all'immigrato: costano all'azienda, che per mesi non sa se può assumere o no una persona; costano ai poliziotti, che devono passare le giornate in ufficio invece che a controllare la città ; in una parola, costano alla collettività . Ma per fare questo bisognerebbe affrontare tutta la questione con uno sguardo più obiettivo e meno ideologico". La sensazione, purtroppo, è che siano in pochi a volerci provare.
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