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Non solo Parmalat: la Francia fa spesa in Italia

Di Redazione VicenzaPiù Sabato 26 Marzo 2011 alle 23:06 | 0 commenti

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Emilio Barucci, nelmerito.com, Rassegna.it - Oltre al gruppo alimentare altre aziende importanti ed eterogenee come Bulgari, Fondiaria-Sai ed Edison sono finite nelle mire dei transalpini. Ma perché non succede mai il contrario? Semplice: da noi mancano i capitali e gli uomini all'altezza. 

Nelle ultime settimane il mondo finanziario italiano è stato teatro di una partita Italia-Francia che ci ha visto giocare in difesa con pesanti perdite: Bulgari, Edison, Fondiaria-Sai, Parmalat. Società leader nei loro rispettivi settori (oltre 10 miliardi di capitalizzazione) finite nelle mire di aziende francesi.

La prima è stata acquisita da LVMH (uno dei maggiori conglomerati del lusso a livello mondiale con un'anima francese), la seconda è oramai destinata ad essere spartita tra i due principali azionisti (EDF e A2A) con i francesi che partono da una posizione di forza. Fondiaria-Sai era già finita in mano ai francesi di Groupama, l'operazione è stata bloccata (in modo del tutto legittimo) dalla Consob. Parmalat è finita nelle mire dei francesi di Lactalis oramai azionista di maggioranza relativa, mentre il sempre più piccolo salotto buono italiano si dibatte ad immaginare poli nazionali dell'agroalimentare che non sembrano palesarsi all'orizzonte. Per ora siamo sull'1 a 0 (la partita Bulgari), le altre o sono sospese (Parmalat, Edison) o concluse senza perdite ma senza aver risolto il problema (Fondiaria-Sai).

Non è necessariamente un brutto segno che capitali stranieri entrino in Italia a patto che i nostri siano capaci, e gli sia permesso, di fare lo stesso. Ciò non succede di frequente. Secondo il fiorente dibattito bipartisan di cui si è fatto interprete il Ministro Tremonti, il problema riguarderebbe il secondo aspetto: alcuni mercati - tra cui quello francese - non permettono l'entrata delle imprese italiane. Per affrontare il problema il Governo è intervenuto tramite un decreto legge antiscalate che in realtà per il momento si limita a concedere alle aziende due mesi in più per convocare le assemblee. Si è fatto un gran parlare di reciprocità, di asimmetrie che sfavorirebbero le imprese italiane, di mercati dove il potere pubblico può porre il veto ad un'acquisizione estera, di aziende che godono di una posizione di monopolio nei loro paesi e che fanno shopping in Italia. Niente di tutto questo, per il momento la montagna ha partorito un topolino: una norma ad hoc che permette a Parmalat di guadagnare tempo nell'attesa del polo agroalimentare nazionale. Il tempo è comunque poco, staremo a vedere cosa succede e se il governo metterà in atto misure più invasive visto che la strada per i ‘‘nostri'' è tutta in salita.

Questo fervore tutto italiano stupisce e il provvedimento del Governo è uno scempio giuridico che puzza tanto di protezionismo, la vera stella polare del Ministro dell'Economia su cui molti sono disposti a chiudere un occhio. Il dibattito appare surreale.

In primo luogo ci si sveglia per difendere Parmalat - anche se Tremonti si era già mosso per difendere un bastione dell'energia del nord quale Edison - invocando reciprocità. Si sostiene che le nostre aziende non possono andare in Francia per comprare un'azienda che produce latte. Siamo davvero sicuri che sia così? C'è forse un ostacolo che impedisce ad un'impresa italiana di farlo? No, i settori strategici su cui si deve esprimere il Governo francese nel caso di acquisizione estera non includono l'agroalimentare, né i settori delle altre imprese oggetto della contesa.

Il secondo argomento è che le aziende che entrano in Italia giocherebbero con armi che le nostre non hanno. Tipicamente godrebbero di sovvenzioni o posizioni di monopolio nei loro mercati che gli permettono di fare acquisizioni qua da noi. L'argomento forse si può applicare a EDF - ma ricordiamoci che ENEL ha fatto altrettanto in Spagna - sicuramente non alle altre tre imprese della contesa.


Le ragioni di questa débacle sono altre e sono quasi del tutto assenti nel dibattito. Sicuramente non è una questione di ‘‘modello'' di capitalismo. Questo lo si apprezza confrontando la struttura proprietaria delle imprese coinvolte. Parmalat è un'ex azienda a controllo familiare divenuta una public company, Lactalis è una società a controllo familiare accompagnata dalle principali banche francesi nella sua espansione, Bulgari è una società a controllo familiare senza successori, LVHM è un'impresa con un socio forte (Bernard Arnault), Fondiaria e Edison sono due imprese controllate tramite piramidi e patti parasociali instabili, due strumenti utilizzati da azionisti senza denari e forse senza idee per governare le imprese senza capitali, Groupama è una compagnia assicurativa a carattere mutualistico (una cooperativa un po' come la Cattolica e la Reale assicurazioni), EDF è controllata dallo Stato.

Sgombriamo un altro equivoco: ci sarebbe bisogno di politica industriale. Uno strumento che sembra dotato di capacità taumaturgiche - e quindi invocato spesso a sproposito - che in questo caso può fare ben poco. La politica industriale entra in gioco quando il privato non può arrivare (investimenti in settori ad alta tecnologia, infrastrutture, ricerca, servizi per i distretti). E' questo il caso di una multinazionale del lusso, di una impresa assicurativa o di un'azienda che produce latte? No.

Quattro storie diverse, in settori diversi (lusso, servizi, finanza, alimentare), con strutture proprietarie diverse che sono strettamente legate da un fatto molto semplice: quello italiano è un mercato finanziario e un sistema produttivo senza capitali e senza uomini all'altezza. Di fronte a questo le leggi di chiusura servono a poco, sono solo destinate a creare sottosviluppo. Ciò non significa che dobbiamo essere ‘‘contenti'' di essere divenuti terra di conquista per imprese estere, l'acquisizione di Parmalat da parte di Lactalis porterà più svantaggi che vantaggi per l'economia italiana. Per farvi fronte occorre capire i problemi e affrontarli in modo serio.

Queste vicende segnalano l'assenza di imprenditori, managers, azionisti, istituzioni finanziarie all'altezza del compito che li aspetta: quello di guidare le imprese in un mercato (finanziario e non) oramai privo di forme di protezione. Fa sorridere che Confindustria invochi misure per favorire la crescita dimensionale delle imprese. Sono in primo luogo gli imprenditori a mancare, sempre più ripiegati nell'estrarre profitti in settori protetti e a ridurre gli investimenti in attività che porterebbero all'espansione dell'impresa. Di pari passo con il declino delle famiglie storiche del capitalismo italiano non si è affermata una generazione di managers capaci di imporsi sul mercato e di attrarre risorse in una prospettiva di public company (è il caso di Bulgari e di Parmalat).

Questo segnala il fallimento di un progetto di trasformazione a tappe forzate del mercato finanziario italiano verso un modello quale quello anglosassone. Questo prevedeva managers forti e l'allargamento della platea di investitori (investitori istituzionali) che non sono però mai decollati. La ricchezza degli italiani continua ad essere in immobili e ad essere gestita in modo non produttivo dalle banche. L'equivoco è consistito nel credere che l'esperienza anglosassone fosse l'unico modello quando molti paesi vicini (Francia, Germania, Spagna) hanno un assetto più composito che prevede ancora una presenza significativa dello Stato e delle banche nelle imprese, gli unici azionisti che nel caso del bisogno possono garantire stabilità. In Italia, invece le banche e lo Stato nelle imprese sono state per lungo tempo considerate una sciagura, salvo invocarle adesso.

Questo quadro ci invita riflettere sugli errori che abbiamo fatto e su ciò che occorre fare. Passare da un sistema protetto ad un modello di capitalismo anglosassone senza attori adeguati ha portato ad un impoverimento della struttura produttiva, occorreva maggiore gradualità e curare con attenzione alcuni ingranaggi (sviluppo fondi comuni, fondi pensione, ruolo delle banche e ‘residuale' dello Stato). Per capirsi: occorre avere gli attori per il polo agroalimentare nazionale, attori che la Francia ha e noi no. Se questo è il quadro, l'intervento del Ministro non porterà da nessuna parte e ci farà perdere solo tempo e risorse, occorre piuttosto creare le condizioni per avere protagonisti all'altezza del nuovo scenario. Anche su questo il motto ‘‘fare sistema'' quando i buoi oramai sono scappati serve davvero a poco.

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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