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Nel Nord Est regge alla crisi solo l'1,2% delle aziende

Di Redazione VicenzaPiù Venerdi 11 Luglio 2014 alle 22:37 | 0 commenti

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DI GIovanni Salvatori da Venezie Post
Dov'è finito il mito del NordEst? Impossibile ritrovarne le tracce, nella fotografia dell'economia attuale del Paese. Un giudizio impietoso che viene dai numeri, quello emerso nell'ampia tavola rotonda ''Situazioni e prospettive dell'economia'', organizzata dall'Associazione dei Commercialisti del Triveneto a Soave. Anche se dal forum, che come eloquente sottotitolo aveva ''Le reazioni del sistema imprenditoriale italiano'', emergono anche i campi sui quali è ancora possibile giocare la partita per agganciare una qualche idea di futuro. 

Un futuro che comunque non avrà mai più il volto che siamo abituati a vedere. Lo dicono guardando alla congiuntura e agli scenari futuri, sia la Bce che Bankitalia, anzitutto. A livello globale, come sottolineato da Paloma Lopez-Garcia della Banca centrale europea, l'Italia sconta un deficit nell'allocazione delle risorse e nella produttività. Nell'analisi di Roberto Sabbatini, del dipartimento di Economia e Statistica di Palazzo Koch, i pochi dati positivi come il consolidamento fiscale e la crescita dell'avanzo primario non bastano a mitigare i numeri impressionanti delle ''due crisi'': 9 punti di Pil persi dal 2008 ad oggi, il 25% in meno di investimenti, quasi l'identica percentuale di calo della produzione industriale, a fronte di un calo appena più contenuto della capacità produttiva (che quindi non viene sfruttata appieno dalle imprese italiane). Numeri che bastano, per la Banca d'Italia, a spegnere sul nascere tentativi di sminuire la portata negativa del nuovo calo di produzione industriale diffuso ieri dall'Istat (meno 1,2% in maggio rispetto ad aprile '14): «Possiamo prevedere un Pil in leggero ma ulteriore ribasso», dice Sabbatini, in barba alle stime di crescita del governo.

Il NordEst, in tutto questo, non fa eccezione. Ed è questa la prima notizia, visto che si era abituati alla ''felice differenza'' del territorio motore d'Italia. «E' peraltro una tendenza che si riscontra in tutta Europa – spiega Silvia Oliva, segretario alla Ricerca della Fondazione NordEst – noi e la Catalogna perdiamo occupati come Italia e Spagna, Baden Wuttenberg e Baviera crescono, Rhone Alpes è stabile come lo è la Francia. Le imprese nordestine hanno perso qualcosa come 63mila posizioni lavorative tra il 2008 e il 2012, soprattutto nelle costruzioni e nella manifattura, e per l'80 per cento si tratta di operai specializzati, mentre cresce l'occupazione nelle alte qualifiche». In pratica, è venuto meno il sapere speciale delle Venezie, quello che appunto le distingueva. Tutto nero l'orizzonte dunque? «Gli spazi di crescita del lavoro ci sono – rincuora Oliva – e si chiamano turismo, agorindustria, e-commerce. Ma occorre cominciare a fare anche un po' di autocritica. Io faccio parte di Confindustria, ma non posso non dire che il nuovo bisogna anche andare a cercarlo. Il turismo cresce, ma meno che a NordOvest, meno che al Centro, meno anche rispetto a Sud e Isole. A Belluno l'1 per cento degli alberghi ha una connessione Internet e una possibilità di prenotare on line. In Trentino il 100 per cento. E non è solo un problema di autonomie». 

La tendenza di chi sopravvive (c'è persino chi ha guadagnato, durante la crisi) non è più quella di abbattere i costi, ma di garantire la qualità. Un fenomeno segnato dal backshoring: i ''delocalizzatori di ritorno'', gli imprenditori che lasciano soprattutto il Sol Levante o la Cina per tornare a NordEst e stare vicini alle produzioni di alto livello. Oppure la Germania, che in tutte le analisi economiche considera il NordEst italiano come un suo distretto: «Lo si può interpretare come una conquista, come se i tedeschi ci considerassero loro succursale – riflette ancora Silvia Oliva – ma anche in senso opposto: sanno che qui c'è una produzione di qualità spesso superiore anche alla loro». E' l'indotto che deve adattarsi, rendersi appetibile per i player più grandi che conquistano l'estero, insomma. In Veneto, d'altronde, sono 410 su 33 mila le imprese ''antifragili'', quelle cresciute durante la crisi (l'1,2%): un motivo ci sarà.

I grandi player, appunto: ma esistono? «No – quasi grida Sandro Trento, romano per un gioco del destino docente nell'Università della città con il suo cognome – e non servono a nulla gli incentivi perché le piccole e medie imprese si aggreghino, il problema è che in Italia non nascono le grandi. E i fondi sovrani investono nelle grandi imprese. Poi il nostro sistema sconta una contabilità illegibile per le imprese estere. Infine, si chiede di più al manifatturiero, che però il suo lo fa: la difficoltà sta nella produttività del terziario, banche assicurazioni trasporti continuano a calare». 

Per le prime, risponde  Giovanni Costa, Vice Presidente del Consiglio di Gestione di Intesa Sanpaolo: «Il Piano industriale di Intesa Sanpaolo 2014-2017 prevede per il Veneto nuovo credito a medio-lungo termine all’economia reale per circa 10 miliardi, di cui al Terzo settore 120 milioni.Gli stress test, in questo senso, non cambiano i nostri piani». E poi, i diversi settori non esistono più. Lo conferma ad esempio Luciano Miotto, vicepresidente Confindustria Veneto: «La start up che stiamo realizzando noi nasce nel mondo dell'elettronica, che con le mie lavatrici sulla carta ha poco a che vedere. Ma c'è un problema di dimensioni – conferma – a me esportare costa l'8% del fatturato, come può farcela una pmi se vuole andare all'estero non solo occasionalmente?». 

Il rilancio, se si può usare ancora il termine, passa anche dalle riforme della Pa, e dal contenimento della spesa pubblica. In questo senso l'ultima notizia di giornata la dà il sottosegretario all'Economia Enrico Zanetti (Sc): «Il 25 luglio illustreremo a Verona i risultati del monitoraggio sui costi standard degli enti locali. Posso dire che il Veneto ha esiti più che lusinghieri, ma con alcuni Comuni in difficoltà. Con questi dati – annuncia – potremo provare a superare il patto di stabilità attuale, mantenendo i vincoli per chi è sopra il livello di spesa e allentandoli per chi è sotto. E allora, secondo me, vedremo davvero chi è federalista in questo Paese».

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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