Mose, Peter Gomez: non passa nemmeno i collaudi
Sabato 17 Settembre 2016 alle 15:36 | 0 commenti
In questi giorni, a Venezia, si sta misurando il labile confine tra uno Stato pieno di problemi, ma in grado ancora di risorgere, e l’italica versione di una Repubblica delle Banane. Da quattro mesi sono in corso le sperimentazioni sulle barriere del Mose, la grande opera condita da tangenti multimilionarie che dovrebbe salvare la città dall’acqua alta. Finora tutto, o quasi, è andato storto. A fine maggio ha fatto cilecca un collaudo alla bocca di porto di Lido NordÂTreporti. I detriti, il fango e le cozze hanno bloccato due paratoie. La scena si è poi ripetuta a settembre nella prova svolta a Punta Sabbioni. La diga mobile che deve fermare le alte maree si è alzata, ma non è poi tornata sul fondo. È ovviamente auspicabile che il problema venga risolto per giugno del 2018 quando tutte le 57 barriere saranno al loro posto.
Un fatto lascia però senza fiato. I commissari messi ai vertici del progetto dopo lo scandalo mazzette, ammettono con onestà di non sapere “quanto verrà a costare la gestione del Moseâ€. Sul punto esistono solo delle stime. Posizionate in una forchetta larghissima: da 12 a 80 milioni di euro l’anno.
Traduciamo: gli italiani, 15 anni fa, hanno acquistato una macchina nuova, anzi un prototipo mai sperimentato. Il prezzo di listino era di un miliardo e mezzo di euro. Alla consegna hanno però sborsato quasi quattro volte tanto (5,5 miliardi) e adesso scoprono che, se tutto funziona, la manutenzione non costerà 3 milioni ogni 12 mesi come preventivato, ma una cifra forse 26 volte superiore.
Una classe politica in cui spiccano molti ladri, molti incompetenti e molti incapaci, dimostra così di cosa è capace. Non sono stati studiati i numeri e i dossier. Gli allarmi sono stati ignorati. Quando nel 2009 la Corte dei conti ha spiegato che i costi di gestione non si conoscevano, tutti hanno fatto spallucce. I progetti alternativi al Mose, meno cari e già sperimentati, sono stati scartati. Si è camminato a testa bassa come animati da una sola convinzione: non importa quanto spendiamo, intanto non sono soldi nostri.
L’ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari, che si è opposto inutilmente all’opera (a questa, ma non ad altre con tecnologia diversa) ha più volte rammentato come è andata. Ascoltando i suoi racconti è possibile ricordare che il consorzio è stato presieduto dal 1986 al 1995 da Luigi Zanda, l’attuale capogruppo Pd al Senato, e che nel 1990 in prima fila a sponsorizzare il Mose c’era il socialista Gianni De Michelis, uno dei protagonisti di Tangentopoli. Poi è arrivato il beneplacito di Romano Prodi e quello del suo successore Silvio Berlusconi.
Cacciari non lo stavano a sentire. Il grande ladro Giancarlo Galan, all’epoca presidente del Veneto, anzi lo sbertucciava. Vani sono poi stati pure i suoi appelli all’attuale premier Matteo Renzi perché, una volta esploso lo scandalo mazzette, qualcuno si mettesse a riflettere almeno sulla manutenzione.
Risultato: nessuno sa ancora con quali soldi verrà pagata. E per la verità nessuno nemmeno sa se il Mose funzionerà davvero. Sono molti gli esperti, gli ingegneri e i tecnici convinti che, comunque vada, la grande opera non servirà per salvare la città . Noi che di idraulica non ne capiamo niente ci auguriamo però che il Mose sia utile e funzioni. Speriamo che nel 2021, al termine dei tre anni di prova, tutte le risposte siano positive. Non per la faccia loro. Per la nostra. Se si fallisce a Venezia, falliscono gli italiani. E per tutti saranno solo cozze, fango e tante banane.
di Peter Gomez, Il Fatto QuotidianoÂ
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