L'imposta patrimoniale è spesso un espediente demagogico
Sabato 13 Agosto 2011 alle 03:15 | 0 commenti
Da Il Corriere della Sera, risposta del direttore Ferruccio De Bortoli a Massimo Muchetti
Caro Massimo, accade raramente, ma questa volta non sono d'accordo con te e con i commentatori da te citati che il Corriere ha ospitato in questi mesi. È giusto che chi ha di più paghi di più. Non sono mai stato un amante della «flat tax», la tassa uguale per tutti. Il principio costituzionale della progressività delle imposte ha solide radici nella storia del diritto e nelle fondamenta dell'economia sociale di mercato.
Ma l'imposta patrimoniale è spesso un espediente demagogico dagli effetti incerti e persino controproducenti. Senza ascoltare i consigli della Banca d'Italia, nel '92, si impose nottetempo un prelievo straordinario del sei per mille sui depositi bancari. Al governo, come noto, c'era Amato. Il gettito fu sicuro e cospicuo, ma rappresentò un clamoroso tradimento della fiducia che i cittadini risparmiatori ponevano nelle banche e nello Stato. Uno strappo doloroso al tessuto di relazioni che tiene insieme una comunità nazionale. Se oggi facessimo qualcosa di analogo, senza la lira e con l'euro, avremmo conseguenze ancora più devastanti, proprio nel momento in cui si chiede a famiglie e imprese di sottoscrivere titoli di Stati e siamo alle prese con un crisi di stabilità e di credibilità degli istituti di credito. Quella imposta straordinaria del '92 fu associata a un prelievo sugli immobili, sulla base dei redditi catastali, poi trasformatosi nell'attuale Ici. Le imposte patrimoniali una tantum funzionano soltanto, nella globalizzazione dei mercati, se fatte di sorpresa, quasi di rapina, altrimenti i capitali da tassare se ne vanno e, buona notte, ce la si prende solo con la casa, che l'80 per cento delle famiglie italiane possiede in proprietà e spesso è il bene esclusivo di una vita di lavoro e di risparmio. Non è giusto. Non sono molti i Paesi che hanno introdotto imposte di questo tipo. E una ragione vi sarà . La Francia, da Mitterrand in poi, ha sperimentato una tassazione delle grandi fortune cui è seguita una sequela di grandi fughe. Chiedere ai vari Bolloré e Zalesky, ormai naturalizzati italiani, anche nella loro predisposizione a evadere il Fisco. Qualcosa di simile esiste in Australia, con l'effetto indesiderato che in prossimità della scadenza dei versamenti, i cittadini si «impoveriscono» spendendo anche in beni superflui pur di aggirare il Fisco. Certo, altri Paesi, con i quali noi ci confrontiamo, non hanno il problema di abbattere un enorme debito come il nostro ma la via di un taglio secco mi appare tanto suggestiva quanto pericolosa. Un esercizio accademico con una vena giustizialista in economia che non mi piace. C'è un solo modo per ridurre l'incidenza del debito pubblico: crescere di più, privatizzare e liberalizzare ottenendo ogni anno un consistente avanzo primario (uscite inferiori alle entrate), spendendo di meno, tagliando l'enorme spesa pubblica italiana, e combattendo seriamente l'evasione fiscale, senza premiarla di fatto, con ripetuti e generosi condoni. Dobbiamo essere più duri con chi evade, combattere il nero e il sommerso, e non punire i piccoli risparmiatori e il ceto medio.
Accedi per inserire un commento
Se sei registrato effettua l'accesso prima di scrivere il tuo commento. Se non sei ancora registrato puoi farlo subito qui, è gratis.