L’impatto della “risoluzione” bancaria
Martedi 2 Febbraio 2016 alle 10:41 | 0 commenti
				
		Le perdite che hanno colpito gli obbligazionisti di quattro istituti di credito hanno mostrato quale possa essere l’impatto della cosiddetta “risoluzione†bancaria. Da gennaio, questa procedura viene gestita dal Comitato di Risoluzione Unico di Bruxelles. Joanne Kellermann, avvocato ed ex direttore esecutivo della Banca Centrale Olandese, ha il compito di preparare i piani di risoluzione per le banche italiane e tedesche, oltre ad essere uno dei cinque funzionari che voteranno su quando attuarli.
In un’intervista a Repubblica, la Kellermann difende il meccanismo di  risoluzione che, sostiene, può portare a risultati migliori delle  alternative.
«La  risoluzione bancaria non è come un’infezione che cade dal cielo» dice  ai margini di un convegno organizzato dall’Ispi a Milano. «L’alternativa  per una banca in difficoltà non è che non accada nulla, ma le procedure  di insolvenza». Una parte integrante della risoluzione bancaria è il  meccanismo di
bail in, che può forzare obbligazionisti subordinati  e ordinari, oltre ai correntisti sopra i 100.000 euro, a perdere soldi  prima di un eventuale salvataggio pubblico. Ignazio Visco, governatore  della Banca d’Italia, in un intervento sabato ha chiesto all’Unione  Europea di rivedere queste regole, perché introdotte troppo  repentinamente. Ma la Kellermann, intervistata prima del discorso del  governatore, sostiene che i Paesi abbiano avuto tempo per adattarsi alle  nuove norme.
«Si è saputo da un po’ di tempo che [il bail in]  sarebbe scattato quest’anno» dice a Repubblica. «Penso che ci sia un  obbligo per le autorità – noi da quando esistiamo, ma prima della nostra  esistenza anche per le autorità nazionali – di istruire il pubblico,  perché è importante che le persone abbiano chiarezza sui loro diritti e i  loro doveri».
La percentuale di obbligazioni bancarie nelle mani dei  piccoli risparmiatori italiani è più alta che nel resto dell’area euro.  Come già evidente nel caso di Banca Etruria e delle sue sorelle, questa  peculiarità vuol dire che l’azzeramento dei titoli bancari può colpire  direttamente i cittadini, invece di essere limitata agli investitori  istituzionali, come le assicurazioni, che sono in grado di assorbirle  meno traumaticamente. Ma per la Kellermann, il problema è quello di  evitare gli abusi. «Se c’è stata vendita fraudolenta - dice - le  autorità di regolamentazione del mercato devono intervenire. Ma è un  problema diverso dal bail in».
Uno dei pericoli che è stato  attribuito al bail in è quello di aumentare i costi di finanziamento  delle banche, minandone la stabilità. Ma per l’alto funzionario europeo,  l’evidenza empirica a riguardo non è così chiara.
«Ci sono studi che  dicono che i costi saliranno, e ci sono altri che dicono che non lo  faranno. Il mercato deve prezzare il rischio nel modo in cui deve essere  prezzato. Se c’è più trasparenza, questa potrebbe essere una buona  cosa. Prima della crisi eravamo d’accordo che il prezzo del rischio era  sbagliato, e questo ci ha portato ad una situazione in cui non volevamo  essere».
La Kellermann crede che l’unione bancaria debba essere  completata attraverso la creazione di un fondo di garanzia dei depositi  comune, che tuteli con fondi europei i depositanti fino a 100.000 euro, a  cui i tedeschi si sono per ora opposti. Ma la sua esperienza, che  comprende il salvataggio della banca belga Fortis, crollata nel 2008, la  convince che anche l’unione bancaria così come è strutturata al momento  sia migliore della situazione che c’era in precedenza.
«Sono  diventata membro del board [della Banca Centrale Olandese] nel novembre  2007, dunque c’ero in quelle situation rooms, con banche come Fortis che  erano state colpite severamente dalla crisi, e ho un’esperienza  personale di com’era quando non avevamo regole e strumenti».
Una  delle accuse mosse alle istituzioni europee è quella di doppiopesismo.  Prima che le regole cambiassero, Paesi come l’Olanda e la Germania hanno  usato fondi pubblici per salvare alcune delle loro banche con molte  meno condizioni di quelle che verrebbero chieste ora. Per la Kellermann è  importante che il Comitato di Risoluzione, guidato dalla tedesca Elke  König, sappia affrontare questo problema di percezione. «Siamo  un’istituzione dell’unione bancaria, ed è il nostro ruolo assicurarci  che le regole […] siano applicate in maniera uguale in tutti gli stati  membri. Che sia percezione o no, quello che è successo durante la crisi è  stato dovuto alla frammentazione, a una grande varietà di risposte e  tutti hanno riconosciuto ci fosse bisogno di regole e approcci comuni ».
Questo  non vuol dire però, che la risoluzione sia l’approccio migliore in  tutti i casi. «La risoluzione non è per tutte le banche. Lo scenario di  base sono le procedure di insolvenza. [Comunque] se c’è una soluzione di  mercato, opteremo per quella. Solo se non c’è soluzione, ci sarà  risoluzione». 
di Ferdinando Giugliano da la Repubblica
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