Liddell al Teatro Olimpico, Baldo: una serie di considerazioni a bocce ferme
Martedi 29 Settembre 2015 alle 18:04 | 0 commenti
Riceviamo da Italo Francesco Baldo e pubblichiamo
Trascorsa una settimana dalla fine dell’esibizione della Liddell al Teatro Olimpico di Vicenza, a bocce ferme, come si usa dire, resta ancora una serie di considerazioni da fare. La prima è chiedersi se questo spettacolo rientri a pieno titolo nella “classicità †che la rassegna intende da decenni esibire e,credo, valorizzare, come è accaduto per tantissimi spettacoli.
La seconda se il detto “lavoro†della catalana sia o meno una sperimentazione teatrale o “una catena verbale apertaâ€Â come diceva l’illustre scienziato P. Bridgmann, il padre dell’analisi in operazioni e riferimento del filosofo vicentino Silvio Ceccato. Le parole possono essere usate in libertà , ovvero congiungendole e avendo esse una struttura grammaticale corretta, ritenere che questa sia la condizione sufficiente perché esse esprima un significato. Il grande sofista Gorgia nell’Elogio a Elena, ha ben chiarito come con le parole anche i colpevoli possano essere innocenti e gli innocenti colpevoli. Non occorre certo citare Aristotele e la sua esigenza di definizione o la filosofia analitica per chiedersi se quanto proferito dalla Liddell, che interessa tanto al Sindaco Variati sia appunto una serie di parole connesse dal significato sconnesso o una serie di parole che esprimono un significato, che allora, bisognerebbe magari sottoporle più che al vaglio del Sindaco a quello di uno psicoanalista per la necessaria cura, visto che l’ipsismo e non solo, presenti lasciano qualche dubbio al proposito di una esigenza teatrale, comprensibile anche dalla sola lettura del testo. Infatti, possiamo dire, dopo un’analisi che la Liddell non procede a una limpida esposizione della propria tesi, che non è chiara nell’assunto, non presenta uno status quaestionis del problema “amore, né tesi diverse, né da conto di ciò che è alla base delle sue proposizioni, distorce servendosi di artifici linguistici e di immagini che, pur non tradotte in gesti teatrali, sono ben chiare nella loro irriverenza. Ciò fornisce il materiale per l’ultima considerazione per poi seppellire questa sperimentazione come le tante, spesso a spese di Pantalone, che si sono fatte nei teatri italiani e che non hanno certo contribuito a potenziare l’arte teatrale facendo piangere Melpomene e Talia.
   Così con in mano il Dizionario della lingua italiana di G. Devoto e G.C. Oli, edito a Firenze da le Monnier, varie edizioni, utilizzata quella del 1973 alla voce “sacrilegio†(p.2037), riproduciamo la definizione a chiusura di queste considerazioni, e la proponiamo: “Deplorevole mancanza di rispetto verso quanto è degno di venerazione (e s. offendere i valori dell’uomo), o iperbolicamente, detrimento arrecato per grossolana insensibilità artistica, affettiva, spirituale (quel grattacielo in quella piazza è un vero e proprio s.)â€. Si può anche ricorrere al Vocabolario Treccani, on line: “Anche, iperbolicamente, il fatto di non rispettare, per incompetenza o deliberatamente, il valore artistico e spirituale, o anche affettivo, di un’opera o di un oggetto: è un s. quel grattacielo in mezzo a palazzi trecenteschi; parodiare Shakespeare in versi così grossolani è proprio un sacrilegio.†Ed infine per essere politically correct il Dizionario, on line, di “La repubblicaâ€: “Mancanza del dovuto riguardo, della giusta considerazione verso cosa di particolare pregio o valore: tagliare tutti questi alberi per impiantarvi una raffineria di petrolio sarebbe un sacrilegioâ€.
FINE
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