La Voce del Sileno, Italo Francesco Baldo: "quando il vicentino Giacomo Zanella iniziò a poetare?"
Mercoledi 11 Gennaio 2017 alle 11:30 | 0 commenti
Ospitiamo il settimo articolo de La Voce del Sileno, rivista on line che "intende coinvolgere tutti coloro che hanno a cuore la ricerca filosofica, culturale e in modo indipendente la propongono per un aperto e sereno confronto".
"Quando Giacomo Zanella iniziò a poetare?" di Italo Francesco Baldo
Certamente i poeti iniziano a comporre giovanissimi, nell'età adolescenziale, ma quasi tutti abbandonano il difficile campo della poesia e ne serbano però il ricordo, magari in chiusi quaderni o diari, che talora sfogliati fanno intravedere un animo sensibile, capace di cogliere sentimenti, situazioni. Ma, presi alla vita o da altri interessi nei fogli chiusi o buttati la vena poetica sparisce. Alcuni invece continuano, ma non sempre sono poeti, scrivono qualcosa che vien detto poesia, spesso dai soli autori, ma talora nasce un vero poeta e nel corso tutta la sua vita lo attesta.
I lettori apparentemente molti, ma spesso distratti, ne colgono il senso leggero, ma quando vi è vera poesia, allora la si coglie ed essa rimane. Ripercorrere l'itinerario di un poeta è interessantissimo, talora nelle prime composizioni si ha modo di cogliere quello che si svilupperò, temi, addirittura predilezioni. Giacomo Zanella negli studi classici, che farebbero bene a tutti, trovò nei poeti greci e soprattutto latini, in particolare in Virgilio, il fecondo terreno per la sua ispirazione che culminò dei sonetti dell'Astichello, nei quali tutta si rivela sua grande poesia, prima rivestita di grandi forme e parole classiche. Negli anni di studio amò molto la traduzione dei classici ed ebbe valenti maestri, tanto che per tutta la vita tradusse, l'ultima sua fatica è proprio una tradizione, L'Ester del poeta francese Racine, edita nel mese in cui morì, maggio 1888. Accanto alla traduzione, coltivò ben presto la composizione autonoma e la prima poesia di cui abbiamo notizia e che fu pubblicata è del 1839, quando aveva 19 anni. Tutto fa presupporre che non sia stata proprio la prima e che tentativi ce ne fossero stati in precedenza, ma non abbiamo "prove" e pertanto ricordiamo quella che qui riproduciamo fu inserita in Le quattro età dell'uomo. Versi pubblicati nella promozione alla Laurea in Filosofia presso l'I.R. Università di Padova del chiarissimo Andrea Ab. Sandri -Professore di Matematica pura e di Storia universale nel seminario di Vicenza (Vicenza, Tip. Picutti, 1839) L'ab. Giuseppe Franceschini compose La puerizia, Anacreontica; Jacopo Zanella, La gioventù, Inno; Domenico Caldonazzo di Navigano La virilità , Ottave e l'Ab. G.B. Farina La vecchiaja, Terze rime. La composizione dello Zanella, non ricordata e ovviamente non inserita nelle pubblicazioni in occasione del centenario della morte nel 1988, ci mostra già la capacità del giovane di "tenere il verso" e soprattutto di penetrare gli aspetti della vita nella gioventù. Un primo impegno poetico cui seguiranno tantissimi altri, ma nel quale, a ben leggere, si coglie il grande amore per gli studi, per la natura, i fiori e soprattutto l'esigenza delle virtù che perfino, fattasi grande la mente, sorpassa i desideri della giovinezza.
Colla chioma di rose gremita;
E nel pugno la foce d'amore,
Trascorrente coll'ansia nel core,
E il pensiero, che freno non ha,
Gioventù, sul cammino della vita
Come ardente tu getti lo sguardo!
Dietro il volo d'un vago stendardo
La sperando guidando ti va.
Una valle di rischi feconda,
Che rumor di torrenti disserta
Un mar nuovo, un'incognita terra
Pellegrino t' attendon fra lor.
Come l'onda sospinta dall'onda
Fragorosa le prode travaglia!
Nel tuo petto furente battaglia
Colla Gloria solleva l'Amor.
Cento larve ti fan corona,
E d'un serto ciascuno t'alletta.
Qual fia mai la fedele, che metta
La ghirlanda sul biondo tuo crin?
Una voce, che d'alto risuona
Giovinetto, all'inganno ti fura;
Una voce, che manda Natura,
De'tuoi giorni t'addita il cammin.
Oh!La segui. Per ampia laguna
Ella è vanto, che molle sospira,
Che l'errante che pace desira,
Guida in grembo di florido suol.
Ah! La segui. La vaga fortuna
Sul tuo calle non volge la rota;
Quasi ancella d'un cenno devota
Dal tuo fianco non mettesi a vol.
Te beato! Se dolce ti preme
La quiete de' studj romiti,
A lontani ed inospiti liti,
Il tuo nome bellissimo andrà .
Se temenza dell'ore supreme
Ti sofferma col padre canuto,
Affrancato di provido ajuto
Nuovo padre il fratello t'avrà .
Se chiamato sui campi cruenti
Segui il tuono del bronzo guerriero,
Folgorante sul duro cimiero
Poserà la vittoria gli allôr.
Cessa, o mesta, dai molti lamenti;
Ecco il prode dall'armi ritorna;
Già l'altare di rose s'adorna,
E fa sacri due giuri d'amor.
Quanto riso di gioja fiammeggia
Sovra i giorni del forte campione!
È passata la fredda stagione,
Fulse tempo di santo gioir.
Vago un figlio, che vispo l'ormeggia,
E del padre all'amplesso non basta,
Collo scuso scherzando e coll'asta
Beve in petto del padre l'ardir.
Male al tristo, che d'ostro ravvolto
Chiama il sonno e d'ignavia si pasce!
Forse l'oro e le nobil fasce
La virtude gli fanno e l'onor?
Il sudore che gronda dal volto,
A'magnanimi edúca la palma:
Odio il fasto, se torpida è l'alma,
Se alla Gloria non palpita il cor.
Ma furore di splendide imprese;
Bella età , tu nell'anime accendi:
Guarda al circo, ove attesa discendi,
E nel petto raddoppia la virtù.
Tu speranza del dolce paese
Vagheggiando dal primo tuo sguardo:
Tu sorriso del bianco vegliardo,
Che ti crebbe nel tempo che fù.
Nella Gloria dell'ampia Natura
A me pure tu scaldi le vene;
Tua compagna la fulgida Spene
Nel vïaggio mi porge la man.
Meco resta. La pallida cura
Non sottentra le belle tue tende:
Da quel sole, che vivo ti splende,
Ogni nembo dilegua lontan.
Ma tu fuggi sull'ale degli anni,
E le benda ti getti sul viso?
Ah! L'estremo tuo mesto sorriso
Della gioja è l'estremo sospir.
Una vita pasciuta d'affanni
Al tuo tergo pensosa cammina,
Quando, fatta la mente reina,
Muto è in core l'antico desir.
Sol conforto dell'alma, che duole
Fra la torba de'foschi pensieri,
La membrana degli anni primieri;
Cara allor si svolge nel cor;
Pari al riso dell'ultimo sole,
Che saluta la vetta montana;
Pari al suono di squilla lontana,
che lamenta sul giorno che muor.
Si chiede a tutti coloro che ricevono questo articolo di trasmetterlo ad amici e conoscenti.
I contributi vanno inviati al coordinatore all'indirizzo di posta elettronica: [email protected]
Il busto de Il Sileno è presente nei Musei Civici di Padova
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