Il mensile "Schio" prima stampa poi si autocensura e irride Loretta Bertoldi che ricorre in Cassazione contro i 50.000 euro di danni. L'appello del marito Emilio Fornasa
Lunedi 14 Novembre 2016 alle 08:37 | 0 commenti
Tutto è iniziato da una lettera pubblicata sul mensile “Schio†nel 2005, un periodico cartaceo che ora non esce più, ma è consultabile presso la Biblioteca Comunale scledense. Una critica alla locale amministrazione e in particolare sull'operato di un ex assessore dopo la quale sono state ritirate le copie del giornale poi ristampato con un altro articolo. Una vicenda giornalistica-giudiziaria tra esposti all'OdG, azioni giudiziarie, querelle politico-porno-editoriale finita anche su diversi quotidiani quotidiani cartacei locali. La lettera è stata ripubblicata su altro periodico nell'area Alto Vicentino e ha generato una raccolta firme a difesa dell’art. 21 della Costituzione per la libertà di stampa.
La redazione del mensile “Schio†ha pubblicato successivamente immagini satiriche discutibili contro l'autrice della lettera, Loretta Bertoldi, che ha sporto querela in tribunale. La causa, vinta in prima battuta dalla signora, è stata ribaltata e persa in appello con una condanna di 50 mila euro, ma ora arriverà al giudizio della Cassazione.
Una vicenda intricata in un'epoca di attacchi alla stampa, tra giornalisti minacciati e notizie oscurate, che nell'anno 2015 ha registrato più di 5100 querele infondate a danno di cronisti.
Di seguito pubblichiamo la lettera che ci ha spedito il marito della signora, Emilio Fornasa:
Egregio Direttore,
desidero portare a Sua conoscenza questa incredibile vicenda giudiziaria iniziata più di dieci anni fa ma ancora attuale perché nel corso del 2016 arriverà in Cassazione. Essa ha per protagonista mia moglie, Loretta Bertoldi, per aver inviato al direttore del mensile di politica, cultura e attualità “Schio†, distribuito nella città di Schio e in tutta la Valleogra, una lettera di critica alla locale amministrazione comunale.
Questo periodico era l’unico a Schio attraverso il quale un cittadino poteva esternare un parere o una critica circa la vita cittadina e la sua amministrazione. Esso conteneva al suo interno anche una rubrica di satira ma non è a questa che mia moglie intendeva inviare la lettera. Questa venne pubblicata senza la benché minima obiezione da parte del direttore nello spazio da lui curato.
Anzi egli in seguito scriverà candidamente, rendendolo così noto a tutti, di non avere rilevato in essa offese o elementi per non pubblicarla.
Dopo l’invio di quell’ unica lettera mia moglie, che non è mai più intervenuta in nessun modo, né per iscritto, né verbalmente, è stata inopinatamente investita dallo stesso direttore nel mensile del mese dopo, come pure sul suo sito “Il Fischiotto.itâ€, con una incredibile sequela di insulti triviali e feroci usando “ad hoc†anche la rubrica “satiricaâ€, in cui senza neppure entrare nel merito della lettera, spargeva palate di letame sulla malcapitata.
Perché questo clamoroso cambio di registro nell’arco di un mese? Da parte dei politici, oggetto della critica, non c’era stata la minima reazione ed è solo questo direttore invece a reagire imbestialito, evidentemente per conto terzi, dimentico di “non avere rilevato in essa (lettera) offese o elementi per non pubblicarla†.
Egli pubblica numerose immagini di assoluta volgarità , tratti anche da siti pornografici, come lui stesso ama scrivere con una punta di singolare sussiego, per punirla di avere osato criticare chi invece doveva restare intoccabile. Ritenendo di essere al riparo della sua rubrica di satira, afferma di avere scritto “una pagina ferocemente antibertoldianaâ€, nei confronti di Loretta Bertoldi. Tra gli altri insulti, non soddisfatto, scrive anche: “volevo colpire e ho colpito†e rivendica il diritto di “sbeffeggiare chi si mette in mostra ed ha le pezze al culoâ€.. Come detto, nessun commento a quanto espresso da Loretta.
E' opportuno che si sappia che questo ineffabile professore, nella sua vasta produzione letteraria, definisce se stesso “un vecchio malvissutoâ€. E' da questo pulpito che vuol castigare il mondo. Tra le altre invettive, insulta poi le lettrici scledensi, solidali con Loretta, recatesi a protestare presso l’editore, coniando per esse il termine puritan-fe ecc. ecc. A seguito della querela di mia moglie, il giudice di primo grado ha condannato il direttore e l’editore confermando così che l’ondata di indignazione della cittadinanza era ovvia. Questa sentenza è stata incredibilmente rovesciata a Venezia, in appello, nel 2015, con motivazioni che lasciano attoniti.
Per esempio, relativamente al lungo racconto in forma di metafora che ha per titolo “Ecco cosa si guadagna a fare la pitona†(mostrare la lingua), stampato proprio di spalla alla stessa immagine della prostituta con sovraimpresso il nome “Loretta Bertoldi†, la giuria accetta la versione comica del direttore che nega il riferimento a Loretta.
Illuminante questa metafora inventata dal direttore, da leggere con attenzione in vari suoi punti. Tra questi, un bambino dispettoso di nome Bertoldino (leggi Loretta Bertoldi) avrebbe scalato il muro di cinta penetrando nel giardino (il giornale) messo a disposizione del pubblico da un generoso signore (l’editore) per farla (la lettera) bella e fumante, sopra lo zerbino del palazzo. Ma non aveva scritto di “non avere rilevato in essa (lettera) offese o elementi per non pubblicarla? E poi , quantunque “bella e fumante†non è stato lui a pubblicarla? Non poteva cestinarla subito?
Egli scrive anche: “Men che meno servì la lettera aperta pubblicata su un periodico locale dove si tirava in ballo la libertà garantita dalla Costituzioneâ€.
Sempre lui, nel suo sito on-line, si ripete scrivendo : "ma lo sapete o no che le donne, perfino certe boccalone, per una settimana hanno fatto la fila nel vicolo dei Menin (editori) per esternare il proprio disgusto riguardo a una bellezza valleogrina spudoratamente discinta sulla copertina dell’ultima fatica di Loretta Bertoldi… Niente, non sentivano ragione. Le puritanfe tra loro erano perfino intenzionate a raccogliere firme di protesta da pubblicare in Lira & Lira…â€
Di fronte ai giudici nega che questa metafora insultante, nonostante i precisi riscontri, si riferisca a Loretta. Tutti sanno che mente, anche i suoi amici. I giudici veneziani non gli chiedono: e a chi, se non la Loretta, si riferiva? .
E i giudici, in Laguna, guarda un po', gli credono….
Quest’anno 2016 si andrà in Cassazione.
Il colmo grottesco della vicenda si raggiunge nella Biblioteca Comunale di Schio, dove sono conservati tutti i numeri del mensile in questione. In particolare si può trovare il numero che attaccava, con bestiale ferocia, Loretta. Il numero del mese precedente, che ospitava la lettera, causa della rappresaglia del giornale, non c’è. Solo questa constatazione basta a dimostrare la singolarità di questa incredibile vicenda. Se qualcuno volesse capire a che cosa si riferisse tanto livore da parte del direttore non ne capirebbe la ragione. Si sa che ad ogni effetto corrisponde una causa che però in questo “strano caso†non si trova. Che cosa è rimasto dunque del mensile che ospitava la lettera? E della stessa lettera? Un buco nero che brilla proprio per la sua assenza !
E’ lo stesso direttore del mensile a spiegarlo, in seguito, nel puerile e goffo intento di salvarsi la faccia, dandosi più volte, vigorosamente, la zappa sui piedi.
Scrive che il numero che ospitava la lettera, una volta stampato e già in parte distribuito, è stato ritirato, non per volontà sua, ma per ordine dell’editore, contro il suo stesso parere. E noi gli crediamo anche perché memori di quanto da lui in seguito affermato e scritto di “non aver rilevato in essa (lettera) offese o elementi per non pubblicarla.
Egli continua raccontando che, pur non convinto, accetta l’imposizione dell’editore tanto da collaborare con lui al punto di redigere un articolo che non c’entra nulla , ma della misura giusta per ricucire una pezza sullo strappo lasciato dalla lettera censurata e poter così ristampare il periodico. Un direttore tutto d’un pezzo, dunque, proprio una schiena diritta: il Montanelli dell'Alto Vicentino. Il giornale, così “lavato in Leograâ€, acquista una sua nuova, disinvolta verginità e viene distribuito per la seconda volta. E il costo di ritiro, ristampa e ridistribuzione di tutte quelle migliaia di copie? Benignamente sostenuto da chi ?
Per quanto rapida, quest’azione d’inedita censura non sfugge però a quanti hanno fatto in tempo ad assicurarsene una copia. Essa diventa in poche ore “il Gronchi Rosa†di Schio, e di tutta la vallata, generando una vasta ondata di sdegno nella popolazione che reagisce indignata provvedendo a ristampare, su altra pubblicazione pubblicitaria locale, la stessa lettera diventata così di dominio pubblico. Insieme ad essa anche una sottoscrizione di firme a difesa dell’art. 21 della Costituzione così rozzamente vilipeso.
Per questa pubblicazione, con cui mia moglie non ha niente a che fare e che però mette alla berlina il disinvolto e pasticcione comportamento del direttore e dell’editore, mia moglie subirà la loro “eroica†rappresaglia. Non andranno ad attaccare quanti hanno avuto l’iniziativa, pur legittima, di ripubblicare la lettera con la raccolta di firme che gli ha smascherati, bensì riverseranno tutta la loro rabbia schiumante verso Loretta, per nulla soddisfatti di averle già assestato un “eroico†schiaffo , gettandole la ormai famosa lettera nel cassonetto.
E a fronte di tutto ciò i giudici veneziani in appello hanno dato torto a Loretta: evidentemente, secondo loro, non doveva nemmeno fiatare.
Si inaugura così a Schio un nuovo corso di satira, non quello che dalle origini mira a “castigare†i guasti del potere o dei costumi, bensì , giusto il contrario, rivolto a schiacciare brutalmente chi osa muovere loro una critica.
Oggi, come già scritto sopra, nella Biblioteca Comunale di Schio, della lettera scritta da mia moglie, che ha dedicato tutta la vita al volontariato e negli ultimi dieci anni alla presidenza del C.I.F cittadino, non c’è traccia.
Restano invece le pagine di ripugnante sporcizia e sadismo scelte con diligenza dal “vecchio malvissuto†prof. G.P. Resentera, dove i miei nipoti, Leonardo e Damiano, di tre anni il primo e di sei mesi il secondo, potranno un giorno vedere le immagini, tra le altre, di una prostituta nell’atto di abbassarsi le mutande oppure di una vacca alla quale viene estratta di bocca, e tranciata, la lingua, con evidente allusione a Loretta che ha osato parlare .
Sopra queste, stampato, il nome della loro nonna Loretta.
L’immagine della vacca cui viene tranciata la lingua è la metafora che sigilla, e seppellisce, proprio a Schio, città già purtroppo già nota per l’orrendo eccidio del 1945, l'art. 21 della Costituzione che tutti dovrebbero conoscere e, a partire da tutti i giudici, far rispettare. E questa “ opera di satira†, è stata diffusa in migliaia di copie nel territorio dove la mia famiglia vive e dove non tutti sanno la verità .
Io mi chiedo : è satira questa o è stupido terrorismo travestito da satira?
Per concludere, la giustizia italiana, in appello, ha deciso: questa barbarie è legittima e mia moglie, rea di avere chiesto ai giudici giustizia, ha sbagliato. Intanto, in attesa della Cassazione, abbiamo dovuto versare cinquantamila euro alla parte lesa (!?).
Mi permetto di finire con una riflessione: la legge è sì uguale per tutti, i giudici e gli avvocati, evidentemente, no. Dopo questi due gradi di giudizio, con esiti diametralmente opposti, che giudici troveremo in Cassazione? E, a prescindere dall'esito romano, per me il caso non è chiuso.
Confido però anche nel Suo interesse per questa vicenda italiana, intanto La ringrazio dell'attenzione e La saluto cordialmente.
Emilio Fornasa
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