La Verità: il gran ballo delle autonomie cambia la vita
Martedi 4 Luglio 2017 alle 10:22 | 0 commenti
C'è chi la vagheggia come soluzione di tutti i mali e chi la snobba come un privilegio per pochi che andrebbe eliminato. Ma cosa significa concretamente vivere in una Regione autonoma a statuto speciale? La domanda non è retorica ora che le due realtà traino dell'economia italiana, Veneto e Lombardia, hanno fissato la data per il referendum consultivo sull'autonomia regionale. La risposta arriva dai territori che l'autonomia l'hanno realizzata al meglio, come il Trentino Alto Adige, diviso a sua volta nelle province autonome di Trento e di Bolzano, in continua evoluzione verso il maggior grado di autonomia possibile.
Vivere in una Regione a statuto speciale comporta oneri e onori. L'apparato pubblico e più vicino e accessibile, ma anche più presente e vigile, l'impresa è agevolata ma non sono ammesse mosse false, gli agricoltori sono sostenuti, ma i controlli diventano capillari. Perché in un sistema chiuso e autosufficiente con un governo vicinissimo e plenipotenziario bisogna remare tutti nella stessa direzione. E non si può sgarrare. La consultazione il Lombardia e Veneto si terrà il
prossimo 22 ottobre e al voto saranno chiamati tutti i residenti nei territori interessati che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età . Il quesito è chiaro: «Volete voi che la Regione, nel quadro dell'unità nazionale, intraprenda le iniziative istituzionali necessarie per richiedere allo Stato l'attribuzione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, con le relative risorse, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 116, terzo comma della Costituzione?». Non è previsto un quorum, ma se a prevalere saranno i sì, i governatori Roberto Maroni (Lombardia) e Luca Zaia (Veneto), forti dell'appoggio popolare, si recheranno a Roma per mettere le carte in tavola con il governo centrale. L'obiettivo è togliersi di dosso il peso di una burocrazia statalista che, per provvedere ai territori in difficoltà , penalizza quelli virtuosi. Oggi le tasse che gli enti locali raccolgono dai propri
cittadini vengono versate nelle casse dello Stato centrale, che poi provvede a ridistribuire il denaro su tutto il territorio nazionale, secondo le esigenze di ogni singola realtà . Destinando una quota delle tasse in arrivo dalle Regioni virtuose per coprire i costi dei servizi di quelle meno efficienti. Quello che le Regioni versano in più rispetto a quanto ricevono in trasferimenti e servizi viene chiamato residuo fiscale. La Lombardia ogni anno registra un residuo fiscale annuo positivo pari a 53,9 miliardi di euro, cioè ogni cittadino versa 5.511 euro che non tornano indietro in servizi. Il Veneto presenta un saldo positivo pari a 18,2 miliardi di euro che si traduce in 3.733 euro conferiti da ciascun residente, sostanzialmente in beneficenza. I fondi a perdere finiscono soprattutto verso le regioni del sud, la maggior parte delle quali registra un residuo fiscale negativo. Cosa accadrebbe, invece se le due regioni divenissero autonome? Le tasse raccolte si fermerebbero per la maggior parte (il 90% da statuto che scende al 75% in casi di emergenze economiche nazionali) nelle casse regionali e, in cambio, il governo locale dovrebbe occuparsi direttamente dei servizi ai cittadini, sgravando dell'onere lo Stato. La possibilità è prevista dal Titolo V della Carta costituzionale, e in particolare nell'articolo 116, comma3, citato anche nel quesito referendario. Con una legge dello Stato, alle Regioni possono essere attribuite «forme e condizioni particolari di autonomia» nelle materie elencate all'articolo 117 (rapporti internazionali e con l'Unione europea, commercio con l'estero, tutela e sicurezza del lavoro, istruzione, professioni, ricerca scientifica, tutela della salute, alimentazione, ordinamento sportivo, protezione civile, governo del territorio, porti e aeroporti civili, produzione dell'energia, previdenza complementare e integrativa, valorizzazione dei beni culturali e ambientali ecc). Come, e in che misura, si deciderà durante la trattativa, che necessariamente dovrà essere avviata tra lo Stato e le Regioni che vogliono diventare autonome. E che il modello a cui puntare sia quello del Trentino Alto Adige, è quasi scontato.
«Che autonomia sarà ? Diventeremo come Trento e Bolzano», ha dichiarato più volte Zaia interpellato sull'argomento. Tra tutte le Regioni a statuto speciale (Friuli, Sardegna, Sicilia, Valle d'Aosta, Trentino-Alto Adige costituito dalle province autonome di Trento e Bolzano), infatti, è in Trentino che l'autonomia si è realizzata al massimo grado, con l'ulteriore divisione di governance nelle due provincie autonome. Qui la trattativa per aumentarne l'efficienza non si è mai fermata. Recentemente i trentini hanno ottenuto che persino tribunali e poste dipendano dei governi locali: da subito i tempi della giustizia si sono ridotti ed è in lavorazione un piano per far arrivare i portalettere, senza sprechi, anche in alta montagna. Le linee guida per arrivare a trattare con Roma sono già tracciate ma, nella strada verso l'autonomia, Veneto e Lombardia vogliono camminare insieme. La settimana scorsa il Consiglio regionale della Lombardia ha approvato la costituzione di un «tavolo tecnico comune per stabilire competenze e risorse relative al pacchetto di materie negoziabili con lo Stato», ricordando che le due realtà regionali rappresentano 15 milioni di abitanti, vantano 80 miliardi di residuo fiscale e producono il 35% del Pil del Paese.
Di Alessia PdrielliÂ
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