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La piccola rivoluzione industriale della campagna

Di Redazione VicenzaPiù Mercoledi 2 Maggio 2012 alle 09:17 | 0 commenti

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Di Guido Zentile, da VicenzaPiù n. 233

L'affermazione dell'industria nella nostra provincia, una delle poche in Italia ad aver visto nascere nell'ottocento un sistema produttivo tale da definire Schio "la Manchester d'Italia", alla pari di Sesto San Giovanni, non si è limitata a concentrarsi solo nei territori dell'alto vicentino, oggettivamente più idonei per un settore coinvolgente come il tessile e il serico.

Le nostre campagne, caratterizzanti il paesaggio della pianura veneta, il cui ambiente rurale era segnato da una modesta urbanizzazione, quali gli insediamenti sparsi, come la villa-fattoria, con la sua ampia tenuta, le pievi, i piccoli centri rurali, sono state anch'esse coinvolte nel processo industriale per rispondere ad un sistema di lavorazione che riguardava un'attività tipica dei luoghi: l'allevamento del baco da seta.
Ecco quindi interrompersi il cono di visuale di un orizzonte che si confonde nel verde della campagna, con una sagoma eretta costituita dal camino in mattoni della fabbrica: la filanda, un'imponente costruzione che si nota in lontananza, isolata da altri contesti produttivi, magari ai margini di un borgo agricolo. Le filande, nell'ambito dell'impronta ecologica e del carico urbanistico sul territorio, hanno avuto ugualmente un peso determinante, se pur meno incisivo dell'industria estensiva che ha pesantemente interessato altre realtà territoriali.
Questo perché, a differenza di quest'ultimo aspetto, che se pur invasivo era fondato su un'idea progettuale, e sulla costruzione di spazi di relazione, si è agito in assenza di pianificazione, si è costruito per la necessità di avere un insediamento che raccogliesse al suo interno le fasi di un processo produttivo determinante per l'economia del territorio rurale. Un territorio che viveva non solo della lavorazione della terra e dell'allevamento del bestiame, ma anche di un segmento significativo della vita e dell'ambiente delle campagne. Non abbiamo assistito all'incidenza espansionistica dell'urbanistica sociale, anche perché la filanda, pur nella sua mole, era sicuramente fonte di lavoro, ma non intensamente continuo e, soprattutto, stagionale. Ecco quindi che l'espansione del modello fabbrica - villaggio qui non si manifesta, a differenza di quanto avviene a Piovene Rocchette e a Schio.
Un testimonianza, dalla quale ancora oggi si può notare il ruolo che la filanda aveva nel territorio, essendo la costruzione ben visibile, si può riscontrare nei pressi di Vicenza, a Lerino, dalla strada provinciale che conduce a Camisano. La struttura, a sviluppo verticale, costituita da un unione di edifici, in mattoni a vista (tipica dell'epoca), da uno a quattro piani, è sita a nord della ferrovia, appena a margine del centro abitato della località, proprio a ridosso della campagna. La collocazione urbanistica è rispettata.
Il complesso è costituito da una serie di edifici costruiti con l'avanzare del tempo e delle necessità, in epoche diverse, complice il progredire della tecnologia industriale.
I fratelli Vaccari, provenienti da Milano, fecero costruire nel 1892, in quel di Lerino, un magazzino di bozzoli, con annesso essiccatoio per la raccolta e l'essiccamento dei bachi, bozzoli che passavano alle filande, ritirando, poi, il filato, per lavorarlo nel loro filatoio a Vicenza. La bozzoliera, oltre a raccogliere ed essiccare i bozzoli, che provenivano dalle famiglie contadine della zona, provvedeva anche alla loro selezione nelle varie categorie.
Nel 1909, la bozzoliera Vaccari, e il terreno circostante, furono acquistati dalla famiglia Bonazzi, che la ampliò costruendovi un laboratorio da adibire a filanda, e due abitazioni, per il direttore e ad uso foresteria. L'opificio assunse così una particolare conformazione ad "F". Fu introdotto, nel ciclo produttivo, un sistema d'essiccazione tramite caldaie a vapore, le quali avevano il compito di mantenere, durante il periodo di luglio e agosto, mesi in cui la produzione della filanda si bloccava, la temperatura adeguata per l'essiccamento e la conservazione dei bozzoli, e durante il periodo di trattura quell'umidità adeguata per la lavorazione dei bozzoli. Nel 1925, la parte a laboratorio nella zona centrale fu ampliata in senso verticale di un piano e del sottotetto, in cui fu allocato la sala per la preparazione della seta.
Nell'agosto del 1955 la filanda, e il suo terreno, sono stati ceduti dalla famiglia Bonazzi - che chiuse l'attività nel 1948 - alla famiglia Pellizzari (e qui entrano in gioco le immobiliari), la quale procederà nel corso degli anni ad eseguire delle ristrutturazioni interne ed esterne, aggiungendovi tettoie e pertinenze, alterando così la configurazione e le caratteristiche originarie del complesso; questo allo scopo di insediarvi delle attività prevalentemente del settore terziario. Oggi è operante un'ampia attività commerciale, nel campo dell'arredamento al dettaglio.
Il Comune di Torri di Quartesolo, il cui ambito amministrativo comprende la frazione di Lerino, nel vigente strumento urbanistico, individua la filanda come manufatto di archeologia industriale. Già questo basterebbe a tutelare e puntualmente vincolare, non solo l'edificio, evitando così manomissioni ed alterazioni, ma anche l'area pertinenziale, che presenta già nella zona d'ingresso da via Camisana delle caratteristiche peculiari ancora oggi individuabili, quali il cortile interno, preceduto dalla palazzina del custode, sul fronte strada, oggi adibita a ristorazione. Da tempo vi aleggia lo spettro di uno strumento urbanistico attuativo che prende il nome di Piano di Recupero, il quale non recupera un bel niente e prevede, nell'area pertinenziale, una capacità insediativa comprendente una serie di nuovi edifici: la normativa del metro cubo. Proprio una visuale ottimale che valorizza una storica testimonianza, in cui, anche in questo caso, la legge del mercato è la legge del mattone (o, meglio, la legge classe Rck).

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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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