La morte stupida e il volante come arma. Prima Alex poi la madre suicida per il dolore
Sabato 4 Giugno 2011 alle 23:01 | 0 commenti
Per tutta la giornata sono rimasto annichilito dalla notizia del suicidio della madre di Alex Di Stefano, immaginando il dolore immane, immedicabile, che le ha sconvolto l’animo, pensando alla tragedia di una famiglia semidistrutta (la foto dell'inidente è tratta da Il Giornale di Vicenza, n.d.r.). Non ho mai conosciuto né il ragazzo né i suoi familiari, ma la pena per un simile evento non ha bisogno di parentele, per manifestarsi. Fa parte della natura umana. E tuttavia bisogna anche cercare di razionalizzare.
In passato ho perso un amico, schiacciato come un gatto durante un giro in bicicletta ad un incrocio. ‘Non l’ho visto’, dichiarò l’investitore, e credo che il processo si sia concluso con una condanna a due o tre mesi, naturalmente condonati. Anni fa, in un comune del Vicentino, una macchina, sfrecciando a più di cento all’ora in centro abitato, falciò una coppia di coniugi sulla porta della loro casa. Il giudice incriminò l’autista non per omicidio colposo, come ci si sarebbe aspettato, ma per omicidio semplice, dichiarando – cito a memoria – che chi guida in quel modo deve mettere in conto anche la possibilità di uccidere, e dunque per questo deve essere punito. Non ho più saputo niente della vicenda, non so come si sia conclusa, né se abbia fatto giurisprudenza, come si suol dire. Ma ci ho ripensato ieri, alla notizia della morte di Alex Di Stefano. Se così ha ritenuto allora quel giudice, cosa penserà oggi il magistrato che dovrà incriminare l’investitore di Alex, risultato positivo ad alcol e cocaina? Quale sarà l’atteggiamento della Legge nei confronti di un individuo che, agendo in quel modo, ha manifestato un disprezzo assoluto non solo per la propria esistenza – e di questo, francamente, non c’importa nulla – ma soprattutto per quella degli altri? Avrà anche lui i soliti tre o quattro mesi con la condizionale, blasfema pietra tombale sulla vita di due innocenti? Il punto è che per l’ennesima volta si pone il problema di una revisione totale e radicale del concetto di omicidio colposo, che sulle nostre strade si è trasformato in una pura e semplice licenza di uccidere. Perché chi entra in banca sparando sconta decine d’anni di galera, se non l’ergastolo, mentre chi uccide impugnando l’arma di un volante è sicuro di sfuggire non solo e non tanto ad ogni ‘punizione’, quanto soprattutto ad ogni responsabilità ? Non vendetta, cercano le vittime di questi eventi, ma giustizia e coscienza. Verrà mai il momento in cui lo Stato saprà dar loro quello che chiedono?
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