La Grande Guerra e la dignità a chi è stato costretto a dare la vita per una guerra che non voleva
Lunedi 22 Settembre 2014 alle 10:48 | 0 commenti
Riceviamo da Demetrio Shlomo Yisrael Serraglia e pubblichiamo - Quando si discute della grande guerra, come di ogni altro evento storico, è difficile essere super partes perché ogni persona è influenzata nelle proprie analisi dal proprio vissuto, dai propri studi, dalle proprie letture e dalla propria sensibilità , ma soprattutto è influenzato e guidato dalla propria etica.
È evidente che la grande guerra non fu una guerra voluta dalla maggioranza, è evidente che per l'italia o meglio per i Savoia e la casta politico militare piemontese fu una continuazione delle cosiddette guerre d'indipendenza, o per meglio definirle guerre di conquista per allargare lo staterello insignificante dei Savoia.
I generali savoiardi volevano il bagno di sangue, volevano le promozioni, consideravano i propri fanti meno di zero. I regnanti volevano ampliare il loro regno con le guerre, oltre che con la diplomazia sporca (e tipicamente italiana) stile contessa di Castiglione.
Ogni storico che voglia restituire dignità ai popoli italiani dovrebbe quantomeno affermare, o meglio denunciare, che i governanti italiani hanno rifiutato di avere senza guerra il trentino. Questo rifiuto costò 1.240.000 morti italiani, distruzioni inimmaginabili oggi, con costi economici altissimi, la cui conseguenza è stata un regime che ci ha portato ad un'altra guerra mondiale rendendosi altresì complice ed attore del più tremendo crimini dell'umanità : la Shoah.
Nella valutazione del cambio al vertice dell'esercito italiano dopo la rotta di Kobarid bisognerebbe quanto meno essere onesti e spiegarne il perché, sapendo che esula dalle questioni prettamente militari o di macelleria subite nelle trincee da parte dei militari italiani, ma può essere annoverato tra le questioni di immagine politico-strategica: Armando Diaz (napoletano) sostituì Luigi Cadorna (piemontese). Ricordo che, con questo comportamento razzista, fecero in modo da poter addebitare quello che era considerato l'inevitabile destino di sconfitta dell'offensiva austro-tedesca ad un generale non di tradizione militare piemontese (casta militare da mantenere integra).
Ogni curioso, ma soprattutto ogni ricercatore della storia dovrebbe prima di scrivere confrontarsi con quella natura che ha ospitato i fanti e gli alpini durante quel conflitto. Quella natura che anche oggi, a distanza di un secolo, troviamo violata, sofferente a causa di quelle battaglie. Occorre provare a passare qualche settimana o meglio qualche mese a contatto con il freddo pungente, con la neve da spalare alta metri, con l'energia elettrica centellinata, con l'acqua raccolta in cisterne, con il sole d'estate che brucia la pelle. Questo per parlare del rapporto che forzosamente centinaia di migliaia di uomini hanno avuto con la natura, ciò non è esaustivo ma è un inizio necessario per entrare nella dimensione della precarietà tipica della guerra, di quella guerra che proprio lì si è combattuta. Questo passaggio è necessario per cercare di assumere il punto di vista di quegli uomini, per arrivare ad avvicinarsi a comprendere, nella maniera più vicina possibile il campo di battaglia, per capire cosa provarono gli uomini durante quei tremendi lunghissimi anni.
Per fortuna oggi la guerra non incendia più le nostre Alpi e le nostre pianure, però quando visitiamo i sacrari della grande guerra se entriamo in un rapporto personale con i nomi delle lapidi capiamo anche l'universo che sta alle spalle delle vite che i generali macellai hanno spezzato per una sete di potere e di presunto onore.
Non possiamo dimenticare e quindi dobbiamo denunciare, se scriviamo di grande guerra in italia, il fatto che se i fanti non avessero caricato alla baionetta, se sopravvivevano alle mitragliatrici, venivano decimati dai plotoni di esecuzione italiani. In contrapposizione a questo dobbiamo raccontare l'umanità che accomunava i soldati su tutti i fronti, e sulle gelide Alpi il fatto che tra una battaglia e l'altra erano frequenti i momenti di fraternizzazione tra le truppe opposte.
Questi sono spunti di riflessione che propongo a tutte quelle persone che accorrono ogni anno alle celebrazioni in ricordo delle grande guerra, dobbiamo dare dignità a chi è stato costretto a morire per una guerra che non voleva, dobbiamo in questo modo ridare dignità alle nostre terre e alle vie in cui abitiamo i cui nomi troppo spesso sono sinonimo di carneficine che non hanno portato né libertà né democrazia né più diritti, ma solo sono stati il preambolo di altri lutti ed altre catastrofi, del loro riproporsi continuo e quotidiano tutt'oggi.
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