La disaffezione alla politica
Sabato 30 Giugno 2012 alle 08:23 | 0 commenti
Riceviamo da Italo Francesco Baldo e pubblichiamo
Gran lamenti, gran lai, gran dissertazioni sul perché i cittadini italiani si sono, si dice, disaffezionati alla politica. Mai che si faccia un piccolo "mea culpa", anzi! Le ragioni della disaffezione hanno radici lontane e sono dovute ad una impostazione ideologica, che nasce con l'avvento nel XX secolo dei totalitarismi. Il totalitarismo altro non è che elevare la visione parziale, appunto di partito, ad assoluto della vita dei molti, anzi alla fine alla costrizione dei molti alla visione di una sola parte.
La fine dei totalitarismi in Europa ha lasciato sia nel 1945 sia nel 1992, caduta dell'URSS, a molti l'amaro in bocca, ossia la perdita di quella visione dove "tutto è la mia visione politica". L'Italia reagì nel dopoguerra con una partecipazione attiva, ma non, perlomeno nella stragrande maggioranza della popolazione, ad adunata, tranne che nella sinistra del Partito Comunista Italiano che non ha mai, nemmeno negli epigoni attuali, rinunciato ad una visione totalitaria, seppur recentemente mascherata sempre, come ben insegna Lenin, da un'adesione transitoria (leggi Stato e rivoluzione) alla democrazia, come uno dei possibili passaggi al comunismo. La forza del centro democristiano unito alla conseguita moderazione del Partito Socialista e di quello Socialdemocratico ha dal 1962 rafforzato la visione che la vita associata dell'uomo in Italia debba essere non dipendente dalla sola politica. Questa è necessaria, ma non risolutiva della vita dell'uomo. Infatti, se si considera la politica dal punto di vista della filosofia, essa è una parte della visione etica e ne dipende, come il diritto e l'economia. Il totalitarismo invece considera come unica realtà e metro della stessa la propria visione politica. Tutto deve essere comunista, come tutto deve essere fascista, ovvero la famosa "boiata" che bere la Coca Cola era di destra e come tale vietata ai severi militanti del Partito Comunista, che invece bevevano il succedaneo, l'Africola, di produzione tedesca, fino agli anni sessanta. La dimostrazione che la visione politica non era il tutto, apparve anche chiara negli anni settanta, dove il movimento variegato della sinistra istituzionale e extraparlamentare non ebbe una presa definitiva, la sfiorò nel 1976, ma fu sempre perdente. Conquistò l'ambiente della cultura, non si è intelligenti se non si è di sinistra e così molto indossarono l'opportuna casacca, restando nei modi e nella volontà di potere gli stessi che magari la loro origine borghese aveva cresciuto. La figura dello storico, dello scienziato, del filosofi, ecc. sostituita da quella dell'intellettuale, di origine, si ricordi Giovanni Gentile nel 1925 a Bologna. Con accorta propaganda tutti non potemmo che dirci di sinistra, quasi che fosse un peccato non esserlo, questo fu introdotto dai cattolici che si fecero di sinistra (ricordare Cristiani per il socialismo e la teologia della liberazione addomesticata ad usum anche nel Seminario di Vicenza). Ma i cittadini italiani mal sopportarono questa visione e alla fine negli anni Ottanta nuovamente l'asse della politica fu di centrosinistra, ma iniziò a perdere potenza quel: "tutto è politica", che cadde come cadde il muro di Berlino. In Italia il dibattito politico lo ignorò, si continuò a considerare la possibilità del cambiamento solo attraverso la politica e quando questa fallì con le tangenti, che furono date a sinistra (maxitangente Gardini) e poco a destra a quanto risulta, anziché riprendere il dibattito in una visione complessiva e del valore del bene morale della società che si realizza anche nella politica, si proseguì sperando che la politica risolvesse tutto. L'unione delle variegate sinistre democristiane e dei reduci del totalitarismo sovietico attenuto dal cosiddetta via italiana al socialismo, con Prodi nulla ha sortito. Le prospettive, i modi erano quelli obsoleti, la denigrazione costante e assoluta dell'avversario e il considerarsi sempre e comunque come "i migliori" perché ragioniamo in termini "politici" veri. ossia assoluti e in ciò riprendendo per mano una visione totalitaria. Le difficoltà internazionale , l'11 settembre, la speculazione finanziaria che costringe i cittadini a pagare la finanza delle banche private, ha ben chiarito che non può essere né la politica né l'economia, soprattutto finanziaria a risolvere il problema della vita associata. Ma l'illusione è che tutto sia politica e quindi anche Balotelli sia un fatto politico e non calcistico e che dalla politica nasceranno le soluzioni. Proprio questo è il fallimento, perché se una politica si erge ad assoluto della vita globale dell'uomo, il fallimento giunge, come ha dimostrato la fine dei totalitarismi. Gli Italiani si sono disaffezionati al "tutto è politica" e ritengo chiedano un visione più globale della vita dell'uomo e delle sue esigenze personali e sociali.
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