La Diada National de Catalunya e la sfida indipendentista di Edimburgo parlano del domani
Giovedi 11 Settembre 2014 alle 14:10 | 0 commenti
di Roberto Ciambetti, vicentino Assessore Regione Veneto
Oggi, 11 settembre, a Barcellona si festeggia la Diada National de Catalunya, la festa del popolo catalano che celebra quest’anno il trecentesimo anniversario della caduta di Barcellona, 1714, dopo 14 mesi d’assedio delle truppe borboniche e la conseguente perdita dell’Indipendenza.
Oltre ai tradizionali omaggi al monumento di  Rafael Casanova e ai 4000 caduti morti in difesa di Barcellona, quest’anno si formerà , con il culmine alle 17:14, una grande V  umana tra la Diagonal e la Gran Via della capitale catalana dove si concentreranno i partecipanti alla manifestazione. Â
In Catalunya i cittadini sono molto più uniti nella loro rivendicazione indipendentista rispetto alle stesse forze politiche e l’esito di una consultazione sull’indipendenza, negata da Madrid, è scontato. Non è affatto scontato il risultato in Scozia, con le forze unioniste in affanno dopo gli ultimi sondaggi che hanno svelato un testa a testa impensabile fino a poche settimane or sono: l’ansia con cui il primo ministro conservatore David Cameron, il suo vice il lib-dem Nick Clegg e il leader dell'opposizione laburista Ed Miliband, insieme, promettono una maxi-devolution agli scozzesi purché rimangano nel Regno Unito è già di per sé una straordinaria vittoria scozzese che lenisce la ferita aperta nel 1707.
Il Veneto perse la sua Indipendenza nel 1797 e la storia millenaria della Serenissima, Repubblica ben prima, e dopo,  di Scozia e  Catalunya, avalla al pari di scozzesi e catalani la nostra rivendicazione di Indipendenza temuta e ridicolizzata dalle élite dominanti Italiane perché la perdita di una delle grandi aree da cui deriva una parte significativa del gettito erariale metterebbe in serio pericolo gli equilibri economici di uno stato che fonda il proprio consenso e la propria forza su forme clientelari e assistenzialismo mascherato. Ai partiti nazionali, a Londra ma ancor più a  Roma,  poco importa il mito dell’Unità nazionale: interessa tenere le mani sul salvadanaio.
La grande crisi di questi anni ha reso obsoleto lo stato-nazione e la sfida è il dar vita a forme statuali capaci di essere al servizio della società locale proiettata nella competizione globale.  Il segnale che giunge dai cittadini di Edimburgo e Barcellona è chiaro: la sfida della globalizzazione non si affronta né si vince con vecchi strumenti.
In molti denunciano supposti mali e gravi rischi di una secessione sia essa scozzese, catalana o anche veneta, ma nessuno dei critici spiega come riusciranno gli stati centralizzati a resistere alle pressioni innovatrici,  ai nuovi scenari, né come supereranno i limiti della loro obsolescenza. Le riforme non sono che un  camouflage utile solo a mascherare,  ma non curare, una realtà decrepita.
Le migliori performance nella sfida della modernità in Europa sono state segnate da stati a forte impianto federale, ad iniziare dalla Germania: l’Italia è l’unica a non essere nemmeno riuscita a recuperare i livelli precedenti a quelli del 2007, mentre il reddito disponibile per abitante è crollato del 23 per cento dal 1992  ad oggi.
Le battaglie indipendentiste catalana come scozzese affondano le loro radici certo nella storia, nell’identità , ma hanno anche grandi ragioni di attualità e di logica economica: la mappa del nuovo mondo globale, con le nuove superpotenze,  non accetta residui anacronistici. C’è chi si accontenta d’essere stato protagonista del passato. Chi vuole essere attore della storia e protagonista del futuro: a Barcellona in centinaia di migliaia oggi lo ripeteranno a gran voce.
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