La cultura allena l'immaginazione ma con la cultura si mangia?
Mercoledi 15 Maggio 2013 alle 11:25 | 0 commenti
Sophia Los e Matteo Balbo candidati a sostegno di Valentina Dovigo Sindaco - Immaginiamo che ci venga proposto di cucinare qualcosa di speciale, entro un mese. Pentole, stoviglie, mestoli, spezie, cibi vari, pacchi di pasta davanti a noi formano un muro incombente. Un muro che spaventa e che ci fa dire “io scappo, non sono in gradoâ€, so cucinare solo un uovo al tegamino.
Ma ecco spuntare un ricettario, ricco di parole e immagini. Inizia lo sfoglio delle pagine alla ricerca di qualcosa di conosciuto – almeno per cominciare:  risi e bisi, quelli di mia nonna erano buonissimi. Bene, forti di una nuova scoperta cuciniamo un risotto gustoso. E giorno dopo giorno scopriamo cose nuove, riconosciamo i sapori dell’infanzia, cose che danno maggior sapore al risotto e migliore sicurezza a noi che stiamo imparando.
Dopo due settimane il librone ci serve meno. Le regole di base le abbiamo, ora non resta che provare, inventare, realizzare creazioni ardite. E dopo un mese, la cena risulta così ricca, nuova, buona che ci fa stare bene. Pensavamo di non essere in grado, e alla fine abbiamo realizzato il nostro, di grado. La Cultura è questo.
Cultura è un termine ricorrente nei programmi elettorali delle varie liste, anche obbligatorio per chi vive in una città d’arte come vicenza, come per qualsiasi italiano: arte e cultura sono così ridondanti da essere rifiutate. Perché a furia di essere artisti siamo anche considerati inaffidabili, pressappochisti, gente creativa sì, ma non abbastanza seria.
Davvero si mangia con la cultura? Con la scusa della storia – che è cultura – abbiamo vincoli dappertutto e ogni intervento è costosissimo. Spesso la cultura, con i suoi vincoli,  sembra togliere libertà più che darla. Ma quale significato vogliamo dare alla parola cultura, come può risolvere problemi?
E quale economia vogliamo perseguire?
Se cultura è semplice erudizione, conservazione, certo, non produce economia, è statica.
La cultura di cui parliamo è la base dell’immaginazione. Se conosciamo come si fanno le cose, da dove vengono, a cosa servono possiamo vederle anche sotto nuovo sguardo, modificandole, migliorandole, integrandole. Tutti sono creativi quando risolvono un problema, hanno un’intuizione, aggiungono o tolgono un dettaglio a qualcosa che già esiste e così si rinnova.
Il linguaggio – la voce del nostro essere una comunità - serve a condividere, a conoscere e a riconoscere, e la sua ricchezza consente di far emergere nuove opportunità , ed è parole, figure, suoni, gusto, odori, tatto, paesaggio, architettura. In questa epoca ci sono nuovi lavori da inventare, mercati da costruire, elementi da valorizzare. Per farlo serve immaginazione, allenata dalla cultura che è collettiva, intrisa nella storia di un luogo e dei suoi abitanti, a partire dalla nostra famiglia.
Una cultura che nasce dalla curiosità e spazia in ambiti diversi, ma ha in comune un aspetto: qualcosa che si fa con piacere. Non vengono idee se obbligati. Così funziona la nostra mente. Un gioco serio. Ma ogni gioco è molto serio, ha regole precise, e proprio nell’ambito delle regole si può spaziare con libertà , esattamente come fa il pianista nei limiti dei tasti del pianoforte.
La cultura può generare un’economia dinamica, di prodotti e di conoscenza. L’economia come accumulo non è in grado di tenere vivo il mercato, proprio per la sua dimensione statica e non relazionale.
Valorizzare quanto ci circonda, persone, talenti, luoghi aiuta a valorizzare noi stessi, aiuta a vedere opportunità dappertutto, aiuta a realizzare una economia fluida, che sia integrazione di società e ambiente. La prima ispirazione è qui. A casa. A vicenza. È nascosta in gran parte e aspetta di essere disvelata. È negli edifici, nei segreti del mestiere, nelle ricette e nei racconti, nei dipinti, nella musica, nel paesaggio.
Cultura, identità e appartenenza, non sono parole astratte il cui valore è obbligato dalla consuetudine, perché le normative lo impongono o la religione o la famiglia. Sono gli ingredienti concreti per la vita, per la professione e il tempo libero, per un progetto economico, ambientale e sociale realizzabile, perché consentono di mantenere una mente versatile.
Certo, di cultura – ovvero di beneficienza – ci occuperemo quando avremo i soldi, ora c’è la crisi e non abbiamo risorse da buttare via. C’è la cultura di inquinare e protestare. E c’è la cultura di aver cura, ascoltare, elaborare e agire. Basta scegliere quale sia la più utile, quale anche la più gioiosa.
E la cultura di cui vorremmo parlare è quella che i soldi li produce, non quella da mantenere come un figlio. Serve uno sguardo nuovo anche su questo.Accedi per inserire un commento
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