La bellezza salverà Vicenza?
Venerdi 27 Ottobre 2017 alle 10:46 | 0 commenti
La domanda ricorda quella dello scrittore russo Dostojeski nel suo importante romanzo L'idiota, ma nel capoluogo berico sembra però che si faccia più riferimento al saggio del filosofo bulgaro Cvetan Todorov La bellezza salverà il mondo, un saggio che considera la tensione dell'uomo verso l'assoluto e l'autore lo analizza considerando la vita di tre grandi autori: Oscar Wilde, Rainer Maria Rilke e Marina Cvetaeva, scelti perché la loro tensione al bello ha influito su tutta la loro esistenza. Mentre i primi due sono poeti ben noti, l'ultima, la poetessa russa M. Cvetaeva (1892-1941) lo è meno, eppure a lei si deve una importante riflessione intorno all'amore.
La sua prospettiva era quella di non amare l'amore (aspettare quello che mi farà )", ma, come ricorda di lei la studiosa A. Bemini:" passò gli inverni e le primavere e l'esilio a ricoprire ogni cosa d'amore e a mendicare amore, come un carburante per trovare le parole, per conoscere il mondo e per sentire di esistere. Per soffrire, soprattutto: Marina diventava infelice appena l'amore si scontrava con la realtà ". Di R. M. Rilke basti ricordare le Elegie duinesi, la grande apparizione dell'angelo: ogni angelo è tremendo e soprattutto la considerazione: " Poiché il bello non è nulla, null'altro che, del terribile, principio che noi appena sopportiamo ancora, e tanto lo ammiriamo, perché esso disdegna, quieto, di distruggerci." Due grandi prospettive queste che certo non furono quelle del primo poeta preso in considerazione Oscar Wilde, che fece propria la straripata bellezza del suo edonismo, tanto da trasformarlo in un egotismo assoluto, ossia, come ci aiuta il Vocabolario Treccani un: "Atteggiamento psicologico (diverso dall'amor proprio e dall'egoismo) che consiste nel culto di sé e nel compiacimento narcisistico e raffinato della propria persona". Stendhal ne scrisse nel suo "Ricordi di egotismo" dove afferma: "Ero attento solo alla bellezza delle immagini che cercavo", ossia di quanto appare, di ciò che si mostra, parlando con la leziosità delle lettere di Voltaire gli egotismi si destreggiano nell'arte di andare avanti per forza in ciò che gli interessa. Godono così di quello che appare (Scheinung= apparenza) mai riescono a cogliere la sostanza, ma non la vogliono cogliere, perché preferisco l'effimero, lo stupefacente, speriamo non olandese. Davanti ad un'opera d'arte non cercano la intrinseca bellezza, quando questa vi fosse, ma solo lo stupore quasi sempre onanistico che è poi la realtà dell'egotismo.
A Vicenza, città bellissima, dice la propaganda interessata, non si coltiva la bellezza, quella che muove i grandi della città a partire da Achille Loschi per passare a Trissino, Palladio, C. Bologna, G. Zanella, A. Fogazzaro, Frate Francesco da Vicenza (architetto cappuccino), Parise , Piovene e perfino F. Bandini, ecc., ma il mostrare, da un lato perchè, si dice, con la solita punta, anch'essa egoistica, crea economia, come se questo fosse lo scopo dell'arte, nemmeno per K. Marx era così (cfr. Einleitung, Padova, 1975). Dall'altro lo stupore dello " facciamolo strano" che ha avuto il suo apice proprio nel teatro palladiano, dove la bellezza della trascendenza è scomparsa nella funesta sacrilega messa in scena di una lettera di San Paolo, che nessuno ricorderà tranne il Sindaco Achille Variati che la voleva approfondire, o nella visione stravolta dei classici, non portatori di armonia, anche nelle più grandi tragedie, ma oggetto di elucubrazioni registiche che nulla concedono alla bellezza, ma esaltano solo l'ego di chi crede che la sua propria lettura e messa in scena sia l'unica possibile: povero Strehler e con lui tutti coloro che hanno innovato il teatro italiano e non solo, come Brecht, senza prevaricazioni a solo uso e consumo del regista, ripetiamo.
La bellezza salverà Vicenza? Sì, se la città , i suoi attenti abitanti sapranno impegnarsi nel vero valore della bellezza che è quella che era già degli antichi classici e che proprio nell'etimologia è connessa al bene morale, non all'espressione di sé sensazione come assoluto.
Ben ricorda ciò il medioevale - che probabilmente non piace a Vicenza a qualche amministratore - Niccolò Cusano: "Per primo ci sovviene il detto di Dionigi (dello Pseudo Dionigi e il riferimento è a De Div. nom. IV, 4; 7,10) là dove tratta della bellezza: è da notare che il bene è chiamato kalòs ("bello"), il bello kà llos ("bellezza"), quasi a dire che bene e bello sono nozioni prossime. Ma il greco kalò ("chiamo") in latino si dice voco; infatti il bene chiama e attira a sé, e così anche il bello. Inoltre, ciò che è bello è detto anche formosum da forma ("bellezza"), e speciosum da species ("bell'aspetto"), e decorum da decus ("dignità "): perché ciò che è degno è anche amabile e bello.
E se vi poniamo attenzione, allora grazie ai nostri sensi più spirituali, per mezzo dei quali ci poniamo in caccia del sapere, giungiamo a cogliere il bello per una via sua propria. Diciamo infatti che un colore o una figura hanno bellezza, e similmente una voce, un canto, o un discorso; è così che la vista e l'udito in qualche modo colgono la bellezza. Non diciamo bello un odore, né un sapore, né ciò che si percepisce al tatto, perché quei sensi non sono abbastanza vicini allo spirito razionale; difatti, sono puramente brutali, ossia animali."
Basterebbero queste poche parole per intendere che cosa sia la bellezza, che non va confusa con la percezione dei sensi e il loro stupore, essi possono veicolare, ma non risolvere il valore proprio della bellezza.
Diffidiamo pertanto di coloro che parlano di bellezza solo ed unicamente per la parvenza dei sensi e ben volentieri ricordiamo loro che solo una bellezza coniugata al bene morale può salvare. Non cadiamo pertanto nel edonismo che piace tanto a Vicenza, non ha nemmeno la grandezza dell'egotismo di Oscar Wilde.
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