Ipocrisia berica
Sabato 17 Novembre 2012 alle 16:37 | 0 commenti
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Il caso del bambino vicentino rasato fa il giro dei media nazionali, ma della struttura che ospitava gli allenamenti del piccolo, solo Repubblica e pochi altri citano il nome: si tratta del centro Moss di Caldogno che fa capo ad un gruppo presente sia nella provincia berica che in quella scaligeraÂ
«Dalle grandi vetrate al primo piano sopra la vasca della piscina, sembrano coriandoli sospesi in aria che non smettono di volare. Con le loro cuffiette colorate, i bimbi si lanciano a gruppi nel vuoto, spariscono in acqua, poi riemergono e guardano sempre lì, verso quel muro di mamme che viste dall'acqua sono come sospese. È sabato mattina al centro sportivo Moss di Caldogno, un immenso parco giochi dove nessuno vuole macchiare la festa pensando al bambino di 11 anni rapato a zero dai suoi istruttori di nuoto. Quelli che qui tutti conoscono perché fino a pochi mesi fa eranoi maestri dei loro figli. Dopo la trasferta di maggio a Locarno da cui era tornato senza capelli, tranne quelli che segnavano sulla testa una croce, Samuele (nome di fantasia) non voleva più tornare nella grande vasca: voleva smettere col nuoto. È stata sua madre, lentamente, a convincerlo».
Sono queste le parole usate da Sandro De Riccardis, inviato di Repubblica, quotidiano che il 4 novembre pubblica un ampio servizio dedicato al caso del giovane vicentino rasato, sostiene la famiglia, in seguito ad un episodio di nonnismo o bullismo che dir si voglia. Una storia dai molti risvolti dalla quale si dirama anche un binario penale giacché tre persone sono finite indagate per abuso di mezzi di correzione: sono Roberto Serraglio, 52 anni, Giulia Ponzio, 21, e Giorgia Baghin: tre coach in forza al centro Moss di Caldogno, che fa riferimento ad un gruppo operante nel vicentino e nel Veronese, dal quale si sono allontanati o perché sospesi o perché licenziatisi.
Frattanto il bailamme mediatico nazionale diventa assordante. La notizia rimbalza da una agenzia all'altra, da un sito di news alla edizione di un tg, ma nel capoluogo nessuno cita il nome della struttura in cui il bambino si allenava, nonostante il servizio di Repubblica. Per vero il GdV del 4 novembre dà ampio spazio anche alle ragioni dello stesso Serraglio, docente di educazione fisica al Remondini di Bassano, il quale espone con chiarezza il suo punto di vista: «C'è stata una reazione forte dei genitori, che mi ha amareggiato, e una riunione infuocata. Ho detto al presidente della società , che era presente in Svizzera, ma a cui non è stato contestato nulla, che mi sarei dimesso io, pur perdendoci molti soldi, per calmare le acque; e dopo aver aiutato quei bambini a inserirsi e crescere, la denuncia è la ricompensa». Ma quando l'intervistatore del GdV gli chiede quale sia la cosa che gli dà più fastidio la risposta è di quelle che possono fare il botto: «Il fatto che la società sportiva non si sia presa le sue responsabilità , scaricando la colpa su di noi. Ma cercherò di rivalermi, non è giusto quello che è successo». Ma quale è la società sportiva? È una società estranea o no allo stesso Moss, ovvero alla struttura che ospitava gli allenamenti del piccolo la cui famiglia ritiene sia stato oggetto di un trattamento contrario alla legge?
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