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Il vescovo Antonio Mattiazzo replica alle polemiche con un'intervista che anticipiamo

Di Redazione VicenzaPiù Giovedi 27 Gennaio 2011 alle 13:18 | 0 commenti

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Il vescovo Antonio Mattiazzo replica alle polemiche degli ultimi giorni con un'ampia intervista sulla Difesa del popolo di domenica 30 gennaio 2011 che anticipiamo grazie all'Ufficio Stampa Diocesi di Padova.

«Se qualcosa negli ultimi giorni ha turbato il vescovo, è la sofferenza che un'interpretazione distorta delle sue parole ha provocato tra i familiari di Matteo Miotto e in molti fedeli, specialmente nella comunità thienese. Al fiume di polemiche, articoli, prese di posizione che si sono rincorsi e accavallati su giornali e televisioni guarda invece con tranquillo distacco (...).

E al florilegio di dichiarazioni il vescovo risponde nel modo che gli è proprio: con il preciso argomentare di chi, nel corso di una lunga carriera diplomatica e di più di vent'anni trascorsi alla guida di una diocesi grande e complessa come quella di Padova, ha toccato con mano i nervi scoperti di una politica internazionale troppo condizionata dagli interessi dei potenti per saper dare risposta al desiderio di giustizia, di pace, di benessere condiviso che vediamo emergere a ogni latitudine».
Con queste parole il direttore della Difesa del popolo - Guglielmo Frezza - introduce e presenta nell'editoriale pubblicato nel numero del settimanale diocesano di domenica 30 gennaio 2011, un'ampia intervista con il vescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo, che riprende i temi e le questioni che tanta polemica hanno suscitato in questi giorni: le morti dei soldati in Afghanistan, le missioni di pace, l'eroismo, la ricerca della verità dei fatti...
Un'intervista ampia e articolata le cui prime parole sono di attenzione e vicinanza alla famiglia di Matteo Miotto. Il vescovo di Padova chiarisce il suo pensiero, risponde alle critiche, con una premessa: «Parliamo di tutto, e parliamone a lungo - afferma il vescovo - Ma con una premessa, per spiegare la grande difficoltà che noi vescovi incontriamo quando cerchiamo di far sentire la nostra voce. Ci sono problematiche di carattere etico, morale, religioso che non è possibile degradare a battuta, a lancio d'agenzia, per poi raccogliere tra politici e intellettuali un florilegio di dichiarazioni buone solo ad accendere le polemiche. E allora domando a voi giornalisti: se rinunciamo all'idea che l'opinione pubblica possa e debba elaborare un suo pensiero critico, se trasformiamo il dibattito pubblico in un botta e risposta alimentato più da interessi di parte che dall'amore per la verità, se ci limitiamo a sollecitare la reazione emotiva delle persone, quale contributo date a questa nostra società?».
Il testo integrale dell'intervista, oltre che sul settimanale diocesano oggi in distribuzione, è disponibile sul sito internet della Difesa del popolo all'indirizzo www.difesapopolo.it , sul sito della Diocesi di Padova, www.diocesipadova.it e qui in pdf e di seguito come testo:

 

Intervista integrale al vescovo Antonio Mattiazzo, pubblicata sulla Difesa del popolo di domenica 30 gennaio 2011.
«Parliamo di tutto, e parliamone a lungo. Ma con una premessa, per spiegare la grande difficoltà che noi vescovi incontriamo quando cerchiamo di far sentire la nostra voce. Ci sono problematiche di carattere etico, morale, religioso che non è possibile degradare a battuta, a lancio d'agenzia, per poi raccogliere tra politici e intellettuali un florilegio di dichiarazioni buone solo ad accendere le polemiche. E allora domando a voi giornalisti: se rinunciamo all'idea che l'opinione pubblica possa e debba elaborare un suo pensiero critico, se trasformiamo il dibattito pubblico in un botta e risposta alimentato più da interessi di parte che dall'amore per la verità, se ci limitiamo a sollecitare la reazione emotiva delle persone, quale contributo date a questa nostra società?».
La premessa è amara, ma giustificata. Anche perché le frasi che tante polemiche hanno suscitato attorno alla morte di Matteo Miotto, l'arcivescovo Mattiazzo le aveva pronunciate sabato scorso al tradizionale incontro con i giornalisti (vedi la cronaca a pagina 9), al termine di un lungo dialogo con Gianni Riotta ruotato in gran parte proprio attorno al ruolo dell'informazione e a quelle parole di Giovanni, "Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi" (Gv 8,32), che a prescindere dal loro significato religioso condensano un monito d'impressionante forza per chiunque intenda dedicarsi all'entusiasmante, ma delicatissima, professione giornalistica. E la verità, vien da chiosare, è quasi sempre troppo complessa per essere racchiusa in poche righe.
«E già che ci siamo, sia ben chiaro che sfido chiunque a interpretare le mie parole in senso politico, come se il vescovo di Padova intervenisse per aiutare un partito piuttosto che l'altro. Come tutti sanno, da quando entriamo in campagna elettorale non ricevo più alcun politico ed è per me motivo di vanto dire che ben difficilmente lei o chiunque altro sarebbe in grado di dire a chi va il mio voto».

A prescindere dagli aspetti politici molti, soprattutto a Thiene e tra gli alpini, sono rimasti scossi dalle sue parole. E l'hanno accusata di avere mancato di compassione verso due genitori che, prima d'ogni altra cosa, chiedevano di essere accolti e compresi nel loro dolore straziante.
«Mi dispiace profondamente. Ai tanti nostri alpini vorrei ricordare in questa occasione l'eucarestia e le giornate trascorse assieme ad Asiago e sul Grappa, durante le loro adunate, e le mie parole sui valori della tradizione alpina. Ma soprattutto ai genitori di Matteo, alla sua fidanzata e a tutti i parenti e gli amici voglio ribadire ancora una volta la mia preghiera, la mia sincera vicinanza e il mio dolore. Ai genitori di Matteo ho inviato una lettera personale per assicurare loro la mia vicinanza e il mio conforto. Ho pregato per Matteo, così come per il lagunare Matteo Vanzan di cui ho personalmente celebrato le esequie a Camponogara. Se in questo caso non è avvenuto, è soltanto perché il funerale solenne era già stato celebrato a Roma da un altro vescovo, l'ordinario militare Vincenzo Pelvi. Ma questo non modifica in alcun modo né il mio dolore, né la pietà per un ragazzo che considero una vittima».

Cosa intende per vittima?
«Matteo è una vittima perché morto innocente e ingiustamente; una vittima che pongo accanto alla più grande vittima della storia, che è Gesù Cristo. E a lui che sa cosa significa essere uccisi innocenti e ingiustamente avrei consegnato nel funerale un ragazzo che ha perso la vita in quel tragico modo. Questo è il mio sentire profondo, e le mie riflessioni non intendevano toccare in alcun modo la sorte di Matteo. Anzi, proprio la grande pietà che sento per ogni vittima mi spinge a sollecitare una riflessione profonda, per evitare il benché minimo rischio che la sua tragedia venga sfruttata per altri scopi».

Più esattamente lei ha messo in guardia dai rischi di un'esaltazione retorica.
«E l'ho fatto proprio a partire dalla vicinanza umana alla famiglia e alla comunità di Thiene. Lo so che costa fatica, ma domandiamoci cosa dev'essere mettere al centro della nostra attenzione: la vittima di questa tragedia, la persona di Matteo con il suo carico di valori e di scelte, la stessa sofferenza dei suoi cari, o a dominare la scena dev'essere l'apparato retorico costruito dallo stato attorno al lutto di una intera comunità? Questo è un rischio che come vescovo sento il dovere di sottolineare, ed è una questione che va ben oltre il singolo caso e non tocca in alcun modo la persona di Matteo».

Intende dire che la morte Matteo rischia di essere strumentalizzata dallo stato? È per questo che non ritiene opportuno definirlo un eroe?
«Questa è una prassi che si ripete sempre e da sempre. Di fronte alla morte di un soldato, quel che entra in gioco senza che i cittadini se ne accorgano può essere la tendenza o la tentazione alla sacralizzazione tipica della religione civile, di quella dimensione del vivere sociale che al pari della fede cristiana - e spesso mutuandola da essa - ha elaborato lungo i secoli i suoi specifici riti, una sua simbologia e un suo linguaggio. Non è un caso se a Roma sorge l'altare della patria, così come non a caso nella prima guerra mondiale l'Italia veniva definita "irredenta". E le accuse di disfattismo lanciate a papa Benedetto XV quando definì quella guerra una "inutile strage", sono proprio il frutto della rabbia di chi vedeva all'improvviso sconfessata e messa a nudo la retorica della religione civile. Ma questa per me è poco più che mitologia. E invece di scandalizzarsi, sarebbe bene ragionare a fondo sulla questione».

Come definire allora un eroe, o se preferisce come definire l'eroismo, in un contesto civile? Quante volte la stampa definisce eroico il comportamento di magistrati, forze dell'ordine, semplici cittadini che mettono a repentaglio la loro vita? Si è scritto che di questi tempi perfino fare il proprio dovere è da eroi.
«Mi pare un'enfatizzazione retorica, affermare che ogni vita onesta o ogni comportamento coraggioso sia di per sé stesso eroico, salvo poi celebrare tanto eroismo solo quando a morire è un ragazzo in divisa. Altrimenti non capisco perché non si senta in dovere di pronunciare le stesse parole e di organizzare funerali solenni per le migliaia di nostri cittadini che dopo un'intera vita "eroica" lasciano nella loro comunità un ricordo di onestà, senso del dovere, abnegazione. Aggiungo di più: ma lo stato ha solo eroi in divisa da commemorare solennemente? Maria Bonino, la nostra infermiera del Cuamm morta nel 2005 a Luanda di febbre emorragica, non era forse un'eroina? E i suoi colleghi che scelsero di non scappare dall'area dell'epidemia, anche a rischio della vita? La salma del vescovo Padovese assassinato lo scorso giugno in Turchia, dopo aver offerto una splendida testimonianza di coraggio e di amore, è tornata su un anonimo aereo da trasporto merci. A questo punto, di fronte a tante vicende esemplari rimaste sepolte nel silenzio, non le pare che abbia ragione, quantomeno a denunciare il rischio di una possibile esaltazione retorica? Questo non toglie nulla al valore personale davanti a Dio».

Eccellenza, per essere un'intervista non so bene chi stia facendo più domande, se io o lei...
«Ciò che non è stato colto della mia riflessione di sabato scorso sono proprio gli interrogativi che ho riproposto per l'ennesima volta ai giornalisti presenti, e che purtroppo rimangono senza risposta. In occasione delle celebrazioni per i sessant'anni di Medici con l'Africa Cuamm, davanti al presidente della repubblica, ho pronunciato delle affermazioni che giudico molto serie, ricordando come il sistema della cooperazione internazionale italiana sia ormai obsoleto e denunciando lo scandalo di un'Italia che è oggi al penultimo posto tra i paesi donatori, nonostante tutti gli impegni solennemente presi in sede internazionale. Napolitano, devo dire con grande serietà, ha subito ripreso il tema nel suo intervento. Ma perché la mia affermazione non ha avuto alcuna risonanza? Perché nessun giornalista si è sentito in dovere di approfondire il tema, o di riflettere sulla drammatica questione delle mine di cui abbiamo disseminato il mondo? Perché tutto questo non interessa a nessuno? Perché l'opinione pubblica non è sollecitata a riflettere sul problema della fame nel mondo o del sottosviluppo? Perché di quel che succede in Costa d'Avorio non parlano mai i nostri telegiornali? A tutto questo non varrebbe la pena dedicare un dibattito? Mi chiedo se non prevalga invece una rappresentazione del mondo ancora impregnata di ideologia e di una retorica che spesso serve a coprire interessi economici e politici».

In fondo ogni stato ha costruito lungo i secoli una sua retorica, come trama essenziale per la vita civile e politica. Senza andare a Mussolini e al fascismo, cosa sarebbe la nostra stessa repubblica se non avesse elaborato il mito della resistenza, o il mito della costituzione, per affermare e corroborare i valori fondanti di una comunità sociale? Anche questo è sbagliato?
«In Thailandia, dove la monarchia costituzionale è il collante dello stato, ancora oggi i ragazzi ogni mattina a scuola fanno l'alzabandiera e il saluto al re. Certo, le società sono come un corpo e un corpo deve avere un'anima. Capisco benissimo che una simbologia profondamente interiorizzata può servire a tenere insieme una nazione, ma non so quanto ancora questo potrà durare. E soprattutto oggi dobbiamo avere il coraggio di chiederci cosa tenga insieme il popolo italiano, quali siano i valori profondi a cui ci affidiamo. Come ha ricordato recentemente anche il papa, l'anima profonda di un popolo ha bisogno di formarsi su valori trascendenti. Oggi non li vedo, e non possono certo essere degli stereotipi a sostituirli. Ecco perché come pastori siamo chiamati anche a saper proporre un pensiero profetico, che abbia la forza necessaria a scardinare le ovvietà, che costringa ciascuno di noi a mettere in discussione quanto abbiamo passivamente assorbito. Il profeta, voglio ricordarlo, è colui che sa leggere più in profondità nelle cose e ha il coraggio di denunciare quanto c'è di ambiguo, di non vero, quanto risponde solo a interessi personali, a orgoglio, a vanagloria. I profeti sono quelli che mettono in chiaro la verità. E naturalmente la verità scotta».
Che cosa pensa Lei delle cosiddette missioni di pace?
«La parola "missione" mi è particolarmente cara; per me è fondata sul Vangelo. Il missionario del Vangelo è uno disarmato. Nella nostra Costituzione abbiamo ben scritto che la Repubblica ripudia la guerra. C'è uno spazio di azione profetica nel voler far avanzare quella intuizione, nel darle concretezza, ben conoscendo la complessità delle situazioni. In tutta coscienza penso che di fronte a noi abbiamo uno scenario in cui tante guerre sono il frutto avvelenato del caparbio rifiuto di riformare un sistema di governo internazionale ormai inadeguato».

Ma in questo modo non si esclude qualsiasi spazio di intervento dell'Onu e della comunità internazionale? Anche papa Giovanni Paolo II durante la guerra in Bosnia fece un esplicito appello a fermare le atrocità.
«Il diritto internazionale su questo è molto chiaro, ed esclude che un singolo stato o una coalizione possa farsi giustizia da solo attraverso la guerra. Così come, aggiungo io, è chiaro che non possono essere i membri del G8 ad arrogarsi il diritto di governare il mondo. Ecco perché è necessario esercitare la giusta pressione sulle istituzioni e sull'opinione pubblica per far evolvere la situazione e fare dell'Onu una reale autorità sovranazionale. L'attuale sistema è imperfetto, e non potrebbe essere altrimenti visto che i singoli stati avranno sempre e comunque dei loro interessi da difendere. Oppure non ci si spiega perché i potenti della terra non abbiano ritenuto opportuno intervenire oltre che in Afghanistan o in Iraq anche in Sudan, e in tanti altri scenari locali funestati da massacri e oppressi da regimi dittatoriali. Ma di questo la nostra stampa non parla, e l'opinione pubblica finisce suo malgrado per reagire in maniera puramente emotiva alle enormi questioni che sono in gioco».

In questi giorni c'è chi la definisce un vescovo coraggioso, chi un ingenuo "anche se ha fatto tanti anni il diplomatico"...
«Quanto a ingenuità, anche Gesù può essere definito un ingenuo, quando ogni giorno prego "Venga il tuo Regno" sono forse un ingenuo? Se ho fatto bene il diplomatico, è proprio perché avevo il coraggio di dire la verità e di dirla per il bene della gente...».

...chi le consiglia di andarsene a conoscere l'Afghanistan, chi la definisce un ignorante come il ministro La Russa. Una ricca collezione di giudizi...
«...che mi lasciano del tutto sereno e tranquillo. Direi anzi che non porto alcun sentimento negativo verso nessuno, e so che il mio compito mi espone anche al rischio di qualche incomprensione. Le dico però questo: credo di avere maturato studi ed esperienza sufficienti a poter riflettere su questioni tanto delicate. E conosco a sufficienza l'anima umana per sapere quali ragioni e quali pulsioni muovono alcune critiche così rancorose. Non ultima la difficoltà di tanti nostri politici nell'articolare un ragionamento più profondo delle battute che sono soliti consegnare ai telegiornali della sera».

Molte lettere giunte in questi giorni alla nostra redazione, si tratti della morte di Matteo Miotto come delle vicende politiche italiane, non si limitano a criticare le prese di posizione di voi vescovi. Dopo aver detto la sua, chi le scrive annuncia l'intenzione di non frequentare più la chiesa perché offeso come cristiano. Come vescovo, cosa si sente di dire loro?
«So che questo avviene, e la prima cosa su cui dobbiamo riflettere è che evidentemente siamo di fronte a una fede molto imperfetta, soprattutto quando fatichiamo a comprendere la necessaria mediazione che va trovata tra le verità fondamentali della fede e la loro applicazione alla singola problematica concreta. C'è poi un secondo aspetto ed è quello che definirei come la "religione del soggettivo". Si basa sull'idea, in gran voga peraltro in ogni ambito della società contemporanea, secondo cui gli altri devono necessariamente corrispondere al nostro sentimento o alle nostre idee. Se lungo questa strada prescindiamo da quel che oggettivamente la fede cristiana è nella sua essenza, ecco che ogni presa di posizione rischia di alimentare abbandoni. Dal mio punto di vista, invece di andarsene sarebbe bene chiedere perché un pastore si è espresso in un certo modo, a partire da quali verità di fede e da quale riflessione teologica. La nostra fede domanda anche spirito critico.
Aggiungo che la Chiesa intende essere vicina a tutti senza alcuna discriminazione e per questo manda sacerdoti per i militari, i carabinieri, la polizia, come negli ospedali e nelle carceri. Ma ha uno sguardo universale e di preferenza per i più deboli e i più poveri, per quelli che non hanno voce».
Guglielmo Frezza

 


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Giovedi 27 Dicembre 2018 alle 17:38 da Luciano Parolin (Luciano)
In Panettone e ruspe, Comitato Albera al cantiere della Bretella. Rolando: "rispettare il cronoprogramma"
Caro fratuck, conosco molto bene la zona, il percorso della bretella, la situazione dei cittadini, abito in Viale Trento. A partire dal 2003 ho partecipato al Comitato di Maddalene pro bretella, e a riunioni propositive per apportare modifiche al progetto. Numerose mie foto del territorio sono arrivate a Roma, altri miei interventi (non graditi dalla Sx) sono stati pubblicati dal GdV, assieme ad altri come Ciro Asproso, ora favorevole alla bretella. Ho partecipato alla raccolta firme per la chiusura della strada x 5 giorni eseguita dal Sindaco Hullwech per sforamento 180 Micro/g. Pertanto come impegno per la tematica sono apposto con la coscienza. Ora il Progetto è partito, fine! Voglio dire che la nuova Giunta "comunale" non c'entra più. L'opera sarà "malauguratamente" eseguita, ma non con il mio placet. Il Consigliere Comunale dovrebbe capire che la campagna elettorale è finita, con buona pace di tutti. Quello che invece dovrebbe interessare è la proprietà della strada, dall'uscita autostradale Ovest, sino alla Rotatoria dell'Albara, vi sono tre possessori: Autostrade SpA; La Provincia, il Comune. Come la mettiamo per il futuro ? I costi, da 50 sono saliti a 100 milioni di € come dire 20 milioni a KM (!) da non credere. Comunque si farà. Ma nessuno canti Vittoria, anzi meglio non farne un ulteriore fatto "partitico" per questioni elettorali o di seggio. Se mi manda la sua mail, sono disponibile ad inviare i documenti e le foto sopra descritte. Con ossequi, Luciano Parolin [email protected]
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